Discriminazione di genere, Mancata considerazione dei periodi di maternità per l’anzianità di servizio per il passaggio alla qualifica superiore, Corte d’’Appello di Venezia, sentenza del 20.02.2018.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO  ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO  DI VENEZIA- Sezione Lavoro

 

Composta dai Magistrati:

 

Dr. Roberto  Santoro Dr. Umberto Dosi Dr.ssa Annalisa Multari

ha pronunciato  la seguente

Presidente Consigliere rei. Consigliere

SENTENZA

nella  causa  promossa  in  appello con  ricorso  depositato in data 5.1.20 I 07

da

………………..avv.ti

e

…….SPA   (C.F./P.I.        ),  in   persona  del Procuratore      dott.                   rappresentata  e difesa dagli ……………………..

, elettivamente   domiciliata   presso   lo Studio  di  quest’ultimo

 

-appellante

contro

 

……………..(C.F.

),  rappresentata  e difesa  dall’avv.                 , elettivamente  domiciliata  presso  il  suo Studio in

-appellata-

OGGETTO:  riforma della sentenza n. 336/2016  del Giudice del lavoro del Tribunale di   Venezia.

IN PUNTO: computabilità dei periodi di assenza per congedo maternità/parentale ai fini della progressione  di carriera.

Conclusioni  per l’appellante:

“Piaccia a codesta Ecc.ma Corte di Appello accogliere il presente appello e, in riforma della sentenza impugnata, così provvedere:

  • in via pregiudiziale e/o preliminare, dichiarare inammissibile il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio;
  • in via principale, rigettare tutte le domande formulate da controparte nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio in quanto ivi fondate sia in fatto che in diritto;
  • condannare controparte  al    pagamento  di  spese  e  competenze  professionali   del  doppio   grado  di

Conclusioni per la parte appellata :

 

Nel merito:

rigettarsi  l  ‘appello   proposto da           spa  e per l ‘effetto  confermarsi  integralmente  la   statuizione  di primo grado del Giudice del Lavoro del Tribunale di Venezia   impugnata;

Con vittoria di spese, rimborso forfetario spese generali del I 5% e competenze professionali come per legge, con distrazione in favore del sottoscritto procuratore che ha anticipato i primi e non riscosso i secondi.

SVOLGIMENTO  DEL PROCESSO

Con ricorso di primo grado la ricorrente             esponeva:

  • di avere lavorato dal 2005 alle dipendenze della società resistente                 spa presso l’Aeroporto …… , con mansioni di agente di rampa/addetta ad assistenza passeggeri;
  • di esser stata inquadrata, inizialmente, al livello 6° del CCNL di categoria, dal 10 dicembre 2007 al 5° livello e, dall’I febbraio 2012, al 4° livello;
  • di essersi assentata dal lavoro per congedo di maternità dall’ 8.12.2008 al 18.05.2009  e  dal   01.2011   al 5.06.2011 e per congedo parentale dal 19 .05.2009 al 18.10.2009 e per 27 giorni  frazionati  goduti nell’arco temporale intercorrente tra il mese di giugno e il mese di settembre del   2011;
  • di esser stata discriminata dalla società resistente che non le aveva  conteggiato,  ai fini dell’acquisizione del 4° livello, a cui avrebbe avuto contrattualmente diritto sin dall’l.11.2010, i periodi di  congedo  di maternità ed altresì di congedo                                                                                                                        .

Chiedeva all’adito Tribunale di accertare il diritto della ricorrente a vedersi computati  i periodi di assenza  per  congedo   di maternità   e congedo  parentale  ai fini della  progressione  di carriera;  conseguentemente, di accertare la natura discriminatoria e/o illegittima della mancata attribuzione  in favore della ricorrente della qualifica di Impiegato di 4° livello ai sensi della contrattazione collettiva per il personale di terra del  trasporto  aereo e delle attività  aeroportuali   a decorrere  dal  IO     novembre  20 I O ovvero  dalla  diversa data, antecedente o successiva, ritenuta equa e di giustizia;  per l’effetto,  anche  al  fine della rimozione  degli effetti di natura discriminatoria, accertare e dichiarare  il diritto della ricorrente all’inquadramento  al  4° livello impiegatizio a decorrere dal 1° novembre 2010 ovvero dalla diversa data, anche antecedente, ritenuta equa e di giustizia ai sensi delle disposizioni della disciplina della contrattazione collettiva per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali richiamata in atti; conseguentemente condannare la società convenuta al pagamento delle relative differenze retributive, da quantificarsi in separato giudizio,  oltre alla regolarizzazione contributiva/previdenziale del rapporto  di  lavoro.

