Italia condannata per stereotipi sessisti, Sentenza CEDU 27 maggio 2021

PRIMA SEZIONE
CASO DI J.L. v. ITALIA
(Applicazione n. 5671/16)

GIUDIZIO
Articolo 8 – Obblighi positivi – “Vittimizzazione secondaria” di una vittima di violenza sessuale a causa di affermazioni colpevolizzanti, moralizzanti e stereotipate nella motivazione della sentenza – Autorità che hanno garantito il rispetto dell’integrità personale della ricorrente durante le indagini e il processo
STRASBURGO
27 maggio 2021
Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetto a modifiche formali.

Nel caso di J.L. contro l’Italia
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da :
Ksenija Turković, presidente,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Péter Paczolay,
Gilberto Felici,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato, giudici,
e Liv Tigerstedt, vice cancelliere di sezione,
Visto il suddetto ricorso (n. 5671/16) contro la Repubblica italiana presentato alla Corte il 19 gennaio 2016 da una cittadina di tale Stato, la signora J.L. (“la ricorrente”), ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”),
Vista la decisione del Presidente della Sezione di non rivelare l’identità del richiedente,
Viste le osservazioni delle parti,
Rilevando che il 29 gennaio 2018 i reclami del ricorrente sono stati comunicati al governo, mentre il resto del ricorso, ossia i reclami sollevati dalla madre del ricorrente, è stato dichiarato irricevibile ai sensi dell’articolo 54 § 3 del regolamento della Corte
Avendo deliberato in camera di consiglio l’8 aprile 2021
Emette la seguente sentenza, che è stata adottata in tale data:

INTRODUZIONE

  1. La ricorrente lamentava che il procedimento penale seguito a una denuncia di stupro di gruppo da lei presentata non aveva rispettato quello che lei considerava l’obbligo positivo delle autorità nazionali di proteggerla efficacemente contro la violenza sessuale che sosteneva di aver subito e di garantire la protezione del suo diritto alla privacy e all’integrità personale. Lei ritiene che questo sia una violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione.
    I FATTI
  2. La ricorrente è nata nel 1986 e vive a Scandicci. Era rappresentata dal signor S. Menichetti e C. Carrano, avvocati a Roma.
  3. Il governo italiano (“il governo”) era rappresentato dal suo ex agente, la signora E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, la signora M. Aversano.
    LE ACCUSE DI VIOLENZA SESSUALE DELLA RICORRENTE
  4. La ricorrente, che all’epoca era una studentessa di storia dell’arte e di teatro, ha spiegato che la sera del 25 luglio 2008, verso mezzanotte, si era unita a L.L. e ai suoi amici alla “Fortezza da Basso”, uno spazio pubblico della città di Firenze situato in una ex fortezza militare dove si tenevano spettacoli.
  5. Nel corso delle indagini preliminari (si vedano i paragrafi 12-13 e 15 qui di seguito), la ricorrente ha dichiarato nelle sue dichiarazioni alla polizia e all’ufficio del pubblico ministero che aveva incontrato L.L. in un corso di teatro due anni prima e che nel febbraio 2008 aveva recitato in un cortometraggio scritto e diretto da lui in cui interpretava il ruolo di una prostituta che veniva abusata. Ha anche affermato di aver fatto sesso occasionale con L.L. il 5 giugno 2008.
  6. Ha dichiarato che L.L. l’aveva invitata a raggiungerlo il 25 luglio nella fortezza e che lui le aveva promesso di farle un “regalino”. Aveva deciso di accettare l’invito nella speranza di ricevere le riprese del cortometraggio e il saldo del suo compenso. Il suo compagno era malato e non l’aveva accompagnata. Ha indicato che durante la serata, aveva consumato diversi bicchieri di liquore (shot) offerti da L.L. e dai suoi amici, al punto di perdere rapidamente il controllo delle sue azioni e di avere difficoltà a camminare. Ha detto agli investigatori che L.L. era consapevole della sua bassa resistenza all’alcol.
  7. All’1.30 circa, avrebbe seguito D.S. – uno degli amici di L.L., che ha detto di aver incontrato in precedenza e con il quale aveva fatto sesso occasionale qualche settimana prima – nella toilette della fortezza e ha chiesto del sesso orale. Disse che era stata spiacevolmente sorpresa dal comportamento di D.S. ma che,
    sotto l’influenza dell’alcol, non era stata in grado di opporsi a lui. Ha spiegato che dopo lei e altri avevano cavalcato un toro meccanico che era stato allestito vicino al bar, e che lei e il gruppo di amici avevano ballato su una pista da ballo. Ha detto che verso la fine della serata ha bevuto cocktail offerti a turno da L.L. e dai suoi amici e dal barman del bar.
  8. Verso le 3 del mattino, mentre la serata volgeva al termine e la fortezza stava per chiudere, sei amici di L.L., tra cui D.S., l’avrebbero accompagnata verso l’uscita e avrebbero cominciato ad abusare di lei accarezzandole i seni e toccandole i genitali. L.L., che li aspettava all’uscita dopo essere uscito qualche minuto prima per accompagnare la sua ragazza, si sarebbe unito a loro. Il richiedente avrebbe opposto resistenza e gridato: “Cosa stai facendo? “Ha poi cercato di liberarsi e tornare alla sua bicicletta, ma è stata spinta nella direzione opposta e diretta verso l’auto di L.L., dove è stata costretta ad avere diversi incontri sessuali con il gruppo.
  9. La ricorrente ha dichiarato di ricordare chiaramente la presenza di tutti e sette gli uomini nell’auto, compreso D.S., che era presumibilmente seduto sul sedile anteriore. Spiegò che tutti gli uomini avevano abusato di lei a turno, sia con la penetrazione vaginale che con il sesso orale, mordendole i seni e i genitali, immobilizzandole le braccia e allargandole forzatamente le gambe, al punto che aveva poi sofferto di lividi e dolori, in particolare alla mascella. La richiedente ha aggiunto che gli uomini avevano eiaculato e ha menzionato la presenza di un forte odore di sperma nella macchina. Ha anche dichiarato di essere stata in uno stato di shock e confusione durante la violenza, incapace di reagire. La ricorrente ha poi dichiarato di essere riuscita a riacquistare i sensi e ad uscire dall’auto intorno alle 4 del mattino. Ha detto che i suoi aggressori erano in stato di shock e confusione durante l’aggressione. Ha dichiarato che i suoi assalitori erano stati “quasi sorpresi” dalla sua reazione improvvisa. Quando è scesa dall’auto, si sarebbe accorta che era stata spostata e che era parcheggiata in un posto che non avrebbe riconosciuto in quel momento ma che avrebbe identificato più tardi come via Cosseria. Ancora sotto shock, ha riferito di aver camminato senza meta, poi ha recuperato la sua bicicletta (vedi paragrafo 21 sotto) ed è tornata a casa, dove ha riferito gli eventi al suo compagno.
  10. Il pomeriggio del 26 luglio 2008 la ricorrente, accompagnata dal suo compagno e da un’amica, si è recata al centro antiviolenza dell’ospedale universitario di Careggi e ha spiegato di essere stata vittima di uno stupro di gruppo. I ginecologi del centro hanno redatto un certificato medico che mostrava contusioni su entrambi gli avambracci, un graffio di cinque centimetri sulla coscia destra, irritazione dell’areola del seno sinistro e arrossamento dei genitali.
    Il medico del Centro Antiviolenza ha redatto un rapporto sui fatti descritti dal richiedente. Dopo aver firmato il rapporto, la ricorrente ha chiesto di modificarne una parte, specificando che, dopo aver subito le violenze descritte, si era recata alla sua bicicletta a piedi e non era stata accompagnata dai suoi aggressori in auto, come indicato nella prima versione del rapporto (cfr. paragrafo 21 qui sotto). Una copia del rapporto è stata inviata alla polizia.
  11. Nei mesi successivi agli eventi, la ricorrente ha sofferto di problemi psicologici e ha avuto un attacco di panico. Seguita dalla psicologa del Centro Artemisia – un centro per le vittime di violenza gestito da un’associazione privata e finanziato dalle autorità locali – a cui si era rivolta per un sostegno, è stata ricoverata per disturbo post-traumatico da stress all’ospedale di Careggi dal 21 gennaio all’11 febbraio 2009.
    IL PROCEDIMENTO PENALE
  12. Il 30 luglio 2008 il ricorrente è stato convocato e interrogato dalla polizia di Firenze, che aveva ricevuto il rapporto redatto dal centro antiviolenza di Careggi. Lo stesso giorno ha presentato una denuncia contro i suoi presunti aggressori.
  13. Il 31 luglio è stata convocata e interrogata dalla polizia a Ravenna, città che stava visitando con amici. Ha dato di nuovo la sua versione dei fatti e ha identificato i suoi presunti assalitori da fotografie scattate durante la serata.
  14. Lo stesso giorno a Firenze, i sette sospetti, tra cui D.S., sono stati messi in custodia cautelare. La polizia giudiziaria ha sequestrato i loro telefoni cellulari, i cui registri sono stati esaminati, e l’auto in cui l’attacco avrebbe avuto luogo. L’ufficio del pubblico ministero ha ordinato esami forensi per trovare tracce di fluidi biologici che potrebbero essere fuoriusciti nell’auto e sui vestiti del ricorrente e per determinare quali terminali potrebbero essere stati attivati dai telefoni dei sospetti e del ricorrente la notte dei fatti.
  15. In un’udienza tenuta dalla procura di Firenze il 16 settembre 2008 tra le 18.30 e le 22.10, la ricorrente ha nuovamente descritto gli eventi della notte tra il 25 e il 26 luglio e ha fornito dettagli sulla sua relazione con L.L. e gli altri indagati prima dei fatti. Dopo l’udienza, il pubblico ministero ha incaricato il dipartimento di investigazione penale di identificare e interrogare come testimoni le persone menzionate dalla ricorrente e ha chiesto alla polizia scientifica di acquisire le mappe dei luoghi da lei menzionati nel suo racconto per determinare il luogo esatto degli eventi.
  16. In una data imprecisata, gli investigatori hanno visitato i locali in presenza del richiedente.
  17. Il 29 aprile 2009 il procuratore di Firenze ha iscritto i nomi delle sette persone implicate dalla ricorrente nel registro delle persone sospettate di aver commesso il reato di violenza sessuale aggravata in concorso.
  18. L’11 maggio 2010 i sospetti sono stati portati davanti al tribunale di Firenze. La ricorrente e il comune di Firenze si sono costituiti parte civile.
  19. Nel processo di primo grado davanti al tribunale di Firenze, diciotto udienze pubbliche si sono tenute tra il 17 settembre 2010 e il 14 gennaio 2013. Dopo aver consultato le parti, il giudice che presiedeva, citando la natura sensibile e delicata della questione e la necessità di proteggere il più possibile il richiedente, ha rifiutato di permettere ai giornalisti presenti in aula di filmare il procedimento.
  20. Le udienze dell’8 febbraio e del 13 maggio 2011 sono state dedicate interamente all’audizione della ricorrente. Il resoconto delle audizioni è stato esposto in un rapporto di 430 pagine. Il ricorrente è stato interrogato dall’accusa e dagli otto avvocati della difesa. Dai verbali delle udienze risulta che il giudice che presiedeva è intervenuto ripetutamente per evitare che i vari avvocati degli imputati si soffermassero il più possibile su questioni che erano già state sollevate dalla vittima, che non erano pertinenti al caso o che erano di natura strettamente personale. Il giudice che presiedeva ha anche ordinato brevi pause per permettere alla ricorrente di riprendersi dalle sue emozioni.
  21. Nel corso dell’udienza sono state sentite anche le persone che avevano raccolto la testimonianza della ricorrente dopo i fatti, ovvero il suo compagno dell’epoca e la sua amica, diversi amici della ricorrente e dei presunti autori, tra cui la fidanzata di L.L., diverse persone che erano state presenti alla festa quella sera, i ginecologi del centro antiviolenza e lo psicologo del centro Artemisia, nonché gli agenti di polizia giudiziaria e forense che avevano partecipato alle indagini. In particolare, il medico del centro antiviolenza, che aveva visto la ricorrente il giorno dopo i fatti, ha dichiarato che aveva chiesto di cambiare un passaggio del rapporto dopo averlo letto. Aveva voluto precisare che, dopo la violenza in questione, si era recata alla sua bicicletta a piedi e non era stata accompagnata dai membri del gruppo in macchina, come indicato nel rapporto.
  22. Inoltre, tre persone, L.B., S.S. e S.L., che erano state presenti quando il ricorrente aveva lasciato la fortezza con gli imputati, furono ascoltate dalla corte come testimoni.
    In particolare, L.B. e S.S. – due impiegati addetti alla sicurezza e al controllo degli accessi alla fortezza – hanno dichiarato che quando la ricorrente ha lasciato la fortezza era visibilmente sotto l’influenza dell’alcol, che non era in grado di camminare da sola e che era sostenuta da due uomini che le toccavano le parti intime e che altri uomini li circondavano. L.B. e S.S. hanno dichiarato che la giovane donna non rispondeva e non sembrava in grado di opporre alcuna resistenza. Preoccupati, i due testimoni hanno chiesto spiegazioni ai giovani, ai quali hanno risposto, prima di andarsene: “Non è colpa nostra se è sporca”.
  23. S.L. ha dichiarato che alla fine della serata le era stato detto da cinque amici – che sono stati anche ascoltati dalla corte – che un gruppo di uomini e una giovane donna si erano distinti durante la serata per il loro comportamento disinibito e gli approcci sessuali espliciti. Gli uomini avevano ripetutamente offerto alla giovane donna bicchieri di alcol. Mentre lasciava la fortezza, sembrava essere sotto l’influenza dell’alcol mentre era circondata dal gruppo di uomini, che la toccavano e la baciavano. S.L. e i suoi amici erano stati riluttanti a intervenire. Tre di loro avevano considerato che la giovane donna aveva scelto liberamente di andare via con gli uomini, mentre gli altri due avevano considerato che non era lucida o capace di dare il suo consenso. Preoccupata per la giovane donna, S.L. aveva deciso di avvicinarsi al gruppo e di seguirlo per un po’. Aveva sentito la richiedente chiedere agli uomini di fermarsi e di lasciarla in pace (“Ora basta! lasciatemi stare!”). Si era offerta di aiutarla, ma la richiedente aveva risposto che non aveva nulla di cui preoccuparsi, che gli uomini che l’accompagnavano erano amici e che l’avrebbero portata a casa. In seguito ai commenti sprezzanti del gruppo di uomini nei suoi confronti (“Vai via! Fatti gli affari tuoi! Chi è lei? Qualcuno della lega antiviolenza? “), la giovane donna aveva anche aggiunto: “Mi dispiace, è colpa mia, ero lesbica e ora sono eterosessuale. Secondo S.L., la giovane donna, sebbene divertita dai commenti degli uomini, sembrava assente e non pienamente consapevole della situazione.
  24. All’udienza, la ricorrente ha dichiarato di non ricordare S.L. È stata anche interrogata dagli avvocati degli imputati sulla sua situazione familiare e affettiva e sulle sue esperienze sessuali. Inoltre, è stata sentita sulla sua decisione, venti giorni dopo i fatti, di seguire un’amica in Serbia dal 15 al 25 agosto 2008 e di partecipare a un laboratorio artistico intitolato “Sesso in transizione”. Ha spiegato che aveva deciso di lasciare Firenze per evitare di incontrare i suoi aggressori, ma che era stata costretta a tornare prima del previsto a seguito di un grave attacco di panico che aveva richiesto il ricovero in ospedale.
  25. Durante le udienze del 28 e 29 febbraio 2012, il tribunale ha ascoltato i sette imputati, tutti, compreso lo stesso interessato, hanno dichiarato che D.S. non era presente né all’uscita dalla fortezza né nell’auto.
    Secondo la versione degli imputati, ad eccezione di D.S., la ricorrente era stata provocante per tutta la serata, sia per il modo in cui era vestita che per il suo comportamento sensuale e volgare. Nessuno l’aveva costretta a bere. Aveva anche fatto sesso orale a D.S. nel bagno della fortezza, cosa che fu immediatamente rivelata a tutto il gruppo di amici. L.L. sosteneva che il ricorrente era sempre stato fisicamente attratto da lui, cosa che a suo dire era dimostrata dal rapporto sessuale del 5 giugno 2008, e che lei aveva mentito quando aveva detto di essersi recata alla fortezza il 25 luglio per ottenere il saldo del suo compenso per il cortometraggio in cui aveva recitato, poiché la sua prestazione era già stata pagata.
  26. Gli imputati hanno dichiarato che la ricorrente aveva cavalcato il toro meccanico mostrando la sua lingerie rossa e che aveva ballato in modo lascivo e disinibito con ognuno di loro. Hanno affermato che alla fine della serata li ha incitati a fare sesso in una riunione dicendo: “E ora voglio che mi scopiate tutti! “Hanno detto che quando L.L. si è allontanato con la sua ragazza, lei lo ha chiamato e gli ha chiesto di unirsi a loro. Hanno indicato che il gruppo era euforico e che l’umore era festoso (goliardico), ma che nessuno era incapace di agire a causa dell’alcol. Hanno detto che il richiedente camminava senza difficoltà e sembrava sicuro di sé, provocandole e invitandole a fare sesso. Hanno spiegato che quando S.L. li aveva sfidati fuori dalla fortezza, la ricorrente aveva reagito rassicurandola e rivendicando la sua libertà di agire sessualmente come voleva.
  27. Successivamente, gli approcci sessuali del richiedente erano aumentati di intensità e il gruppo aveva deciso di guidare verso un luogo più appartato e meno esposto ai passanti. Avevano scelto il parcheggio di un chiosco in via Mariti. Lì, la ricorrente aveva avuto un rapporto sessuale completo con due di loro e aveva eseguito una fellatio sugli altri, che non avevano né eretto né eiaculato, provocando in lei scherno e delusione. I sei uomini si offrirono allora di portarla a casa, ma quando lei rifiutò, la riportarono alla sua bicicletta, che si trovava vicino alla fortezza. Uno degli imputati, D.A., ha sostenuto che il liquido seminale trovato sulla maglietta del ricorrente (cfr. paragrafo 32 sotto) era compatibile con il suo DNA e poteva essere spiegato dal contatto avvenuto durante il viaggio in auto verso il chiosco.
    III. DECISIONI GIUDIZIARIE
  28. In una sentenza del 14 gennaio 2013 il tribunale di Firenze ha condannato sei dei sette imputati per aver indotto una persona in stato di inferiorità fisica e psicologica a compiere o subire atti di natura sessuale, un reato punibile ai sensi dell’articolo 609bis § 1, in combinato disposto con l’articolo 609octies. D’altra parte, li ha assolti dalle accuse di violenza sessuale mediante violenza, come definito nell’articolo 609bis § 1. Il settimo imputato, D.S., fu assolto, poiché l’inchiesta aveva dimostrato che, sebbene fosse stato presente durante la serata, non aveva lasciato la fortezza con gli altri e non aveva partecipato allo stupro.
  29. Nella sua sentenza, la Corte ha notato innanzitutto che le versioni dei fatti delle parti concordavano sulla realtà dell’incontro sessuale, ma che differivano sostanzialmente sulla questione del consenso. Ha poi notato che la versione dei fatti del ricorrente era incoerente e appariva illogica sotto diversi aspetti, in particolare per quanto riguarda la parte iniziale dei fatti. In particolare, gli sembravano poco plausibili le spiegazioni della ricorrente sul perché avesse accettato l’invito di L.L. a raggiungerlo alla fortezza e poi a rimanerci, anche se non le era stato fatto alcun regalo e l’atteggiamento del gruppo di amici nei suoi confronti sembrava inappropriato.
  30. D’altra parte, egli trovò che le dichiarazioni della vittima su ciò che era accaduto nel momento preciso dell’uscita dalla fortezza erano pienamente corroborate dalle prove dirette di S.L., L.B. e S.S. Ritenne quindi che la ricorrente potesse essere considerata credibile per quanto riguarda la ricostruzione di quella parte della serata – tranne per quanto riguarda la questione se D.S. fosse stato presente o meno – ma che la sua credibilità rimanesse dubbia per quanto riguarda la ricostruzione dell’inizio e della fine della serata. Ha indicato a questo proposito che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la credibilità della vittima potrebbe essere valutata attraverso una “valutazione frammentaria” delle sue dichiarazioni, a condizione che non ci sia contraddizione fattuale e logica tra le varie parti del suo racconto degli eventi.
  31. Per quanto riguarda il corso degli eventi successivi all’uscita dalla fortezza, il tribunale ha osservato che il coinvolgimento di D.S. nei fatti denunciati era stato escluso dalle indagini svolte, che avevano dimostrato che, contrariamente a quanto dichiarato dal ricorrente, D.S. non aveva lasciato la fortezza con il gruppo. Ha anche notato che i tabulati telefonici e l’esame dei terminali attivati dagli interessati hanno contraddetto la versione della ricorrente sul luogo in cui l’auto era stata parcheggiata durante i fatti da lei riferiti, confermando le dichiarazioni dei convenuti su questo punto. Inoltre, gli investigatori avevano fatto delle simulazioni che dimostravano che era stato impossibile per la ricorrente raggiungere a piedi la sua bicicletta da quel luogo, il che contraddiceva anche le sue dichiarazioni.
  32. Inoltre, il tribunale ha ritenuto che le lesioni riscontrate dal medico del centro antiviolenza dodici ore dopo i fatti (cfr. paragrafo 10 di cui sopra) non erano coerenti con l’intensità della violenza lamentata dal ricorrente, in quanto le lesioni avrebbero potuto essere causate dalla semplice esecuzione di un atto sessuale in auto, che non era stato contestato dai convenuti. Inoltre, nessuna traccia di liquido seminale era stata trovata nei tamponi vaginali o orali prelevati dalla ricorrente o nell’auto, il che confutava le dichiarazioni della ricorrente riguardo al “forte odore di sperma” e confermava le affermazioni degli imputati che nessuno di loro aveva eiaculato nell’auto. Inoltre, l’esame delle tracce biologiche trovate sui
    vestiti della ricorrente, in particolare sul retro della sua maglietta, aveva permesso di identificare il DNA di un solo imputato, D.A.
  33. La corte ha continuato a considerare che l’ipotesi che gli imputati avessero almeno sperato di passare una serata trasgressiva, utilizzando la ricorrente per eseguire giochi erotici, non era una semplice speculazione. Ne ha visto la prova nel fatto che i messaggi telefonici scambiati dagli imputati il pomeriggio del 25 luglio si riferivano alla futura presenza del ricorrente nella fortezza. Ha anche descritto come preoccupante il contenuto scurrile di un testo scritto da L.L. e trovato nella sua auto, che sembrava fare riferimento ad una relazione morbosa con il ricorrente.
  34. In ogni caso, ha ritenuto che, contrariamente alle dichiarazioni di tutti gli imputati, la situazione descritta da S.L., L.B. e S.S. non era “euforica” o “festosa”. Le deposizioni corroboranti dei testimoni avevano infatti permesso di dimostrare in modo definitivo che la ricorrente era sotto l’influenza dell’alcool quando aveva lasciato la fortezza con i sei imputati. Anche se non è stato provato che la sua condizione fosse il risultato della loro induzione a consumare alcolici a scopo di abuso sessuale, è stato comunque dimostrato che la ricorrente era ubriaca, che aveva difficoltà a camminare e che la sua capacità di acconsentire al rapporto sessuale era visibilmente compromessa.
  35. La Corte ha ritenuto che lo stato in cui il ricorrente si trovava al momento osservato dai testimoni e per un periodo di tempo che non poteva essere determinato con precisione doveva essere descritto come uno “stato di inferiorità”, sia fisica che mentale. Ha affermato che in materia di violenza sessuale la nozione di inferiorità non è necessariamente legata a una patologia mentale della vittima, ma può derivare da vari fattori, purché la loro gravità (incisività) sia in grado di viziare almeno il consenso. Ha aggiunto che la nozione di inferiorità non richiede una sottomissione assoluta da parte della vittima, ma è compatibile con un certo grado di resistenza da parte sua.
  36. Ricordava che il reato di violenza sessuale mediante abuso dell’inferiorità di una persona, punibile ai sensi dell’articolo 609bis § 2, comma 1, del codice penale, poteva essere caratterizzato dal fatto di costringere, senza necessariamente ricorrere alla violenza o all’intimidazione, una persona resa incapace di opporsi dal suo stato di inferiorità, allo scopo di farne un oggetto di soddisfazione sessuale. Per quanto riguarda l’elemento mentale del reato, spiegò che includeva sia la consapevolezza dell’inferiorità della vittima – un elemento che credeva fosse senza dubbio presente in questo caso – sia il fatto di agire per scopi sessuali. Ha affermato che lo stato di inferiorità non deve necessariamente essere causato dal colpevole, ma può essere il risultato di fattori ambientali esterni.
  37. I sei condannati hanno fatto appello. Sostenevano che la ricorrente aveva mentito almeno 29 volte e ritenevano che queste numerose dichiarazioni false provassero la sua totale mancanza di credibilità. Hanno ritenuto che la versione dei fatti della ricorrente fosse generalmente dubbia e che la valutazione frammentaria delle sue dichiarazioni da parte del tribunale fosse contraddittoria ed errata alla luce della giurisprudenza pertinente. Hanno visto le bugie della ricorrente, riconosciute dal tribunale, come un segno del suo pentimento per l’esperienza sessuale di gruppo a cui aveva acconsentito. Hanno sostenuto che lo stato di inferiorità fisica che avrebbe invalidato il consenso della ricorrente non era stato dimostrato e che il suo stato di inferiorità psicologica era stato negato dalle varie testimonianze raccolte dal tribunale. Hanno anche sostenuto che non potevano essere consapevoli di alcuna inferiorità da parte del ricorrente in ogni caso, dal momento che tutti gli altri erano sotto l’influenza dell’alcol.
  38. Con una sentenza del 4 marzo 2015, depositata il 3 giugno 2015, la Corte d’appello di Firenze ha assolto i sei imputati condannati in primo grado (vedi paragrafo 28 sopra). Ha considerato, in un primo tempo, che la parte della sentenza di primo grado che li assolveva dal reato di stupro commesso con violenza o minaccia (articolo 609bis § 1 del codice penale) era passata in giudicato, poiché il pubblico ministero non aveva presentato appello contro questa parte della sentenza. Di conseguenza, la Corte doveva solo
    esaminare la questione dell’abuso della presunta inferiorità della parte lesa (articolo 609bis § 2) e, di conseguenza, analizzare la situazione del ricorrente all’epoca dei fatti.
  39. La Corte d’appello ha ritenuto che le numerose incongruenze che la Corte aveva riscontrato nella versione degli eventi della ricorrente (si vedano i paragrafi 29 e 31 sopra) minassero la sua credibilità nel suo complesso. Ha ritenuto che la Corte avesse sbagliato a valutare in modo frammentario le varie dichiarazioni della ricorrente e ad accettare la sua credibilità in relazione a una parte dei fatti. A questo proposito, ha sottolineato che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia, una valutazione frammentaria delle dichiarazioni di una vittima di violenza sessuale è possibile solo nei casi in cui le dichiarazioni in questione si riferiscono a fatti diversi e indipendenti, come episodi separati di abuso, alcuni dei quali sono più comprovati di altri. Ha concluso che, poiché il caso in questione riguardava un unico episodio di abuso, non era possibile una “valutazione frammentaria” della credibilità della vittima. È alla luce di tutte le sue dichiarazioni che la credibilità della vittima doveva essere valutata.
  40. La Corte d’appello ha aggiunto che le dichiarazioni della ricorrente non erano state corroborate da altre prove, ma erano state invece contraddette dal rapporto dell’esame ginecologico, che mostrava lesioni incompatibili con le affermazioni della ricorrente, e dai risultati della ricerca di tracce di fluidi biologici che era stata effettuata nella macchina, sui vestiti della ricorrente e sulla sua persona. Infine, ha considerato che, lungi dall’essere una richiesta di aiuto, la risposta della ricorrente a S.L. era piuttosto una riaffermazione delle sue scelte sessuali, prima omosessuali e poi eterosessuali.