***

Costituendosi, la società          . spa chiedeva il rigetto del ricorso.

***

Con sentenza n. 336/2016  del 4.5.2016 il Tribunale, in accoglimento del ricorso, accertata    la natura

discriminatoria della mancata  attribuzione alla sig.ra           del 4° livello impiegatizio CCNL  personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali a decorrere dall’ 1.11.2010, ha accertato il diritto della lavoratrice a detto inquadramento con la decorrenza indicata, ed ha condannato la società al pagamento  delle conseguenti  differenze retributive ed alla rifusione delle spese di lite  liquidate.

Il Tribunale ha fondato il proprio convincimento  sulla  base delle seguenti  argomentazioni:

  1. la contrattazione collettiva (art H2 CCNL), nell’individuare i periodi di attestazione per il passaggio  da un livello di inquadramento all’ altro, fa solo apparentemente riferimento a periodi di “effettivo servizio”  nel livello precedente, trattandosi in realtà di periodi di “mero  servizio”
  2. una diversa lettura della norma contrattual-collettiva si rivelerebbe discriminatoria, in quanto finirebbe per limitare e rallentare la carriera di una donna rispetto a quella di un uomo e delle altre donne che non hanno figli, in ragione della propria maternità , senza alcuna giustificazione, in violazione della normativa comunitaria;
  3. la discriminatorietà del comportamento tenuto dalla          è dimostrata  altresì dalla documentazione in atti, da cui risulta che vi sono stati lavoratori, assenti per malattia, per i quali tali assenze sono state computate da          ai fini del servizio per la progressione di carriera, laddove   la giustificazione  addotta dall’azienda che si tratterebbe di pochi giorni rende ancor più evanescente ed arbitrario il comportamento datoriale.

Avverso la predetta sentenza ha proposto appello  …. spa chiedendone  la riforma sulla base dei seguenti motivi di gravame.

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Con il primo motivo di appello (“Sull’erronea interpretazione della norma contrattual-collelliva), l’appellante censura l’impugnata sentenza per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che la norma contrattual-collettiva che prevede il decorso di determinati periodi di attestazione ai fini del passaggio di livello (dal sesto al quinto, e poi, dal quinto al quarto)  va  interpretata  computando  la  mera  anzianità di servizio e non l’effettivo espletamento della prestazione lavorativa, sicché secondo il Tribunale l’azienda avrebbe errato nell’escludere dal calcolo i periodi di assenza  della sig.ra                                                                                                                                  per maternità e congedo parentale (che sono pari a 16 mesi circa).

Deduce che ai sensi del C.C.N.L. per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali dell’ 8.07.2010, art. H2, “I livelli sono definiti dalle declaratorie di seguito riportate al successivo punto 4 intese come espressioni dei contenuti della professionalità in termini di conoscenze professionali, responsabilità e autonomia operativa. Ogni declaratoria è ulteriormente specificata dalle esemplificazioni proprie di ciascun livello. Tali esemplificazioni sono inserire nel livello massimo di attestazione previsto per la relativa posizione di lavoro, raggiungibile secondo le modalità ed i tempi specificamente indicati al successivo punto 5, il riconoscimento dell’esperienza  e/o della completa autonomia di esecuzione che sì conviene gli interessati abbiano progressivamente acquisito nel corso del relativo servizio effettuato nei diversi livelli in cui è collocata la specifica posizione e nei quali questa sì intende convenzionalmente esemplificata (...)” Con particolare riferimento alla figura lavorativa della lavoratrice (addetto di scalo), la contrattazione collettiva ha previsto che “La posizione di lavoro è collocata su tre livelli: 6°-5°-4°. Il lavoratore sarà inizialmente assegnalo al livello 6° e. dopo 18 mesi di servizio, al livello 5°, per poi conseguire. dopo ulteriori 24 mesi di servizio. il livello 4°“.