  41. Per quanto riguarda la presunta inferiorità della ricorrente, la Corte d’appello ha considerato all’inizio che era necessario escludere qualsiasi carenza psicologica nella ricorrente che potesse influenzare il suo consenso. Ha aggiunto che, sebbene la ricorrente stesse attraversando un periodo difficile in termini di vita familiare e affettiva – sua madre era gravemente malata, suo padre era assente e lei stessa aveva recentemente vissuto una rottura romantica e aveva appena iniziato una relazione con un uomo che aveva paura di incontrare – era una giovane donna “certamente fragile ma anche creativa e disinibita”, “capace di gestire la sua (bi)sessualità e di avere occasionali incontri sessuali di cui non era del tutto convinta”, come quelli che aveva avuto con L.L. in strada e con D.S., entrambi i quali aveva incontrato pochi giorni prima degli eventi, o la fellatio eseguita su D.S. nella toilette della fortezza, seguita da balli e giochi con il toro meccanico.
  42. La Corte d’appello ha inoltre osservato che diversi testimoni avevano dichiarato che la ricorrente si era comportata in modo estremamente provocatorio e volgare, che aveva ballato in modo lascivo strizzando alcuni degli imputati e che dopo aver avuto un rapporto sessuale con D.S. nei bagni, fatto che fu immediatamente rivelato al gruppo di amici, aveva mostrato la sua biancheria rossa mentre cavalcava un toro meccanico. La Corte d’appello ha anche notato che i testimoni L.B. e S.S. avevano semplicemente indicato che la ricorrente sembrava essere sotto l’influenza dell’alcol e che aveva difficoltà a camminare quando ha lasciato il parco. Infine, la Corte d’appello ha considerato che la testimonianza di S.L. sulla reazione della ricorrente quando era intervenuta per difenderla, suggeriva che la ricorrente non era stata vittima di violenza, ma che era capace di difendersi e persino di godere dei commenti fatti dal gruppo di amici sul suo nuovo orientamento sessuale. Alla luce di ciò, la Corte d’appello ha ritenuto che l’alcool non aveva compromesso la capacità di discernimento della donna.
  43. Esclusa l’esistenza di uno stato di inferiorità anche latente nel ricorrente, la Corte d’appello ha affermato che restava solo da esaminare la questione della “revoca del consenso inizialmente prestato”, che gli imputati avevano ritenuto, a torto o a ragione, sussistente durante la serata, anche alla luce del rapporto orale che D.S. aveva già “ottenuto” dal ricorrente nella toilette. La ricorrente non era stata infastidita dalle toccate e dai palpeggiamenti del gruppo di amici sulla pista da ballo fino a quando non aveva lasciato la fortezza e si era lasciata riaccompagnare alla macchina, dove era rimasta inerte mentre le manovre sessuali venivano eseguite, così che i membri del gruppo di amici erano stati “quasi sorpresi”
    quando lei aveva deciso di andarsene. La Corte d’appello ha ritenuto che, alla luce di questa prova, si poteva dire che gli imputati avessero considerato che c’era il consenso della ricorrente a fare sesso di gruppo, cosa che in definitiva non ha soddisfatto nessuno.
    Ha aggiunto che non c’era stata alcuna rottura significativa (cesura) da parte della ricorrente tra il suo precedente consenso e il suo successivo presunto disaccordo (dissenso), poiché aveva ammesso di essere rimasta inerte e in balia del gruppo durante l’incontro sessuale.
  44. La Corte d’appello ha ritenuto che la sua analisi, basata su un esame approfondito di tutte le suddette prove del processo, fosse confermata da considerazioni successive: l’assenza di tracce di graffi o colluttazioni sui corpi degli imputati, che erano stati arrestati subito dopo i fatti, e dal fatto che la ricorrente aveva pedalato per dieci minuti dopo le gravi violenze che affermava di aver subito. Questi dati, secondo la Corte d’appello, erano incoerenti con le gravi violenze e gli abusi a cui il ricorrente ha dichiarato di essere stato sottoposto per due ore (cfr. paragrafi 9 e 40).
  45. Ha quindi ritenuto che non fosse stato provato che la ricorrente si fosse trovata in uno stato di inferiorità dovuto agli effetti dell’alcol (alterazione alcolica), poiché, sebbene il piccolo gruppo fosse stato euforico dopo aver consumato una quantità relativamente piccola di alcol, il comportamento della ricorrente aveva in ogni caso suggerito che fosse stata abbastanza lucida quando aveva cavalcato il toro meccanico, cercato di contattare telefonicamente L.L. quando questi aveva accompagnato la sua ragazza a casa o risposto a S.L. in modo brusco. La Corte d’Appello ha ricordato che, secondo la Corte di Cassazione italiana, l’elemento materiale del reato di violenza sessuale commessa su una persona in stato di inferiorità si costituisce quando una persona, con azioni insidiose e subdole, incita un’altra a compiere atti sessuali abusando di uno stato di inferiorità indotto in lui dal consumo di alcol.
    1. La Corte d’appello ha ritenuto che, denunciando i fatti al centro antiviolenza e rivolgendosi al centro Artemisia, la ricorrente aveva cercato di “stigmatizzare” il fatto di non aver ostacolato l’esperienza di gruppo, allo scopo di reprimere un momento di fragilità e debolezza di cui aveva preso coscienza e che la sua vita non lineare avrebbe cercato di censurare. Ha ritenuto che il comportamento e le esperienze della ricorrente prima e dopo i fatti dimostrassero un atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso che la portava a fare scelte non pienamente assunte e vissute in modo contraddittorio e traumatico, come recitare nel cortometraggio di L.L. senza mostrare alcuna riluttanza verso le scene di sesso e violenza che conteneva, o partecipare, pochi giorni dopo la violenza lamentata, a un workshop intitolato “Sesso in transizione” a Belgrado.
  46. La Corte d’appello ha concluso che, sebbene deplorevoli, gli atti denunciati non erano penalmente perseguibili e che gli imputati dovevano essere assolti perché non era stato accertato l’elemento materiale del reato di violenza sessuale caratterizzato dall’abuso dello stato di inferiorità della vittima (perché il fatto non sussiste).
  47. Il 13 luglio 2015 la ricorrente ha inviato una memoria al pubblico ministero in cui contesta la motivazione della sentenza della Corte d’appello e chiede di presentare un ricorso in cassazione.
  48. Poiché il pubblico ministero non ha presentato ricorso in cassazione, la sentenza della Corte d’appello di Firenze è passata in giudicato il 20 luglio 2015.
  49. Il caso e il processo hanno attirato una notevole attenzione dei media. La ricorrente ha parlato dei fatti del caso sui social network e ha creato un blog su Internet dedicato alla causa della parità di genere e alla lotta contro la violenza di genere.
  50. Il 5 agosto 2015 è stata presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia un’interrogazione parlamentare sulle motivazioni della sentenza della Corte d’Appello di Firenze e sulla loro
    compatibilità con le disposizioni delle leggi nazionali e internazionali in materia di tutela dei diritti delle vittime di abusi sessuali e di contrasto alla violenza sulle donne. Non è stato esaminato.
    IL QUADRO GIURIDICO E LA PRATICA PERTINENTI
    I. DIRITTO INTERNO PERTINENTE
    A. Il codice penale
  51. L’articolo 609bis del codice penale italiano riguarda il reato di “violenza sessuale”. Si legge come segue:
    ” 1. L’atto di costringere, con violenza, minaccia o abuso di autorità, una persona a compiere atti di natura sessuale è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
  52. La stessa pena si applica per indurre una persona a compiere o a sottoporsi ad atti sessuali: 1) approfittando dell’inferiorità fisica o psicologica di questa persona al momento dell’atto; 2) ingannandola fingendo di essere un’altra persona.
  53. (3) Nei casi meno gravi, la pena detentiva è ridotta di non più di due terzi. “
    1. L’articolo 609ter afferma:
      “La pena di reclusione può essere da sei a dodici anni se si commettono i reati punibili secondo l’articolo 609bis:
      (…)
      2) con l’uso di armi, sostanze alcoliche, stupefacenti, narcotici o altri mezzi o sostanze che possono nuocere gravemente alla salute della parte lesa.
      (…) “
    1. Secondo l’articolo 609octies del codice penale, la “violenza sessuale di gruppo” è definita come la partecipazione di più persone alla violenza sessuale come previsto dall’articolo 609bis. Questo reato è punibile con la reclusione da sei a dodici anni.
      B. Il codice di procedura penale
  54. L’articolo 392 del codice di procedura penale (qui di seguito “CCP”) prevede che, nei procedimenti relativi, tra l’altro, ai reati puniti dall’articolo 609bis e 609octies, il pubblico ministero – se necessario su richiesta della parte lesa – o l’imputato possono chiedere che la testimonianza di un minore o quella del denunciante adulto sia assunta dal giudice delle indagini preliminari nell’ambito di un procedimento incidentale probatorio.
  55. Il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, che recepisce le disposizioni della direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, ha modificato l’articolo 392 del CPC aggiungendo il seguente comma:
    “Durante le indagini preliminari, quando la persona ferita è particolarmente vulnerabile, il pubblico ministero, se necessario su richiesta della persona ferita, o l’imputato possono chiedere che la testimonianza della persona ferita sia presa come parte di un incidente probatorio. “
    1. Secondo l’articolo 472, paragrafo 3 bis, del codice di procedura penale, le udienze per i reati sessuali sono pubbliche, a meno che la vittima non chieda che il procedimento si tenga a porte chiuse o sia minorenne. In tali procedimenti, le domande relative alla vita privata e sessuale della vittima sono ammesse solo se sono necessarie per la ricostruzione dei fatti.
      C. La possibilità per la parte civile di impugnare una decisione di assoluzione
    1. Ai sensi dell’articolo 572 del codice di procedura penale
      “La parte civile e la parte lesa (…) possono, con una richiesta motivata, chiedere al pubblico ministero di presentare un ricorso.
      Se la Procura non accoglie la richiesta, deve motivare la sua decisione e notificarla al richiedente. “
  56. Ai sensi dell’articolo 576 del CPC,
    “La parte civile può impugnare una sentenza di condanna nella parte relativa all’azione civile; può impugnare una sentenza di assoluzione solo per stabilire la responsabilità civile [del reo] …”
    D. Quadro legislativo nazionale sulla violenza contro le donne
  57. La legge n. 119 del 15 ottobre 2013, la cosiddetta legge sul femminicidio o piano d’azione straordinario per combattere la violenza contro le donne, prevede misure incentrate sui diritti procedurali delle vittime di violenza domestica, abuso sessuale, sfruttamento sessuale e molestie. Secondo le nuove disposizioni, i procuratori e le forze di polizia hanno l’obbligo legale di informare le vittime della possibilità di essere rappresentate da un avvocato nei procedimenti penali e di richiedere, attraverso i loro avvocati, un’audizione protetta. Devono anche informare le vittime della possibilità di ricevere assistenza legale e di come tale assistenza viene fornita. Inoltre, la legge prevede che le indagini sui presunti reati debbano essere condotte entro un anno dalla data della denuncia alla polizia e che i permessi di soggiorno per le vittime straniere di violenza, compresi i migranti senza documenti di identificazione, debbano essere estesi. La legge prevede anche la raccolta strutturata di dati in materia e il loro regolare aggiornamento, anche attraverso il coordinamento di banche dati già esistenti.
  58. La legge n. 69 del 19 luglio 2019, il cosiddetto “Codice Rosso”, ha introdotto nuovi reati – come il matrimonio forzato, lo sfigurare la vittima infliggendole danni permanenti al viso e la diffusione illegale di immagini o video sessualmente espliciti – e ha aumentato le pene per i reati di molestie, violenza sessuale e violenza domestica. Inoltre, i procedimenti relativi a tutti questi reati hanno la priorità.
    E. Codice etico per i giudici
  59. Il codice etico dei giudici è stato modificato nel 2010. L’articolo 12, terzo comma, del nuovo codice recita:
    “Nella motivazione delle decisioni e nello svolgimento delle udienze, il giudice considera i fatti e gli argomenti delle parti, evita di pronunciarsi su fatti o persone non pertinenti all’oggetto della causa, di esprimere giudizi o considerazioni sulla capacità professionale di altri giudici e difensori e – a meno che non sia necessario ai fini della decisione – sulle persone coinvolte nel processo. “
    II. DIRITTO INTERNAZIONALE PERTINENTE
    A. Le Nazioni Unite
  60. La Dichiarazione dei principi fondamentali di giustizia per le vittime di crimini e abusi di potere, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 40/34 del 29 novembre 1985, prevede che le vittime siano trattate con compassione e rispetto della loro dignità (Allegato, (allegato, articolo 4) e che la capacità dei sistemi giudiziari e amministrativi di rispondere alle esigenze delle vittime dovrebbe essere migliorata, anche adottando misure per ridurre al minimo le difficoltà che incontrano, per proteggere la loro privacy, se necessario, e per garantire la loro sicurezza e quella dei loro familiari e testimoni, liberi da intimidazioni e ritorsioni (allegato, articolo 6 (d)).
  61. Nelle sue osservazioni conclusive sul settimo rapporto sull’Italia, pubblicate il 4 luglio 2017 (CEDAW/C/ITA/7), il Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione contro le donne ha dichiarato, tra l’altro, quanto segue:
    “Stereotipi
  62. Il Comitato nota gli sforzi dello Stato parte per combattere gli stereotipi discriminatori di genere, promuovendo la condivisione delle responsabilità domestiche e parentali, e per combattere le rappresentazioni stereotipate delle donne nei media, rafforzando il ruolo dell’Istituto per l’autoregolamentazione della pubblicità. Tuttavia, nota con preoccupazione:
    (a) Il radicamento di stereotipi riguardanti i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia e nella società, perpetuando i ruoli tradizionali delle donne come madri e casalinghe e compromettendo il loro status sociale e le loro prospettive di istruzione e di carriera;
    (…)
    Violenza di genere contro le donne
  63. Il Comitato accoglie con favore le misure adottate per affrontare la violenza di genere contro le donne, compresa l’adozione e l’attuazione della legge n. 119/2013 sulle disposizioni urgenti di sicurezza per combattere la violenza di genere e la creazione di un osservatorio nazionale sulla violenza e di una banca dati nazionale sulla violenza di genere. Tuttavia, il Comitato rimane preoccupato per
    (a) L’alta prevalenza della violenza di genere contro le donne e le ragazze nello Stato parte;
    (b) La sottorappresentazione della violenza di genere contro le donne e i bassi tassi di procedimenti giudiziari e di condanne, che si traducono in impunità per i perpetratori
    (c) L’accesso limitato ai tribunali civili per le donne che sono vittime di violenza domestica e che chiedono un ordine di protezione
    (d) Il fatto che, sebbene queste procedure non siano obbligatorie, i tribunali continuano a rinviare le vittime a meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie, come la mediazione o la conciliazione, nei casi di violenza di genere contro le donne, così come l’uso emergente di meccanismi di giustizia riparativa per casi meno gravi di molestie, che potrebbe essere esteso ad altre forme di violenza di genere contro le donne
    (e) L’impatto cumulativo e sovrapposto degli atti razzisti, xenofobi e sessisti contro le donne
    (f) La mancanza di studi che affrontino le cause strutturali della violenza di genere contro le donne e l’assenza di misure per dare potere alle donne
    (g) Le disparità regionali e locali nella disponibilità e nella qualità dei servizi di assistenza e protezione, compresi i rifugi, per le donne vittime di violenza, così come le forme intersecanti di discriminazione contro le donne di gruppi minoritari che sono vittime di violenza.
  64. Ricordando le disposizioni della Convenzione e le sue raccomandazioni generali n° 19 (1992) sulla violenza contro le donne e n° 35 (2017) sulla violenza di genere contro le donne, aggiornando la raccomandazione generale n° 19, il Comitato raccomanda allo Stato parte:
    (a) Accelerare l’adozione di una legislazione completa per prevenire, combattere e punire tutte le forme di violenza contro le donne, così come il nuovo piano d’azione contro la violenza di genere, e garantire che siano stanziate adeguate risorse umane, tecniche e finanziarie per la loro attuazione sistematica ed efficace;
    (b) Valutare la risposta della polizia e della magistratura alle denunce di crimini sessuali e introdurre un rafforzamento obbligatorio delle capacità di giudici, procuratori, agenti di polizia e altri funzionari di polizia sulla rigorosa applicazione delle disposizioni del diritto penale relative alla violenza di genere contro le donne e sulle procedure sensibili al genere per ascoltare le donne vittime di violenza
    (c) Incoraggiare le donne a denunciare la violenza domestica e sessuale alle forze dell’ordine destigmatizzando le vittime, sensibilizzando la polizia e la magistratura e aumentando la consapevolezza della natura criminale di tali atti, e garantire l’effettivo accesso delle donne ai tribunali civili per ottenere ordini di protezione contro i partner violenti
    (d) Assicurare che i metodi alternativi di risoluzione delle controversie, come la mediazione, la conciliazione e la giustizia riparativa, non siano utilizzati dai tribunali nei casi di violenza di genere, al fine di evitare che diventino una barriera all’accesso delle donne alla giustizia formale, e armonizzare tutta la legislazione nazionale pertinente con la Convenzione di Istanbul
    (e) Garantire che gli atti razzisti, xenofobi e sessisti contro le donne siano oggetto di indagini approfondite, che gli autori siano perseguiti e che le pene siano proporzionate alla gravità degli atti;
    (f) Rafforzare la protezione e l’assistenza fornita alle donne vittime di violenza, anche aumentando la capacità dei rifugi e assicurando che rispondano ai bisogni delle vittime e coprano l’intero territorio dello Stato parte, stanziando adeguate risorse umane, tecniche e finanziarie e migliorando la cooperazione tra lo Stato e le organizzazioni non governative che forniscono rifugi e servizi di riabilitazione alle vittime
    (g) Raccogliere dati statistici sulla violenza domestica e sessuale, disaggregati per sesso, età, nazionalità e relazione tra la vittima e l’autore. “
    B. Il Consiglio d’Europa
  65. Il 7 aprile 2011, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul). È stato ratificato dall’Italia il 10 settembre 2013 ed è entrato in vigore il 1° agosto 2014.
    La suddetta convenzione comprende, tra l’altro, le seguenti disposizioni:
    Articolo 3 – Definizioni
    “Ai fini della presente Convenzione:
    (a) il termine “violenza contro le donne” è inteso come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, e indica qualsiasi atto di violenza basato sul genere che comporta, o può comportare, un danno o una sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica per le donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata;”
    Articolo 15 – Formazione dei professionisti
    ” 1. Le parti forniscono o rafforzano una formazione adeguata per i professionisti competenti che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, sulla prevenzione e l’individuazione di tale violenza, sull’uguaglianza di genere, sui bisogni e i diritti delle vittime, nonché su come prevenire la vittimizzazione secondaria.
    (…) “
    Articolo 36 – Violenza sessuale incluso lo stupro
    ” 1. Le parti adottano le misure legislative o altre misure necessarie per stabilire come reati penali, quando sono commessi intenzionalmente:
    a) penetrazione vaginale, anale o orale non consensuale del corpo di un’altra persona con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto, di natura sessuale ;
    (b) altri atti sessuali non consensuali su un’altra persona
    (c) costringere un’altra persona a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo.
  66. Il consenso deve essere dato volontariamente come risultato della libera volontà della persona interessata nel contesto delle circostanze circostanti.
  67. Le parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le disposizioni del paragrafo 1 si applichino anche agli atti commessi contro gli ex coniugi o partner attuali, conformemente al loro diritto interno. “
    Articolo 54 – Indagini e prove
    “Le parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, in qualsiasi procedimento civile o penale, le prove relative alla storia e alla condotta sessuale della vittima siano ammissibili solo se pertinenti e necessarie. “
    Articolo 56 – Misure di protezione
    ” 1. Le parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, comprese le loro esigenze specifiche come testimoni, in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari, in particolare:
    (a) Assicurando che essi, le loro famiglie e i testimoni dell’accusa siano protetti da intimidazioni, ritorsioni e rivittimizzazioni;
    (b) Garantire che le vittime siano informate, almeno nei casi in cui le vittime e la famiglia possono essere a rischio, quando l’autore del reato evade o è temporaneamente o permanentemente rilasciato dalla custodia;
    c) tenerli informati, alle condizioni previste dal loro diritto interno, dei loro diritti e dei servizi a loro disposizione, nonché del seguito dato alla loro denuncia, delle accuse formulate, dello svolgimento generale dell’indagine o del procedimento e del loro ruolo in essi, nonché della decisione adottata ;
    d) Fornire alle vittime, in accordo con le regole procedurali del loro diritto nazionale, l’opportunità di essere ascoltate, di presentare prove e di avere il loro punto di vista, i loro bisogni e le loro preoccupazioni, sia direttamente che attraverso un intermediario;
    e) Fornire un’assistenza adeguata alle vittime per garantire che i loro diritti e interessi siano adeguatamente presentati e affrontati;
    f) assicurare che possano essere prese misure per proteggere la privacy e l’immagine della vittima
    (g) garantire, ove possibile, che sia evitato il contatto tra le vittime e gli autori di reati all’interno dei locali del tribunale e delle forze dell’ordine
    h) fornire alle vittime interpreti indipendenti e competenti, quando le vittime sono parti del procedimento o quando forniscono prove
    (i) Permettere alle vittime di testimoniare in tribunale, in conformità con le regole del loro diritto nazionale, senza essere presenti, o almeno senza che il presunto colpevole sia presente, anche attraverso l’uso di tecnologie di comunicazione appropriate, se disponibili. “
  68. Il 13 gennaio 2020, il Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (“GREVIO”) ha pubblicato il suo primo rapporto di valutazione sull’Italia. Include il seguente passaggio:
    “Pur riconoscendo i progressi fatti nella promozione dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne, il rapporto rileva che la causa dell’uguaglianza di genere incontra resistenze in Italia. Il GREVIO esprime la sua preoccupazione per i segni emergenti di una tendenza a reinterpretare e riorientare le politiche di uguaglianza di genere in termini di politiche familiari e di maternità. Per superare queste sfide, GREVIO ritiene essenziale che le autorità continuino a progettare e ad attuare efficacemente politiche di uguaglianza di genere e di empowerment delle donne che riconoscano chiaramente la natura strutturale della violenza contro le donne come manifestazione di relazioni di potere storicamente ineguali tra donne e uomini. “
  69. Sulla base dei dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica (“ISTAT”), il suddetto rapporto rileva, tra l’altro, che i tassi di denuncia e di condanna per violenza sessuale sono relativamente bassi e in calo: mentre il numero di reati di violenza sessuale denunciati è aumentato da 4.617 nel 2011 a 4.046 nel 2016 (con un tasso di incidenza del modello vittima femminile/esecutore maschile superiore al 90%), il numero di autori condannati è sceso da 1.703 a 1.419 nello stesso periodo. La parte pertinente del rapporto recita:
    ” 225. GREVIO incoraggia fortemente le autorità italiane:
    a) a proseguire gli sforzi per garantire che le indagini e i procedimenti penali relativi ai casi di violenza di genere siano condotti rapidamente, assicurando nel contempo che le misure adottate a tal fine siano sostenute da finanziamenti adeguati ;
    b) assicurare la responsabilità e la giustizia penale per tutte le forme di violenza coperte dalla Convenzione
    (c) garantire che le sanzioni per la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, siano proporzionate alla gravità del reato e mantengano l’effetto deterrente delle sanzioni.
    I progressi in questo settore dovrebbero essere misurati con dati appropriati e supportati da analisi pertinenti del trattamento dei casi penali da parte delle forze dell’ordine, degli uffici del pubblico ministero e dei tribunali, al fine di accertare dove si sta verificando l’attrito e di identificare possibili lacune nella risposta istituzionale alla violenza contro le donne. “
  70. Il parere n. 11 (2008) del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) sulla qualità delle decisioni giudiziarie, contiene il seguente passaggio:
    ” 38. (…) Il ragionamento (di una decisione del tribunale) deve essere privo di qualsiasi valutazione offensiva o poco lusinghiera del contendente. “
    C. L’Unione Europea
  71. Adottata il 25 ottobre 2012, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio doveva essere recepita entro il 16 novembre 2015. È stato recepito nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015. Le parti pertinenti della direttiva recitano come segue:
    Recital 17
    “La violenza diretta contro una persona a causa del suo sesso, della sua identità o espressione di genere, o la violenza che colpisce in modo sproporzionato le persone di un determinato sesso, è considerata violenza di genere. Può risultare in un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico o in una perdita materiale per la vittima. La violenza di genere è intesa come una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza domestica, la violenza sessuale (compreso lo stupro, la violenza sessuale e le molestie sessuali), il traffico di esseri umani, la schiavitù, così come varie forme di pratiche dannose come i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti “crimini d’onore”. Le donne vittime di violenza di genere e i loro figli spesso richiedono sostegno e protezione specifici a causa dell’alto rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsione associati a tale violenza. “
    Articolo 18 – Diritto alla protezione
    “Fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri garantiscono l’esistenza di misure per proteggere la vittima e i suoi familiari dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, dall’intimidazione e dalle ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici, e per proteggere la dignità della vittima durante l’audizione e la testimonianza. Se necessario, tali misure includono anche procedure stabilite dal diritto nazionale per proteggere l’integrità fisica della vittima e dei suoi familiari. “
    Articolo 19 – Diritto di evitare il contatto tra la vittima e l’autore del reato
    ” 1. 1. Gli Stati membri stabiliscono le condizioni per evitare contatti tra la vittima e i suoi eventuali familiari e l’autore del reato nei locali in cui si svolge il procedimento penale, a meno che il procedimento penale non richieda tale contatto.
  72. Gli Stati membri assicurano che i nuovi edifici giudiziari dispongano di aree di attesa separate per le vittime. “
    Articolo 21 – Diritto alla privacy
    ” 1. Gli Stati membri garantiscono che le autorità competenti possano adottare misure adeguate per proteggere la vita privata durante il procedimento penale, comprese le caratteristiche personali della vittima prese in considerazione nella valutazione personalizzata di cui all’articolo 22, e l’immagine della vittima e dei suoi familiari. Inoltre, gli Stati membri assicurano che le autorità competenti possano adottare tutte le misure legali per impedire la diffusione pubblica di qualsiasi informazione che potrebbe portare all’identificazione della vittima quando questa è un bambino.
  73. Al fine di proteggere la vita privata, l’integrità personale e i dati personali della vittima, gli Stati membri, nel rispetto della libertà di espressione e di informazione e della libertà e del pluralismo dei media, incoraggiano i media ad adottare misure di autoregolamentazione. “
    Articolo 22 – Valutazione personalizzata delle vittime per identificare i bisogni specifici di protezione
    ” 1. Gli Stati membri garantiscono che le vittime siano tempestivamente oggetto di una valutazione individuale, conformemente alle procedure nazionali, al fine di individuare le specifiche esigenze di protezione e determinare se e in quale misura possano beneficiare di misure speciali nel procedimento penale, come previsto dagli articoli 23 e 24, a causa della loro particolare esposizione al rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazione e ritorsione.
  74. La valutazione personalizzata tiene conto in particolare di:
    (a) le caratteristiche personali della vittima ;
    b) il tipo o la natura del reato; e
    c) le circostanze del reato.
  75. Nell’ambito della valutazione personalizzata, si presta particolare attenzione alle vittime che hanno subito un danno considerevole a causa della gravità del reato, a quelle che hanno subito un’offesa basata su un motivo pregiudizievole o discriminatorio, che potrebbe essere legato, tra l’altro, alle loro caratteristiche personali, e a quelle la cui relazione o dipendenza dall’autore del reato le rende particolarmente vulnerabili. A questo proposito, la dovuta considerazione è data alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del traffico di esseri umani, della violenza di genere, della violenza domestica, della violenza sessuale o dello sfruttamento, o dei crimini d’odio, così come alle vittime con disabilità. “
    Articolo 23 – Diritto alla protezione delle vittime con bisogni speciali di protezione durante il procedimento penale
    “Fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto del potere discrezionale del giudice, gli Stati membri garantiscono che le vittime con particolari esigenze di protezione che beneficiano di misure speciali individuate in seguito alla valutazione individuale di cui all’articolo 22, paragrafo 1, possano beneficiare delle misure previste ai paragrafi 2 e 3 del presente articolo. Una misura speciale prevista a seguito della valutazione personalizzata non è concessa se vincoli operativi o pratici la rendono impossibile o se c’è un bisogno urgente di interrogare la vittima, in quanto la mancata audizione può arrecare pregiudizio alla vittima, a un’altra persona o allo svolgimento del procedimento.