Deduce che le parti collettive hanno valutato in 24 mesi di effettivo servizio nel 5° livello il periodo di tempo necessario alla progressiva acquisizione dell’esperienza e della  completa autonomia esecutiva perché un lavoratore possa vedersi riconosciuto il 4°   livello.

Afferma che la norma contrattual-collettiva è chiarissima nel far riferimento al “servizio effettuato” dal lavoratore nei vari livelli in cui è collocata la sua posizione   lavorativa.

Deduce che la ratio delle declaratorie dei livelli 6, 5 e 4 (e l’inquadramento della posizione di addetto di  scalo nei medesimi livelli in funzione dei mesi di effettivo servizio espletati) è quella di contemplare la crescita professionale del lavoratore in relazione ali’ esperienza ed alle capacità acquisite nel corso del tempo. Aggiunge che il percorso di crescita della professionalità del dipendente può avvenire esclusivamente  attraverso   l’effettivo   esple tamento    del   servizio   e   giammai   con   la   mera   maturazione dell’anzianità lavorativa (qualora ad essa non corrisponda il materiale svolgimento   della   mansioni assegnate).

Afferma che non è neppure condivisibile l’assunto del Giudice di prime cure secondo cui nel contratto collettivo applicabile al caso di specie non vengono richiesti, ai fini del decorso del periodo di attestazione, i “particolari requisiti” previsti dal D.lgs. n. l 51/2001, che all’art. 22, comma 5, con  riferimento ai congedi per maternità, prevede quanto segue: “Gli stessi periodi sono considerati, ai .fini  della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi  non richiedano  a tale scopo particolari requisiti”; evidenzia che se davvero la contrattazione collettiva non avesse voluto limitare il decorso del periodo di attestazione all’effettivo  espletamento  dell’attività lavorativa,  avrebbe fatto riferimento all’anzianità di   servizio,   ma  tale  terminologia non  è stata invece utilizzata  nel CCNL,    e ciò è perfettamente coerente con le altre disposizioni e, in particolare, con le declaratorie che fanno riferimento alla  “esperienza”  ed alla “pratica specifìca”  nella mansione volta.

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Con il secondo motivo di appello (“Sulla discriminazione quale conseguenza  de/l’interpretazione  del/a norma   contrattualcollettiva   in  senso favorevole  all’azienda”), la parte appellante  censura  la   decisione del Tribunale laddove ha ritenuto che una diversa interpretazione della predetta norma  contrattual­ collettiva determinerebbe una discriminazione in danno delle lavoratrici- madri, che vedrebbero  rallentata  la  loro progressione di carriera in conseguenza della  maternità .

Richiama sul punto l’art. 22 comma 5° del D.lgs. n. 151/2001 che, con riferimento ai periodi di congedo per maternità ed alla loro incidenza sulla progressione di carriera, precisa che “Gli stessi periodi sono considerati, ai.fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa. quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari  requisiti”.

Evidenzia come il legislatore abbia quindi  autorizzato  la contrattazione collettiva  a prevedere  I’ esistenza di determinati presupposti ai fini della progressione di carriera dei dipendenti; ne deriva che il contratto collettivo applicabile alla vicenda per cui è causa, nella sua corretta interpretazione come chiarita nel precedente motivo di gravame, assume forza di legge per effetto del richiamo contenuto nel D.lgs. n. 15l/2001, ragion per cui l’applicazione delle disposizioni contrattual-collettive  oggetto  d’indagine  non  potrà in alcun caso portare al compimento di atti di gestione del rapporto di lavoro qualificabili come discriminatori.

Ribadisce che le statuizioni   contenute nel contratto collettivo  prevedono che tutti  i periodi “non   lavorati” quindi, non soltanto quelli per congedo di maternità e parentali ma anche le assenze per malattia- non possono ritenersi idonei in mancanza dell’effettivo espletamento del  servizio,  all’acquisizione dell’esperienza e della  professionalità richieste  dalla contrattazione collettiva.