  76. Durante l’indagine penale, le seguenti misure sono messe a disposizione delle vittime con esigenze specifiche di protezione individuate conformemente all’articolo 22, paragrafo 1:
    (…)
    (b) la vittima è interrogata da o con l’assistenza di professionisti formati;
    (…)
  77. Durante il procedimento giudiziario, le seguenti misure sono messe a disposizione delle vittime con esigenze specifiche di protezione individuate conformemente all’articolo 22, paragrafo 1:
    (a) misure per evitare il contatto visivo tra la vittima e l’autore del reato, anche durante la deposizione, attraverso l’uso di mezzi adeguati, compresa la tecnologia di comunicazione ;
    (b) misure per permettere alla vittima di essere ascoltata in udienza senza essere presente, anche attraverso l’uso di tecnologie di comunicazione appropriate
    (c) misure per evitare inutili audizioni della vita privata della vittima non collegate al reato; e
    d) misure per permettere che le udienze si tengano in privato. “
    IN DIRITTO
    I. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  78. La ricorrente lamentava che le autorità nazionali non avevano tutelato il suo diritto al rispetto della sua vita privata e della sua integrità personale nel procedimento penale in questione. Si è basata sull’articolo 8 della Convenzione, che recita:
    “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata (…).
  79. Non ci sarà alcuna interferenza da parte di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto, eccetto quella che è conforme alla legge e che è necessaria in una società democratica nell’interesse della sicurezza
    nazionale o della sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese, per la prevenzione di disordini o crimini, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui. “
    A. Ammissibilità
  80. 1. La regola dei sei mesi
  81. Il governo ha sostenuto che la ricorrente non aveva presentato il suo ricorso entro il termine di sei mesi dalla data della decisione finale raggiunta nel processo di esaurimento dei rimedi interni, cioè il 20 luglio 2015. A questo proposito, afferma che la Corte ha ricevuto la domanda solo il 25 gennaio 2016.
  82. La ricorrente dichiara di aver spedito la sua domanda entro il termine di sei mesi, cioè il 19 gennaio 2016.
  83. La Corte osserva che la sentenza della Corte d’appello di Firenze è passata in giudicato il 20 luglio 2015. Il termine di sei mesi a disposizione della ricorrente per presentare il suo ricorso alla Corte ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione è quindi scaduto il 20 gennaio 2016. Tuttavia, la busta contenente la domanda è stata inviata dall’Italia il 19 gennaio 2016, data del timbro postale.
  84. La Corte ritiene che la data di presentazione della domanda sia quella del timbro postale (Vasiliauskas c. Lituania [GC], no. 35343/05, § 117, CEDU 2015). Di conseguenza, l’obiezione sollevata dal governo deve essere respinta.
  85. Esaurimento dei rimedi interni
  86. Il governo ha ritenuto che la ricorrente non avesse esaurito i rimedi interni, spiegando che non aveva fatto ricorso alla Corte di Cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze e non aveva impugnato la sentenza di primo grado. Ha sottolineato che l’articolo 576 del codice di procedura penale fornisce un rimedio efficace, che la parte civile può esercitare, anche in assenza di appello da parte del pubblico ministero, al fine di ottenere il riconoscimento di un nesso di causalità tra la condotta dell’autore e la violazione dei diritti civili della vittima.
    1. A riprova di ciò, in diverse sentenze la Corte di Cassazione italiana ha ordinato l’annullamento di una decisione di assoluzione e il rinvio del caso al tribunale civile per una decisione sulla richiesta di risarcimento della parte civile. In queste circostanze, il giudice civile è tenuto ad applicare le regole proprie del diritto penale, in particolare per quanto riguarda l’onere della prova, al fine di determinare la responsabilità del colpevole (sentenze della Corte di Cassazione n. 42995 del 2015 e n. 27045 del 2016).
  87. Il governo ha concluso che la ricorrente aveva così rinunciato al suo diritto di diritto interno di esercitare tale rimedio per riaffermare davanti a un giudice la sua versione dei fatti e per contestare sia la decisione di assolvere gli imputati sia i motivi, comprese le considerazioni relative alla sua vita privata, su cui era basata.
  88. Il governo riteneva inoltre che scegliendo di non appellarsi contro la parte della sentenza del processo relativa all’assoluzione degli imputati per il reato di stupro commesso con violenza, il ricorrente aveva implicitamente accettato la ricostruzione dei fatti da parte dei giudici. Per quanto riguarda la richiesta del ricorrente al pubblico ministero di presentare un ricorso in cassazione (cfr. paragrafo 48), il governo ha dichiarato che non era stata presentata nel modo prescritto dall’articolo 572 del codice di procedura penale, sottolineando che il pubblico ministero era in ogni caso libero di decidere se presentare o meno un ricorso.
  89. La ricorrente afferma che solo il pubblico ministero può presentare un appello contro una decisione di assoluzione pronunciata in primo grado o in appello, mentre la parte civile ha la sola possibilità, ai sensi dell’articolo 572 del CPC, di chiedere al pubblico ministero di presentare tale appello. Di conseguenza,
    inviando al pubblico ministero il suo memorandum, rimasto lettera morta, il 13 luglio 2015, aveva fatto ricorso all’ultima possibilità prevista dal diritto nazionale di far stabilire la responsabilità penale dei suoi aggressori.
  90. La ricorrente sostiene che un ricorso ai sensi dell’articolo 576 del codice di procedura penale avrebbe solo permesso di riconoscere eventuali elementi di responsabilità civile, ma che non avrebbe avuto alcun effetto sull’assoluzione degli imputati per il reato di cui si considerava vittima, poiché il giudice non poteva comunque, in assenza di un ricorso del pubblico ministero, pronunciarsi sugli aspetti penali della decisione impugnata. A questo proposito, il ricorrente ha prodotto delle sentenze della Corte di Cassazione dalle quali ha concluso che un ricorso della parte civile contro una decisione di assoluzione deve necessariamente riguardare unicamente la responsabilità civile dell’autore del reato, cioè le richieste di risarcimento nei suoi confronti, Così, un ricorso per il riconoscimento della responsabilità penale dell’interessato sarebbe inammissibile in quanto contrario al principio dell’autorità di cosa giudicata in materia penale (intangibilità del giudicato penale) (sentenze della Corte di Cassazione n. 41479 del 2011 e n. 23155 del 2012).
  91. La ricorrente ha inoltre sostenuto che la scelta dell’accusa di non impugnare in cassazione la sentenza della Corte d’appello di Firenze l’ha privata di ogni possibilità di ottenere un accertamento della responsabilità penale dei suoi aggressori e, di conseguenza, un’adeguata riparazione del suo danno.
  92. La Corte ribadisce che l’obbligo di esaurire i rimedi interni ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione riguarda i rimedi che sono a disposizione del richiedente e che possono porre rimedio alla situazione di cui si lamenta. Tali rimedi devono esistere con un sufficiente grado di certezza, non solo in teoria ma anche in pratica, senza il quale essi mancano della necessaria accessibilità ed efficacia; spetta allo Stato convenuto dimostrare che tali requisiti sono soddisfatti (si veda, tra le altre autorità, Vučković e altri c. Serbia (obiezione preliminare) [GC], n. 17153/11, §§ 69-77, 25 marzo 2014).
  93. Al fine di decidere se la ricorrente abbia, nelle particolari circostanze del caso di specie, soddisfatto il requisito dell’esaurimento dei mezzi di ricorso interni, è necessario innanzitutto determinare quale azione o omissione da parte delle autorità dello Stato convenuto la ricorrente ritiene che la danneggi (vedi, tra le altre autorità, Ciobanu c. Romania (dec.) n. 29053/95, 20 aprile 1999). La Corte osserva a questo proposito che la denuncia della ricorrente è che le autorità non hanno garantito la protezione effettiva della sua autonomia sessuale e che non hanno adottato misure sufficienti per proteggere il suo diritto alla privacy e all’integrità personale nel procedimento penale in questo caso.
  94. La Corte non è convinta dell’argomentazione del governo secondo cui la ricorrente avrebbe potuto ottenere un rimedio appropriato per la sua doglianza facendo ricorso in appello e poi ricorrendo alla Corte di Cassazione, conformemente all’articolo 576 del CPC, per ottenere il riconoscimento della responsabilità civile dei suoi presunti assalitori.
  95. Ricorda che gli obblighi positivi degli Stati membri ai sensi degli articoli 3 e 8 della Convenzione richiedono la criminalizzazione e l’effettiva punizione con misure penali di tutti gli atti sessuali non consensuali (si veda, tra le altre autorità, M.C. c. Bulgaria, no. 39272/98, § 166, CEDU 2003 XII, e Y. c. Bulgaria, no. 41990/18, § 95, 20 febbraio 2020).
  96. La Corte osserva che, in quanto parte civile, la ricorrente poteva impugnare la sentenza di primo grado solo per la parte riguardante l’azione civile. Inoltre, in mancanza di un appello del pubblico ministero contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze, l’assoluzione degli imputati era diventata definitiva e non poteva quindi essere contestata in base al principio dell’autorità di cosa giudicata.
  97. Ne consegue che i ricorsi presentati dalla ricorrente come parte civile ai sensi del diritto nazionale non avrebbero avuto l’efficacia che avrebbero dovuto avere. Di conseguenza, l’eccezione del governo di non esaurimento dei mezzi di ricorso interni deve essere respinta.
  98. Lo stato di vittima del richiedente
  99. Il governo ha sostenuto che la ricorrente non aveva lo status di vittima. Ha considerato, in primo luogo, che la ricorrente non poteva lamentarsi del fatto che le fossero stati negati i diritti conferiti alle vittime di abusi sessuali, poiché i tribunali nazionali avevano escluso, con una decisione divenuta definitiva, l’esistenza di qualsiasi violenza sessuale nei suoi confronti. Ha aggiunto che le autorità italiane non sono state responsabili nei confronti del ricorrente per il mancato rispetto dei loro obblighi positivi derivanti dalla Convenzione per garantire la protezione del diritto alla vita privata. A questo proposito, ha rinviato la Corte ai suoi argomenti di difesa sul merito del ricorso.
  100. La ricorrente ha risposto che il fatto che gli imputati non fossero stati condannati in un processo in cui lei riteneva che i suoi diritti ai sensi degli articoli 8 e 14 della Convenzione fossero stati violati non poteva incidere sul concetto di vittima ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
  101. La Corte nota che l’obiezione del governo sulla mancanza dello status di vittima si riferisce in sostanza alla questione se l’integrità personale della ricorrente e il suo diritto al rispetto della sua vita privata siano stati violati. Esaminerà quindi questa obiezione contemporaneamente al merito delle denunce.
  102. Conclusione
  103. Ritenendo che il ricorso non sia manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e che non sollevi altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ammissibile.
    B. I meriti
  104. Le osservazioni delle parti
    (a) Il richiedente
  105. La ricorrente ha ritenuto che i suoi diritti di presunta vittima non fossero stati sufficientemente protetti nel procedimento per stupro contro i suoi presunti aggressori. Ha spiegato che l’intera procedura è stata lunga e dolorosa. Si sostiene che sia stata sottoposta a continue e ingiustificate interferenze con la sua privacy da parte delle autorità, che secondo lei avrebbero dovuto proteggerla in quanto donna vittima di violenza sessuale e quindi come persona vulnerabile. Ritiene che si tratti di una violazione da parte dello Stato convenuto dei suoi obblighi positivi ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
  106. Ritiene che sotto diversi aspetti lo Stato italiano non abbia garantito un’indagine e un’azione penale adeguate. Per esempio, sarebbe stata sottoposta a diverse ore di interrogatorio negli uffici della polizia e del procuratore e poi ascoltata in pubblico, durante le quali le sono stati fatti fornire dettagli della sua vita sessuale, familiare e personale, esponendosi al giudizio morale degli altri. I suoi presunti assalitori non avrebbero dovuto subire lo stesso trattamento.
  107. Sostiene inoltre che la Corte d’appello ha deciso di assolvere gli imputati sulla base di una valutazione soggettiva delle sue abitudini sessuali e delle sue scelte intime e personali, e non sulla base di prove oggettive. Ha fatto riferimento alle testimonianze di S.L., L.B. e S.S., che i giudici del processo avevano considerato come prove inconfutabili dello stato di inferiorità fisica e psicologica in cui diceva di essersi trovata al momento dei reati, e che tuttavia erano state ignorate dalla Corte d’appello, che aveva preferito le dichiarazioni degli imputati. Secondo la ricorrente, la sentenza della Corte d’appello ha riprodotto un concetto restrittivo e superato di violenza sessuale, in violazione dei principi enunciati dalla Corte nella sentenza M.C. c. Bulgaria, citata sopra.
  108. La ricorrente ha inoltre deplorato il fatto che la Procura abbia respinto il suo ricorso alla Corte di Cassazione, privandola così di un’ultima opportunità di beneficiare di un’azione penale efficace, e che l’interrogazione parlamentare rivolta ai membri del governo nel 2015 sia rimasta senza risposta.
  109. Ha inoltre affermato di essere stata interrogata più volte su dettagli della sua vita privata e sessuale che non erano collegati all’aggressione, ad esempio sulle sue performance artistiche, le sue relazioni sessuali – che le sarebbe stato chiesto di descrivere nei minimi dettagli – la sua scelta di seguire una dieta vegana, e persino il significato degli pseudonimi usati sui social network per riferirsi a lei. Lei ritiene che lo scopo di queste domande non era quello di chiarire i fatti, ma di dimostrare che il suo stile di vita e il suo orientamento sessuale erano “anormali”. Lei sostiene che i giudizi di valore così espressi sulla sua vita privata hanno avuto una sicura influenza sull’esito del processo e che i giudici hanno scelto di condannare la sua vita privata piuttosto che giudicare i suoi aggressori.
  110. Aggiungeva che durante il procedimento il giudice che presiedeva aveva dovuto intervenire più volte per evitare domande tendenziose e per permetterle di riprendersi dalle sue emozioni, cosa che considerava una prova del carattere doloroso delle sue udienze piuttosto che un’illustrazione dell’attenzione che le autorità le avevano dedicato.
  111. Ha anche criticato le autorità nazionali per non aver tenuto conto delle profonde sofferenze che, a suo dire, le sono state causate, per non averle fornito un sostegno psicologico e per non aver preso misure per garantire la protezione della sua integrità personale. Afferma che l’unico sostegno psicologico che ha ricevuto è stato quello del Centro Artemisia, specializzato nel sostegno alle donne vittime di violenza, al quale si era rivolta di sua iniziativa dopo i fatti.
  112. La ricorrente fa riferimento alla giurisprudenza della Corte sulle misure di protezione delle vittime di violenza sessuale, così come alle disposizioni della Convenzione di Istanbul, che condanna ogni forma di intimidazione e di vittimizzazione secondaria delle vittime.
    Lamenta che i giudici che si sono pronunciati sul suo caso hanno stigmatizzato la sua vita personale, familiare e sessuale come base delle loro decisioni in prima e, più in particolare, in seconda istanza. Ritiene che così facendo non hanno rispettato il diritto nazionale, in particolare l’articolo 472, paragrafo 3a, del codice di procedura penale, che vieta l’interrogatorio ingiustificato della vita privata e sessuale della vittima di violenza sessuale. La ricorrente ha anche lamentato una violazione del suo diritto alla riservatezza dei suoi dati personali nel contesto del processo, che si è tenuto in pubblico e ha ricevuto un’ampia copertura mediatica. Quanto alla possibilità, evocata dal Governo, che avrebbe dovuto avvalersi dell’articolo 392 del CPC, ella sosteneva che la possibilità per le vittime vulnerabili di essere ascoltate in un incidente probatorio era stata stabilita solo dal decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, entrato in vigore dopo il procedimento impugnato.
  113. In generale, ha criticato il quadro legislativo e istituzionale messo in atto in Italia per la protezione delle donne contro la violenza di genere, descrivendolo come insufficiente sotto diversi aspetti e come non conforme agli obblighi derivanti dagli strumenti internazionali pertinenti.
    (b) Il governo
  114. Il governo ha sostenuto che il procedimento condotto dalle autorità nazionali era stato efficace e che la sua durata non era stata eccessiva rispetto alla complessità del caso. Ha dichiarato che la procedura d’indagine, durata nove mesi, era stata avviata molto rapidamente ed era stata molto attiva. Per quanto riguarda il procedimento giudiziario, egli ritiene che non ci sia stato alcun ritardo ingiustificato, notando che sono state ascoltate diverse persone, sia come imputati che come testimoni, e che durante il procedimento sono state esaminate molte prove.
  115. Egli vede anche la prova dell’efficacia del procedimento nel fatto stesso che l’indagine si è conclusa con una decisione di rinvio a giudizio degli indagati e che è stata seguita da una condanna in primo grado. L’assoluzione successivamente decisa dalla Corte d’Appello è stata solo il risultato di una diversa analisi della responsabilità degli imputati, effettuata alla luce di tutte le risultanze dell’inchiesta e in conformità
    con la giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla possibilità di valutare in modo frammentario la credibilità dei testimoni nei procedimenti di violenza sessuale.
  116. In queste circostanze, il governo ha ritenuto che il reclamo del ricorrente sulla mancanza di tempestività nel procedimento fosse generico e non specifico. Ha aggiunto che la ricorrente non è riuscita a dimostrare che il modo in cui l’indagine e il processo sono stati condotti ha violato il suo diritto alla privacy.
  117. In primo luogo, contesta tutti i riferimenti fatti dal ricorrente a testi sulla protezione delle vittime di violenza di genere e sessuale, come la Convenzione di Istanbul o altri strumenti internazionali, che considera irrilevanti nel caso di specie. A questo proposito, ricorda che la ricorrente non è stata riconosciuta come vittima di violenza sessuale dalle autorità giudiziarie competenti e che, inoltre, l’uso della violenza nei suoi confronti è stato definitivamente escluso nella sentenza di primo grado.
  118. In secondo luogo, ha ritenuto che le domande poste alla ricorrente durante l’inchiesta e al processo non potessero costituire un’interferenza sproporzionata o ingiustificata nella sua vita privata. Ha dichiarato che gli inquirenti avevano semplicemente risposto al desiderio della ricorrente di presentare una denuncia e avevano fatto le domande necessarie per ricostruire i fatti che lei aveva riferito. Riteneva che le autorità non fossero uscite dal loro ruolo di investigatori imparziali durante le udienze del 31 luglio e del 16 settembre 2008 e che non avessero mai invaso la vita privata del ricorrente, limitandosi a indagare sui fatti senza esprimere alcun giudizio morale.
  119. Ritenne inoltre che il pubblico ministero e il giudice che presiedeva il processo avessero mostrato un atteggiamento rispettoso durante il procedimento, tenendo conto della sensibilità della ricorrente, e fossero rimasti costantemente preoccupati per il suo benessere, anche durante i controinterrogatori condotti dagli avvocati della difesa, durante i quali il giudice che presiedeva il processo era intervenuto in diverse occasioni allo scopo di impedire qualsiasi domanda tendenziosa e consentire alla ricorrente di ritrovare la sua compostezza. Aggiungeva che, a differenza del caso di Y. c. Slovenia (n. 41107/10, CEDU 2015 (estratti)), i controinterrogatori nel presente caso erano stati presumibilmente condotti dagli avvocati degli imputati, che non avevano mai posto direttamente le domande.
  120. In ogni caso, il governo ha ritenuto che, conformemente all’articolo 392 del TBC, il ricorrente avrebbe potuto chiedere di essere sentito nell’ambito di un incidente probatorio organizzato durante le indagini preliminari ed evitare così di essere sottoposto a un controinterrogatorio durante il procedimento.
  121. Per quanto riguarda le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello, egli sostiene che sono conformi alla legge e basate su una valutazione di tutte le prove raccolte durante il processo. Tutti gli elementi relativi alla vita privata della ricorrente, come le sue precedenti relazioni con L.L., la sua bisessualità e la descrizione della lingerie che indossava al momento dei fatti, erano stati citati dalla Corte d’appello al solo scopo di fornire una descrizione il più possibile esaustiva dello svolgimento della serata del 25 luglio 2008 e, allo stesso tempo, di evidenziare eventuali incongruenze nella versione dei fatti della ricorrente, permettendo così una valutazione della sua credibilità. Inoltre, nella sua sentenza di assoluzione degli imputati per l’accusa principale di stupro commesso con violenza, il tribunale avrebbe già notato queste incongruenze. Non appellandosi contro questa parte della sentenza, la ricorrente aveva quindi rinunciato al diritto di contestare le conclusioni sull’affidabilità della sua versione dei fatti e aveva implicitamente accettato la presentazione dei fatti da parte dei convenuti.
  122. Il governo ha sostenuto che la Corte d’appello aveva constatato la mancanza di credibilità del ricorrente sulla base di una serie di elementi oggettivi, come i risultati degli esami forensi effettuati nell’auto e sugli abiti dei vari partecipanti, la ricerca di tracce di DNA, il rapporto sull’esame ginecologico, l’esame dei tabulati telefonici e l’identificazione dei vari terminali che erano stati attivati, e dopo aver escluso la possibilità di una valutazione frazionata delle dichiarazioni del ricorrente alla luce della giurisprudenza pertinente. In queste circostanze, il Comitato ritiene che i riferimenti fatti alla personalità
    complessa, disinibita e creativa del ricorrente avevano lo scopo di contestualizzare in modo rigoroso gli argomenti dell’accusa, senza che venisse espresso alcun giudizio morale e senza alcuna interferenza ingiustificata nella vita privata del ricorrente.
  123. Ha ritenuto che, visto il contesto del caso, il pubblico ministero aveva fatto bene a non presentare un ricorso in cassazione contro la sentenza della Corte d’appello, spiegando che non avrebbe avuto alcuna base giuridica e nessuna possibilità di successo.
  124. Il governo ha inoltre negato qualsiasi affermazione secondo cui il ricorrente era stato sottoposto a una “vittimizzazione secondaria” da parte delle autorità giudiziarie nel corso del processo. Una semplice lettura dei verbali delle udienze ha dimostrato che l’approccio del procuratore e del giudice che presiedeva era stato sensibile durante tutte le udienze della ricorrente e che lei non era stata sottoposta a inutili umiliazioni. Ha trovato significativo, a questo proposito, che la ricorrente non abbia dimostrato, sia davanti al tribunale che alla Corte d’appello, il danno esistenziale e/o fisico che sosteneva di aver subito.
  125. Aggiungeva che le autorità giudiziarie erano chiamate a giudicare persone accusate di un reato grave e che erano quindi tenute a valutare rigorosamente tutti gli elementi relativi alla credibilità della ricorrente e allo stato di inferiorità fisica e psicologica in cui affermava di essersi trovata al momento dei fatti. Il rigore richiesto ai giudici d’appello sarebbe stato tanto più necessario in considerazione del fatto che il tribunale aveva assolto gli imputati dal reato di stupro con violenza – e D.S. da tutte le accuse – evidenziando le incongruenze nella versione dei fatti della ricorrente e constatando che esse mettevano in dubbio la sua credibilità.
  126. Ha fatto riferimento, a questo proposito, al dovere di proteggere i diritti degli imputati ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione e ha sostenuto che la valutazione della personalità di un testimone o di una vittima di violenza sessuale è consentita dal diritto nazionale nella misura in cui è necessaria per valutare la sua credibilità e la sua versione dei fatti.
  127. Infine, ha dichiarato che il ricorrente avrebbe potuto evitare il carattere pubblico del procedimento chiedendo al tribunale, sulla base dell’articolo 472(3a) del codice di procedura penale, di giudicare il caso a porte chiuse, e ha ritenuto che il ricorrente avesse ricevuto un’adeguata consulenza psicologica durante tutto il procedimento.
  128. In conclusione, il Comitato ritiene che le autorità non possano essere criticate per lo svolgimento del procedimento nel suo complesso e per il rispetto degli obblighi positivi dell’articolo 8 della Convenzione.
  129. La valutazione della Corte
  130. La Corte osserva che l’articolo 8, come l’articolo 3, impone un obbligo positivo agli Stati di adottare disposizioni di diritto penale che criminalizzino e puniscano efficacemente qualsiasi atto sessuale non consensuale, anche quando la vittima non ha opposto resistenza fisica, e di dare effetto pratico a tali disposizioni svolgendo indagini e procedimenti efficaci (si veda M.C. c. Bulgaria, citata, §§ 153 e 166).
  131. Ricorda inoltre che l’obbligo positivo dello Stato ai sensi dell’articolo 8 di proteggere l’integrità fisica dell’individuo richiede, in casi così gravi come lo stupro, disposizioni penali efficaci e può quindi estendersi a questioni riguardanti l’efficacia dell’indagine penale condotta al fine di attuare tali disposizioni (M.N. v. Bulgaria, no. 3832/06, § 40, 27 novembre 2012). Per quanto riguarda l’obbligo di condurre un’indagine efficace, la Corte ribadisce che si tratta di un obbligo di mezzi e non di risultato. Anche se questo requisito non significa che tutti i procedimenti penali debbano sfociare in una condanna, o anche nell’imposizione di una pena specifica, le autorità giudiziarie nazionali non devono in nessun caso essere disposte a permettere che le violazioni dell’integrità fisica e morale degli individui rimangano impunite, al fine di preservare la fiducia del pubblico nel rispetto del principio di legalità e di evitare qualsiasi apparenza di complicità o tolleranza degli atti illegali. Un requisito di prontezza e di diligenza è anche implicito in questo contesto.
    Indipendentemente dall’esito del procedimento, i meccanismi di protezione previsti dal diritto interno devono operare in pratica in un lasso di tempo ragionevole che consenta la conclusione dell’esame del merito dei casi concreti sottoposti alle autorità (si veda, tra le altre, M.N. c. Bulgaria, citata, §§ 46-49, e N.Ç. c. Turchia, n. 40591/11, § 96, 9 febbraio 2021).
  132. Inoltre, la Corte ha già dichiarato che i diritti delle vittime di reati che sono parti di un procedimento penale rientrano generalmente nell’ambito dell’articolo 8 della Convenzione. A questo proposito, la Corte ribadisce che, se lo scopo dell’articolo 8 è essenzialmente quello di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte dei poteri pubblici, esso non impone semplicemente allo Stato di astenersi da tali interferenze: oltre a questo obbligo negativo, ci possono essere obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi obblighi possono comportare l’adozione di misure per garantire il rispetto della vita privata anche nei rapporti tra gli individui (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 23, serie A n. 91). Ne consegue che gli Stati contraenti devono organizzare i loro procedimenti penali in modo da non mettere indebitamente in pericolo la vita, la libertà e la sicurezza dei testimoni e in particolare delle vittime chiamate a deporre. Gli interessi della difesa devono quindi essere soppesati con quelli dei testimoni o delle vittime chiamati a deporre (Doorson c. Paesi Bassi, 26 marzo 1996, § 70, Reports of Judgments and Decisions 1996 II). Inoltre, i procedimenti penali relativi ai reati sessuali sono spesso vissuti come un calvario dalla vittima, in particolare quando quest’ultima si confronta contro la sua volontà con l’imputato e in un caso che coinvolge un minore (S.N. v. Sweden, no. 34209/96, § 47, CEDU 2002 V, e Aigner v. Austria, no. 28328/03, § 35, 10 maggio 2012). Di conseguenza, nel contesto di tali procedimenti penali, possono essere adottate speciali misure di protezione per proteggere le vittime (vedi Y. v. Slovenia, citata, §§ 103 e 104). Le disposizioni in questione implicano un’assistenza adeguata alla vittima durante il procedimento penale, ciò al fine di proteggerla dalla vittimizzazione secondaria (Y. c. Slovenia, sopra citata, §§ 97 e 101, A e B c. Croazia, n. 7144/15, § 121, 20 giugno 2019, e N.Ç. c. Turchia, sopra citata, § 95).