Afferma che i richiami all’ordinamento comunitario contenuti nella sentenza non sono pertinenti e, comunque, sono stati valutati in maniera errata dal Giudice di prime cure (“Com’è noto, infatti, le direttive comunitarie sulla discriminazione fondata sul sesso sono state recepite nel nostro ordinamento con l’introduzione del codice delle pari opportunità . Trattandosi, quindi, di direttive non self-executing, lo  Stato italiano deve ritenersi  vincolato solo  con riferimento  all”obiettivo da  raggiungere  avendo facoltà  di individuare il mezzo ritenuto pitì opportuno per il conseguimento   della finalità  perseguita” ).

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Con    il  terzo  motivo  di  appello  (Sul  raffronto  con  le  assenze    per  malattia  di  altri   lavoratori), l’appellante censura la decisione del Tribunale laddove ha erroneamente  ritenuto  che la discriminatorietà del comportamento tenuto dall’azienda fosse ancor più evidente dal computo, comprovato dalla documentazione in atti, delle assenze per malattia di altri dipendenti ai fini della progressione in carriera. Deduce che i periodi di congedo maturati dall’appellata non sono in  alcun  modo  comparabili  con  le singole  assenze  per  malattia  di  altri  dipendenti   (che  l’azienda    invece  ha                                                   calcolato  nel  periodo  di attestazione); non può  dubitarsi  infatti  che “mentre  un  ‘assenza  protrattasi  per  pochi  giorni  non  può  avere  alcuna    incidenza  ai  fini dell’acquisizione   dell’esperienza                                                             e      dell’autonomia     previste      dalla contrattazione collettiva, al contrario, le assenze che perdurano per mesi e  mesi  (o, come  nella  vicenda  in esame, per un anno e mezzo circa!) non  sono  idonee  all’acquisizione  dei  requisiti  richiesti  per  il conseguimento del livello di inquadramento superiore”. Diversamente opinando,  “si  arriverebbe  a  determinare un’ingiusta disparità di trattamento nei confronti dei lavoratori che hanno prestato  attività lavorativa  per  tutto  il  periodo  di  attestazione,  salvo  sporadiche assenze”.

***

Si è costituita in appello la ricorrente             resistendo e chiedendo il rigetto del  gravame.

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La causa in grado di appello è stata deciso come da separato dispositivo di sentenza allegato agli atti.

 

L’appello è infondato e va rigettato.

MOTIVI  DELLA DECISIONE

L’art. 22 del T.U. 151/2001, ai commi 3°, 4° e 5°, così recita:

  1. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e   alle ferie.
  2. I medesimi periodi non si computano ai .fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità  di  cui  all’articolo  7 della  legge  23  luglio  1991,  n.223,  fermi  restando  limiti    temporali  di fruizione dell’ indennità di mobilità. I medesimi  periodi  si  computano  ai fini  del  raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter  beneficiare dell’indennità  di mobilità.
  1. Gli stessi periodi sono considerati, ai fìni della progressione nella carriera. come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari  

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Rileva la Corte che la contrattazione collettiva non richiede l’effettiva presenza in servizio del lavoratore quale presupposto per il decorso dei periodi di attestazione, ai fini della progressione    nella carriera.

In particolare, l’art. H2 del CCNL 8.7.2010 citato, nello stabilire diversi livelli di inquadramento e le varie progressioni temporali secondo le scansioni temporali previste dai vari periodi di attestazione, non prevede la necessità della presenza effettiva del lavoratore, limitandosi a valorizzare il mero decorso del tempo quale criterio presuntivo convenzionale circa l’avvenuto raggiungimento della professionalità richiesta per il superiore  livello.

Inoltre, l’art. 23 del CCNL 8.7.2010 relativo alla “Tutela della maternità”, ai commi  4° e 9°, conferma che l’assenza collegata alla gravidanza, alla maternità ed al periodo di congedo parentale debba essere computato a tutti gli effetti nell’anzianità di  servizio.

Va altresì richiamata la sentenza n.595 del 6.3.2014 della Corte di Giustizia, che pronunciandosi sulla compatibilità con la direttiva 2006/54/CE (riguardante l ‘attuazione del principio di pari opportunità e di parità di trattamento  tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego) ha   affermato:

“Le disposizioni di attuazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, contenute nell’art. 14, §1, lett. e), della direttiva 2006/154  e nell’art.  15 della stessa direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate  da  poter  produrre un  effetto  diretto. Esse rilevano rispettivamente l’esclusione in via generale ed in termini inequivocabili di qualsiasi discriminazione basata sul sesso e prevedono che all afìne del periodo di congedo per maternità la donna abbia  diritto di riprendere  il proprio lavoro o un posto equivalente  secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua  assenza”.