  133. La Corte osserva che tutti questi obblighi positivi derivano anche dalle disposizioni di altri strumenti internazionali (cfr. paragrafi 63, 64, 65 e 69). La Corte ricorda in particolare che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica impone alle parti contraenti di adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per proteggere i diritti e gli interessi delle vittime, In particolare, per proteggere le vittime dall’intimidazione e dalla rivittimizzazione, per permettere loro di essere ascoltate e di presentare i loro punti di vista, i loro bisogni e le loro preoccupazioni e per farli prendere in considerazione, e infine per dare loro l’opportunità, se consentito dalla legge nazionale applicabile, di testimoniare senza la presenza del presunto colpevole. Inoltre, la direttiva europea del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, sostegno e protezione delle vittime di reato prevede che le vittime di violenza di genere beneficino di misure di protezione speciali a causa della loro particolare esposizione al rischio di vittimizzazione secondaria, intimidazione e ritorsione.
  134. Passando alle circostanze del caso di specie, la Corte osserva innanzitutto che la legge italiana criminalizza lo stupro, sia esso commesso con violenza, minaccia, abuso di autorità, sfruttamento dell’inferiorità della vittima o inganno. Inoltre, il codice penale prevede il reato autonomo e più severamente punito di violenza sessuale in gruppo (cfr. paragrafi 52-54). Lo Stato italiano non può quindi essere criticato per non avere un quadro legislativo che protegga i diritti delle vittime di violenza sessuale.
  135. Si tratta quindi di sapere se alla ricorrente è stata garantita una tutela effettiva dei suoi diritti in quanto presunta vittima e se il meccanismo previsto dal diritto penale italiano è stato così carente in questo caso da comportare una violazione degli obblighi positivi dello Stato convenuto. La Corte non ha bisogno di andare oltre. Non è chiamata a pronunciarsi sulle accuse di errori od omissioni specifiche nell’indagine; non può sostituirsi alle autorità nazionali nella valutazione dei fatti del caso; né può pronunciarsi sulla responsabilità penale dei presunti aggressori (cfr. M.C. c. Bulgaria, già citata, § 168).
  136. Per quanto riguarda l’efficacia dell’inchiesta, la Corte osserva innanzitutto che le autorità, a seguito di una segnalazione del centro antiviolenza di Careggi a cui la ricorrente si era rivolta, hanno aperto un’inchiesta d’ufficio quattro giorni dopo i fatti. La ricorrente è stata ascoltata senza indugio e i sette uomini implicati dalle sue dichiarazioni sono stati immediatamente messi in custodia cautelare, compreso D.S., il cui coinvolgimento nei fatti è stato successivamente escluso nel procedimento. Una procedura investigativa ha poi avuto luogo per un periodo di nove mesi, al termine del quale i sospetti sono stati rinviati a giudizio. In particolare, gli inquirenti hanno organizzato una procedura di identificazione dei sospetti e hanno effettuato una serie di esami tecnici, in particolare per trovare tracce biologiche nell’auto e negli abiti della ricorrente e per ricostruire i suoi movimenti e quelli dei sospetti esaminando, tra l’altro, i tabulati telefonici e i terminali attivati dalle persone interessate (cfr. paragrafi 14 e 15 sopra). Successivamente, nel corso del procedimento, sono stati ascoltati numerosi testimoni chiamati dalle parti, nonché esperti, i sette imputati e il ricorrente. Complessivamente, il procedimento penale è durato circa sette anni in due gradi di giudizio.
  137. Considerando tutti gli elementi del procedimento, la Corte non può ritenere che le autorità siano state passive o siano venute meno al loro dovere di diligenza e all’obbligo di celerità nel valutare tutte le circostanze del caso (si veda, a contrario, tra le altre, M.N. c. Bulgaria, sopra citata, § 49). A questo proposito, la Corte ribadisce che il rispetto dell’obbligo procedurale deve essere valutato sulla base di un certo numero di parametri essenziali, come l’apertura tempestiva di un’indagine non appena i fatti sono venuti a conoscenza delle autorità, la capacità di tale indagine di analizzare meticolosamente, in modo obiettivo e imparziale, tutti gli elementi pertinenti, di portare all’accertamento dei fatti e di consentire l’identificazione e – se del caso – la punizione dei responsabili. Questi parametri sono interconnessi e non costituiscono, presi isolatamente, un fine in sé. Sono tutti criteri che, nel loro insieme, permettono di valutare l’efficacia dell’indagine (si veda S.M. c. Croazia [GC], n. 60561/14, §§ 312-320, 25 giugno 2020, e N.Ç. c. Turchia, citata, § 97).
  138. La Corte osserva, inoltre, che il ricorrente non afferma che la gestione dell’inchiesta sia stata caratterizzata da carenze e ritardi evidenti o che le autorità abbiano trascurato qualche passo investigativo. Ciò che la ricorrente sostiene è che il modo in cui l’indagine e il processo sono stati condotti è stato traumatico per lei e che l’atteggiamento delle autorità nei suoi confronti ha colpito la sua integrità personale. Lamenta in particolare le condizioni in cui è stata interrogata durante tutto il procedimento penale e contesta gli argomenti su cui i giudici hanno basato le loro decisioni in questo caso.
    (a) Le audizioni del richiedente
  139. Per quanto riguarda le audizioni del ricorrente, la Corte osserva innanzitutto che le autorità giudiziarie si sono trovate di fronte a due versioni contraddittorie dei fatti e che le prove dirette di cui disponevano consistevano essenzialmente nelle dichiarazioni rese dal ricorrente come testimone. Rileva inoltre che il rapporto dell’esame ginecologico e le conclusioni di tutti i numerosi esami tecnici effettuati dagli inquirenti avevano rivelato diverse contraddizioni nel racconto dei fatti della ricorrente come testimone principale (cfr. paragrafi 31-32 sopra).
  140. In queste circostanze, la Corte ritiene che il requisito di un processo equo richiedeva che la difesa avesse la possibilità di interrogare la ricorrente in qualità di principale testimone dell’accusa, dato che non era minorenne e non si trovava in una situazione particolarmente vulnerabile che richiedeva misure di protezione maggiori (si veda, mutatis mutandis, B. c. Romania, n. 42390/07, §§ 50 e 57, 10 gennaio 2012). Ricorda a questo proposito che l’esistenza di due versioni inconciliabili dei fatti deve assolutamente comportare una valutazione della credibilità delle dichiarazioni ottenute da entrambe le parti alla luce delle circostanze del caso, che devono essere debitamente verificate (si veda, mutatis mutandis, M.C. c. Bulgaria, già citata, § 177).
  141. Tuttavia, la Corte deve determinare se le autorità nazionali sono riuscite a trovare un giusto equilibrio tra gli interessi della difesa, in particolare il diritto dell’imputato di chiamare ed esaminare i testimoni ai sensi dell’articolo 6 § 3, e i diritti della presunta vittima ai sensi dell’articolo 8. Il modo in cui la presunta vittima di reati sessuali viene interrogata deve trovare un giusto equilibrio tra l’integrità personale e la dignità della vittima e i diritti della difesa garantiti agli imputati. Mentre l’imputato deve potersi difendere mettendo in dubbio la credibilità della presunta vittima e sottolineando eventuali incongruenze nella sua dichiarazione, il controinterrogatorio non deve essere usato come mezzo per intimidirla o umiliarla (si veda Y. c. Slovenia, sopra citata, § 108).
  142. La Corte osserva innanzitutto che in nessun momento, né durante le indagini preliminari né durante il processo, c’è stato un confronto diretto tra la ricorrente e i presunti autori delle violenze da lei lamentate. Per quanto riguarda gli interrogatori a cui la ricorrente è stata sottoposta durante le indagini preliminari, la Corte rileva che la ricorrente è stata interrogata dalla polizia in due occasioni, vale a dire il 30 luglio 2008 a Firenze, quando gli agenti hanno raccolto le sue prime dichiarazioni e registrato la sua denuncia, e il 31 luglio 2008 a Ravenna, città in cui la ricorrente era in vacanza, quando le è stato chiesto di identificare gli indagati per mezzo di fotografie. Inoltre, il 16 settembre 2008 la ricorrente è stata convocata dall’ufficio del pubblico ministero, che l’ha interrogata e poi ha ordinato ulteriori passi investigativi.
  143. La Corte ha esaminato i verbali delle udienze e non ha riscontrato alcun atteggiamento irrispettoso o intimidatorio da parte delle autorità inquirenti, né sono state prese misure per scoraggiare il richiedente o per dirigere le ulteriori indagini. Ha ritenuto che le domande poste alla ricorrente fossero pertinenti e che avessero lo scopo di ottenere una ricostruzione dei fatti che tenesse conto delle sue argomentazioni e dei suoi punti di vista e di permettere l’elaborazione di un fascicolo d’inchiesta completo per la prosecuzione del procedimento giudiziario. Anche se senza dubbio doloroso per la ricorrente in queste circostanze, il modo in cui le audizioni sono state condotte nel corso dell’indagine non può essere considerato come se l’avesse esposta a traumi indebiti o interferenze sproporzionate con la sua vita intima e privata.
  144. Per quanto riguarda il processo, il ricorrente è stato interrogato alle udienze dell’8 febbraio e del 13 maggio 2011. La Corte osserva a questo proposito che la ricorrente avrebbe potuto avvalersi dell’articolo 392 del TBC in vigore all’epoca dei fatti e chiedere di essere interrogata nell’ambito di un incidente probatorio, vale a dire un’udienza ad hoc tenuta in camera di consiglio (si veda il precedente paragrafo 55). D’altra parte, poiché la ricorrente non era minorenne e non aveva chiesto che il procedimento si tenesse a porte chiuse ai sensi dell’articolo 472 del CPC, il procedimento si è tenuto in pubblico. Tuttavia, il presidente del tribunale ha deciso di vietare ai giornalisti presenti nella stanza di filmarli, in particolare per proteggere la privacy del ricorrente. Inoltre, è intervenuto più volte durante il controinterrogatorio del ricorrente, interrompendo gli avvocati della difesa quando hanno posto domande ridondanti o di natura personale, o quando hanno toccato argomenti non collegati ai fatti. Ha anche ordinato brevi pause per permettere alla ricorrente di riprendersi dalle sue emozioni.
  145. La Corte non dubita che la ricorrente abbia vissuto l’intero procedimento come una prova particolarmente penosa, soprattutto perché ha dovuto ripetere la sua testimonianza in numerose occasioni, e per di più per un periodo di più di due anni, per rispondere alle successive domande degli investigatori, dell’accusa e degli otto avvocati della difesa. La Corte osserva, inoltre, che quest’ultimo non ha esitato, al fine di minare la credibilità della ricorrente, a interrogarla su questioni personali riguardanti la sua vita familiare, il suo orientamento sessuale e le sue scelte intime, talvolta estranee ai fatti, il che è chiaramente contrario non solo ai principi del diritto internazionale sulla protezione dei diritti delle vittime di violenza sessuale ma anche al diritto penale italiano (cfr. paragrafo 57 supra).
  146. Tuttavia, visto l’atteggiamento del pubblico ministero e del giudice che presiede e le misure adottate da quest’ultimo per proteggere la privacy della ricorrente al fine di evitare che gli avvocati della difesa la denigrassero o la disturbassero inutilmente durante il controinterrogatorio, la Corte non può imputare alle
    autorità alcuna responsabilità per il comportamento dell’accusa, la Corte non può ritenere le autorità pubbliche responsabili del procedimento responsabili del calvario particolarmente penoso vissuto dal ricorrente, né può ritenere che esse non abbiano garantito una protezione adeguata dell’integrità personale del ricorrente durante il processo (a contrario, Y. v. Slovenia, già citata, § 109).
    b) Il contenuto delle decisioni giudiziarie
  147. La Corte deve ora esaminare se il contenuto delle decisioni giudiziarie prese nel processo della ricorrente e la motivazione dell’assoluzione degli imputati abbiano violato il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua libertà sessuale e l’abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria.
  148. Per quanto riguarda la motivazione delle decisioni giudiziarie, la Corte ribadisce che il suo ruolo non è quello di pronunciarsi sulle accuse di errori specifici commessi dalle autorità, né di pronunciarsi sulla responsabilità penale dei presunti autori. Di conseguenza, non si sostituirà alle autorità nazionali nel valutare i fatti del caso. D’altra parte, spetta alla Corte determinare se il ragionamento seguito dai giudici e gli argomenti utilizzati si siano tradotti in un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua integrità personale e se ciò abbia comportato una violazione degli obblighi positivi inerenti all’articolo 8 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas c. Norvegia, no. 12148/03, §§ 33-39, 4 ottobre 2007, e Carvalho Pinto de Sousa Morais c. Portogallo, no. 17484/15, §§ 33-36, 25 luglio 2017).
  149. La Corte ha notato diversi passaggi della sentenza della Corte d’appello di Firenze che si riferivano alla vita personale e intima della ricorrente e che violavano i suoi diritti ai sensi dell’articolo 8. In particolare, la Corte ritiene che i riferimenti fatti dalla Corte d’appello alla lingerie rossa “mostrata” dalla ricorrente durante la serata, così come i commenti riguardanti la bisessualità della ricorrente, le relazioni romantiche e le relazioni sessuali occasionali prima degli eventi, sono ingiustificati (vedi paragrafi 41 e 42 sopra). Allo stesso modo, la Corte considera inappropriate le considerazioni relative all'”atteggiamento ambivalente della ricorrente nei confronti del sesso”, che la Corte d’appello ha dedotto, tra l’altro, dalle sue decisioni in materia artistica. Così, la Corte d’Appello menziona tra queste decisioni dubbie la scelta di partecipare al cortometraggio di L.L. nonostante la sua natura violenta ed esplicitamente sessuale (vedi paragrafo 46 sopra), senza che – e giustamente – il fatto che lei abbia scritto e diretto il suddetto cortometraggio sia in alcun modo commentato o considerato come indicativo dell’attitudine di L.L. al sesso. Inoltre, la Corte ritiene che la valutazione della decisione della ricorrente di denunciare i fatti, che secondo la Corte d’appello era il risultato di una volontà di “stigmatizzare” e sopprimere un “discutibile momento di fragilità e debolezza”, così come il riferimento alla sua “vita non lineare” (ibid.), sono anch’essi deplorevoli e irrilevanti.
  150. La Corte ritiene, a differenza del Governo, che i suddetti argomenti e considerazioni della Corte d’appello non sono stati utili per valutare la credibilità del ricorrente, una questione che avrebbe potuto essere esaminata alla luce delle numerose risultanze oggettive del procedimento, né sono stati decisivi per la risoluzione del caso (si veda, mutatis mutandis, Sanchez Cardenas, citata, § 37).
  151. La Corte riconosce che nel caso in questione la questione della credibilità della ricorrente era particolarmente cruciale, ed è pronta ad accettare che il riferimento alle sue relazioni passate con i singoli imputati o a certi suoi comportamenti durante la serata possa essere stato giustificato. Tuttavia, non vede come la situazione familiare della ricorrente, le sue relazioni sentimentali, il suo orientamento sessuale o anche la sua scelta di abbigliamento, così come lo scopo delle sue attività artistiche e culturali, possano essere rilevanti per la valutazione della sua credibilità e la responsabilità penale degli imputati. Pertanto, non si poteva ritenere che le violazioni della vita privata e dell’immagine del ricorrente fossero giustificate dalla necessità di salvaguardare i diritti di difesa degli imputati.
  152. La Corte ritiene che gli obblighi positivi di proteggere le presunte vittime della violenza di genere impongano anche il dovere di proteggere la loro immagine, dignità e privacy, anche attraverso la non divulgazione di informazioni e dati personali non correlati. Questo obbligo è del resto inerente alla funzione giudiziaria e deriva dal diritto nazionale (cfr. paragrafi 57 e 62) e da vari strumenti internazionali (cfr. paragrafi 65, 68 e 69). In questo senso, la capacità dei giudici di esprimersi liberamente nelle loro decisioni, che è una manifestazione del potere discrezionale dei giudici e del principio di indipendenza della magistratura, è limitata dall’obbligo di proteggere l’immagine e la vita privata degli individui da interferenze ingiustificate.
  153. La Corte osserva anche che il settimo rapporto sull’Italia del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne e il rapporto GREVIO hanno rilevato la persistenza di stereotipi sul ruolo delle donne e la resistenza della società italiana alla causa dell’uguaglianza di genere. Inoltre, sia il suddetto Comitato delle Nazioni Unite che il GREVIO hanno sottolineato il basso tasso di procedimenti penali e di condanne in Italia, che è sia la causa di una mancanza di fiducia nel sistema di giustizia penale da parte delle vittime che la ragione del basso tasso di denuncia di tali reati nel paese (vedi paragrafi 64-66 sopra). Tuttavia, la Corte ritiene che il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello trasmettano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e sono suscettibili di impedire l’effettiva protezione dei diritti delle vittime di violenza di genere nonostante un quadro legislativo soddisfacente (si veda, mutatis mutandis, Carvalho Pinto de Sousa Morais, citata, § 54).
  154. La Corte è convinta che l’azione penale e la punizione abbiano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta alla disuguaglianza di genere. È quindi essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi di genere nelle decisioni dei tribunali, minimizzando la violenza di genere ed esponendo le donne a una vittimizzazione secondaria, utilizzando un linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario.
  155. Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno garantito nel caso di specie che l’indagine e il procedimento sono stati condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi del ricorrente ai sensi dell’articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della Corte d’appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente dalla vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza, soprattutto in considerazione del suo carattere pubblico.
  156. La Corte respinge quindi l’obiezione del Governo che il ricorrente non era una vittima e conclude che c’è stata una violazione degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione in questo caso.
    II. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
  157. La ricorrente lamentava inoltre di essere stata discriminata sulla base del sesso, sostenendo che l’assoluzione dei suoi aggressori e l’atteggiamento negativo delle autorità nazionali durante il procedimento penale erano il risultato di pregiudizi di genere. Ha invocato l’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 8.
    L’articolo 14 recita come segue:
    “Il godimento dei diritti e delle libertà enunciati nella (…) Convenzione deve essere assicurato senza alcuna discriminazione per ragioni di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, origine nazionale o sociale, associazione a una minoranza nazionale, proprietà, nascita o altra condizione. “
    1. Citando, tra l’altro, la risposta rapida e completa delle autorità competenti alla denuncia di stupro della denunciante, il governo ha sostenuto che la donna non era stata vittima di alcun trattamento discriminatorio.
  158. La Corte osserva che questa denuncia è collegata a quella esaminata sopra e deve quindi essere dichiarata ammissibile.
  159. Alla luce della conclusione a cui è giunta in base all’articolo 8 e del ragionamento sviluppato in proposito (si vedano i precedenti paragrafi 135-43), ritiene superfluo esaminare la questione se vi sia stata un’altra violazione dell’articolo 14 nel presente caso (si veda, tra le altre autorità, M.C. c. Bulgaria, citata sopra).
    III. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
  160. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    “Se la Corte constata che c’è stata una violazione della Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette solo una riparazione imperfetta delle conseguenze di tale violazione, la Corte, se necessario, darà una giusta soddisfazione alla parte lesa. “
    A. Danno
  161. La ricorrente ha chiesto la somma di 80.000 euro per il danno non patrimoniale che ritiene di aver subito e altri 30.000 euro per il danno materiale. A questo proposito, ha chiesto in particolare il rimborso delle spese mediche e di trasporto sostenute per curare i problemi psicologici di cui avrebbe sofferto a causa dei fatti in questione, delle tasse universitarie che aveva dovuto pagare quando, a causa delle sue difficoltà psicologiche, la sua borsa di studio non le era più stata versata, e delle spese di trasloco per allontanarsi dai suoi aggressori.
    Il governo si è opposto alle richieste della ricorrente.
  162. La Corte non trova alcun nesso causale tra la violazione riscontrata e il danno materiale denunciato. Pertanto, respinge il reclamo a questo proposito. D’altra parte, ritiene che la ricorrente deve aver subito un’angoscia e un trauma psicologico a causa, almeno in parte, della mancata attuazione da parte delle autorità di misure di protezione dei diritti delle presunte vittime di violenza sessuale nei suoi confronti. Decidendo in via equitativa, la Corte le ha riconosciuto 12 000 euro per danni non patrimoniali.
    B. Costi e spese
  163. La ricorrente ha chiesto 25.600 euro per i costi e le spese che ha dichiarato di aver sostenuto nel procedimento dinanzi alla Corte.
  164. Il governo ha ritenuto che la ricorrente non avesse dimostrato di aver effettivamente sostenuto le spese in questione.
  165. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi costi e delle sue spese solo nella misura in cui la loro realtà, necessità e ragionevolezza siano stabilite. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri summenzionati, la Corte ritiene ragionevole attribuire al ricorrente la somma di 1.600 euro per il procedimento in corso.
    C. Interesse di default
  166. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi di mora sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea più tre punti percentuali.
    PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE,
  167. Si unisce all’obiezione preliminare del governo nel merito, all’unanimità, e la respinge;
  168. Dichiarare la domanda ammissibile all’unanimità;
  169. Sostiene con sei voti contro uno che c’è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
  170. Dichiara all’unanimità che non è necessario esaminare il reclamo ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione;
  171. Regge, per sei voti a uno
    a) che lo Stato convenuto paghi al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
    i. EUR 12.000 (dodicimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danni non patrimoniali ;
    ii. 1.600 euro (milleseicento euro), più l’importo eventualmente dovuto dal richiedente a titolo di imposta su tale somma, per costi e spese;
    b) che dalla scadenza di tale termine fino al pagamento, su tali importi si applichino interessi semplici a un tasso pari alle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
    Respinge, all’unanimità, il resto della richiesta di giusta soddisfazione.
    Fatto in francese e notificato per iscritto il 27 maggio 2021, ai sensi dell’articolo 77, paragrafi 2 e 3, del regolamento.
    Liv TigerstedtKsenija Turković
    Vice cancellierePresidente
    In conformità con l’articolo 45 § 2 della Convenzione e l’articolo 74 § 2 del regolamento della Corte, un parere separato del giudice Wojtyczek è allegato a questa sentenza.
    K.T.U.
    L.T.
    OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE WOJTYCZEK
  172. Non posso essere d’accordo con la maggioranza che c’è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione nel caso in questione.
  173. La ricorrente si lamenta in particolare del contenuto delle decisioni emesse nel suo caso dai giudici nazionali. La maggioranza pone questo problema come segue nel paragrafo 134 della sentenza:
    “La Corte deve ora esaminare se il contenuto delle decisioni giudiziarie nel processo della ricorrente e la motivazione dell’assoluzione degli imputati abbiano violato il suo diritto al rispetto della sua vita privata e della sua libertà sessuale e se l’abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria. “
    Dal ragionamento della presente sentenza (vedere i paragrafi da 135 a 141) risulta che il contenuto delle decisioni giudiziarie è considerato – giustamente – come un’interferenza nella sfera della vita privata del ricorrente protetta dall’articolo 8 della Convenzione. Logicamente, la violazione constatata dalla maggioranza avrebbe dovuto essere una violazione degli obblighi negativi dell’articolo 8 della Convenzione. Tuttavia, nel paragrafo 143 la maggioranza “conclude che c’è stata una violazione degli obblighi positivi dell’articolo 8 della Convenzione in questo caso” (enfasi aggiunta). È difficile essere d’accordo con un tale approccio.
  174. La maggioranza esprime la seguente opinione nel paragrafo 142:
    “Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali nel caso di specie hanno assicurato che l’indagine e il procedimento sono stati condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi del ricorrente ai sensi dell’articolo 8 non siano stati adeguatamente tutelati alla luce del contenuto della sentenza della Corte d’appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente dalla vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza, soprattutto in considerazione del suo carattere pubblico. “
    Noto che la seconda frase di questo paragrafo, che afferma che le autorità nazionali non hanno protetto il ricorrente dalla vittimizzazione secondaria nel corso del procedimento, è in contraddizione logica con la prima frase, che afferma che le autorità nazionali hanno assicurato in questo caso che l’indagine e il procedimento sono stati condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.
  175. Il presente caso, per sua natura, tocca la sfera più intima della vita del ricorrente e dei convenuti. I giudici nazionali hanno dovuto stabilire circostanze di fatto di grande complessità, che per loro natura erano di natura privata, e valutare la questione del consenso della presunta vittima. Dovevano anche definire, prima di tutto, il “perimetro” delle circostanze rilevanti del caso. Esercitando il suo potere in questo senso, la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto che per esaminare la causa penale era essenziale stabilire alcuni elementi di fatto appartenenti a un contesto più ampio, comprendente eventi precedenti o successivi agli atti in questione, come indicato nelle accuse. Inoltre, la Corte d’appello ha dovuto valutare i fatti del caso nel loro specifico contesto culturale, quello della società italiana contemporanea.
    Va notato che la Corte d’appello di Firenze, nella motivazione della sua sentenza, ha iniziato la sua considerazione delle questioni giuridiche sollevate in appello con la seguente spiegazione:
    “La fattispecie deve essere estratta innanzitutto dal contesto, che distrae l’attenzione, inquinata dall’impatto emotivo e mediatico che evidentemente ha tinto i fatti all’epoca, perché nel caso in questione è opportuno mettere da parte giudizi moralistici o pregiudizi etici e concentrare l’attenzione unicamente – seguendo il rigore della decisione impugnata – sul reato contestato e sulla sussistenza dei suoi elementi essenziali, soggettivi e oggettivi. “
    L’approccio del giudice nazionale non sembra essere viziato da arbitrarietà. Le osservazioni lamentate devono essere lette nel contesto dell’insieme degli argomenti su cui si basano le motivazioni della sentenza di assoluzione. L’approccio adottato dalla maggioranza può portare a mettere in discussione i diritti della difesa, che può avere un interesse legittimo, in vista di una decisione giudiziaria favorevole, a stabilire nel corso del procedimento alcuni elementi di fatto molto sensibili relativi alla vita privata e a farli confermare nella motivazione della sentenza pronunciata.
  176. La maggioranza ha criticato i giudici italiani (paragrafo 140 della sentenza) per “il linguaggio e gli argomenti usati dalla Corte d’appello trasmettono i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana”. Tuttavia, questa critica non è supportata da alcun argomento. In particolare, non si spiega quali pregiudizi sul ruolo delle donne siano trasmessi dalla Corte d’appello. Noto, inoltre, che nel caso in questione la Corte d’appello di Firenze si è pronunciata in un collegio di tre giudici che soddisfano i criteri di equilibrio di genere (due donne, compreso il giudice relatore, e un uomo).
  177. Nel paragrafo 141, la maggioranza critica “le affermazioni colpevolizzanti e moraleggianti che possono scoraggiare la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario”. Questa critica dà luogo a due osservazioni. In primo luogo, le dichiarazioni lamentate (citate nel paragrafo 136, ma prese fuori contesto) sono proposizioni di fatto e non giudizi di valore. La maggioranza non spiega perché queste affermazioni fattuali sono descritte come “colpevolizzanti e moraleggianti”. In secondo luogo, le espressioni usate dalla Corte sono di per sé
    “dichiarazioni colpevolizzanti e moralizzatrici”, questa volta rivolte ai giudici italiani. Inoltre, non favoriscono la fiducia nella giustizia.
  178. La maggioranza esprime la seguente opinione nel paragrafo 141, in obiter dicta: “La Corte è convinta che l’azione penale e la punizione giocano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta alla disuguaglianza di genere” (enfasi aggiunta).
    In una democrazia liberale, il diritto penale deve essere l’ultima ratio Rei Publicae (vedi la mia opinione parzialmente dissenziente allegata alla sentenza L.R. v. Macedonia del Nord, n. 38067/15, 23 gennaio 2020). Se il diritto penale è uno strumento essenziale per combattere la violenza, il suo ruolo nell’affrontare la disuguaglianza non dovrebbe essere sopravvalutato. Nel caso di specie, la Corte continua ad esprimere la sua scelta a favore della cultura della pena come strumento principale per combattere varie violazioni dei diritti umani (si confronti anche il paragrafo 20 dell’opinione in parte dissenziente e in parte concurring del giudice Koskelo, unita ai giudici Wojtyczek e Sabato, allegata alla sentenza Penati c. Italia, n. 44166/15, 11 maggio 2021). L’approccio adottato amplifica il “vento illiberale che soffia a Strasburgo”, brillantemente denunciato dal giudice Pinto de Albuquerque nel suo parere separato allegato alla sentenza Chernega e altri c. Ucraina, n. 74768/10, 18 giugno 2019).