L’art.15 della direttiva prescrive appunto che “alla fine del periodo di congedo di maternità la donna ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente  secondo  termini e condizioni  che non le siano  meno  favorevoli,  a  beneficiare   di  eventuali  miglioramenti  delle  condizioni  di  lavoro  che    le sarebbero spettate durante la sua assenza.

 La Corte di giustizia ha confermato che gli articoli della direttiva citati  vietano  qualsiasi tipo  di  trattamento meno favorevole per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ivi compresi “l’accesso a tutti i tipi e a tutti i livelli di orientamento professionale, formazione, perfezionamento e riqualificazione professionali, nonché l’esperienza professionale, le condizioni di  occupazione e  di lavoro”.

Alla luce delle considerazioni tutte che precedono, è corretta  la motivazione  del Giudice  di prime  cure, che ha  riconosciuto  il diritto della                                di essere considerata  a tutti  gli  effetti  presente  in servizio -ai fini della progressione in carriera- nei  periodi   di assenza per maternità/congedo   parentale.

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L’illegittimità della condotta di                   spa  trova  ulteriore  conferma  nella  circostanza  (pacifica   e  non contestata in causa) che la società ha trattato  in modo  diverso i tipi di assenze, atteso che solo le assenze per maternità (e non quelle per malattia) non sono state   valutate da                     ai fini della progressione nella carriera.

Ciò conferma che, diversamente da quanto asserito dalla società appellante, non sussiste alcuna disposizione contrattuale in base alla quale i periodi di attestazione necessari per il conseguimento del superiore  inquadramento  sarebbero solo quelli effettivamente lavorati.

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In conclusione,  l’appello deve essere respinto.

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Le spese di lite del  presente  grado,  in dispositivo  liquidate   facendo applicazione  dei criteri  previsti   dal

D.M.  55/2014, seguono la  soccombenza.

Al riguardo, si dà atto che per mero refuso è stata omessa al punto 2) del dispositivo di  sentenza  la pronunci di  distrazione  delle  spese  (regolarmente formulata nella memoria difensiva di parte appellata), ed in tal senso va emendato il predetto capo di  sentenza.

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Per il  rigetto  integrale  dell’appello,  deve  darsi  atto che sussistono  le condizioni  oggettive  richieste dall’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato salva la verifica del requisito soggettivo di esenzione da parte di chi di competenza   .

Infatti, l’art.I, comma  17 della legge 24 dicembre 2012,  n. 228 del 2012 ha integrato l’art. 13 del D.P.R.    30 maggio 2002, n.115, aggiungendovi il comma 1 quater, nel cui testo è previsto solo che Il giudice atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente”, vale a dire rigetto integrale o dichiarazione  d’inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, anche   incidentale.

Per l’inserimento della norma del 2012 nell’ articolo che disciplina il contributo  unificato anche il raddoppio dello stesso non può essere equiparato a una sanzione  pecuniaria  da comminarsi  dal Giudice, ma ha la stessa natura di tributo (per tale conclusione cfr. Cass. S.U. n. 9938 dell’ 8.5.2014, richiamata anche nella nota m.  19920/U del Min. Giustizia, Dip. Aff. Giustizia, Dir. Gen. Giust.   Civ.).

Ne deriva, pertanto, che l’entità del contributo e eventuali condizioni reddituali e/o soggettive di esonero sono questioni che esorbitano dalla giurisdizione del giudice civile e non  devono  essere disaminate in questa sede.

 

P.Q.M

 

La Corte, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, rigettata ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così  decide:

 

l             Rigetta l’appello;

2             Condanna  la società  appellante  a rifondere alla parte appellata  le spese di lite del   presente grado di giudizio, liquidate in € 6.615,00 per compensi professionali oltre €20,00 per spese, oltre rimborso forfetario spese generali ex lege, IVA e  CPA;

 

Venezia 23.11.2017

 

Il Consigliere estensore Umberto Dosi

 

Il Presidente Dott. Roberto Santoro

 

Depositato  in cancelleria  il 20 febbraio 2018.