Discriminazione della lavoratrice in gravidanza nella fase preassuntiva, Tribunale di Roma, ordinanza 23 marzo 2022.

IL TRIBUNALE DI ROMA

Quarta Sezione Lavoro Nella causa iscritta al n. 35684 R.G. anno 2021

promosso da

XXXX e YYY rappresentate e  difese,  come  da  procura  allegata  al ricorso, dagli avv.ti Francesca Verdura (….), Tiziana Laratta (…) e Sergio Romanotto (….),  presso  il  cui  studio sono elettivamente domiciliate, in ….

Ricorrenti

nei  confronti di

I T A spa. con sede in ……….., in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante, Dott. …………., rappresentata e difesa, per delega in calce alla comparsa di costituzione, dagli avv.ti Marco Marazza Domenico De Feo, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, in via delle Tre Madonne, n.8

Resistente Il Giudice dott. Claudio Cottatellucci, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 9

marzo 2022, ha emesso il seguente

DECRETO

Hanno  proposto  ricorso ex  art. 38 d.lgs. 198/2006 le sig.re XXX e YYY

 con atto trasmesso in via telematica il giorno 30 dicembre 2021, con il quale hanno

chiamato in causa la società resistente e formulato nei suoi confronti queste domande:

  1. Accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della condotta attuata dalla convenuta e consistita nella mancata selezione e successiva assunzione delle ricorrenti a causa del loro stato di gravidanza
  2. Emettere conseguentemente ogni più opportuna statuizione ai fini della completa rimozione degli effetti ·della condotta discriminatoria denunciata e, conseguentemente, ordinare alla convenuta di procedere all’assunzione delle ricorrenti.
  3. Accertare e dichiarare, In ogni caso, il diritto delle ricorrenti al risarcimento dei patiti per effetto della condotta discriminatoria di I T A s.p.a. e conseguentemente condannare la convenuta, in persona del legale rappresentante pro·tempore, a corrispondere  alle ricorrenti  a  titolo di danno non patrimoniale subito una somma pari 15 mensilità, al tallone mensile di Euro 1.480,46, ovvero il  diverso importo che dovesse essere riconosciuto in corso di causa               
  4. Accertare e dichiarare, in via subordinata rispetto al punto 2, il diritto delle ricorrenti al risarcimento da perdita di chance e conseguentemente condannare la convenuta a corrispondere alle ricorrenti una somma pari a Euro 22.206,9 (15 mensilità al tallone mensile di Euro 1480,46) o la diversa somma, anche maggiore, dovesse essere accertato corso di causa e/o ritenuto di giustizia. Con vittoria di spese, diritti e onorari del procedimento
 

A sostegno di queste domande le ricorrenti hanno affermato che sono entrambe dipendenti di ASAI s.p.a. con mansioni di assistenti di volo ed anzianità lavorativa dal gennaio 2011; che sono assegnate all’aeroporto di Fiumicino; che hanno presentato domanda di “adesione” alla società convenuta, di recente costituzione; che entrambe al momento della presentazione della domanda erano in gravidanza; che per XXX la  data presunta del parto è al 28 gennaio 2022 mentre YYY aveva partorito il 2 dicembre 2021; che non erano state neppure chiamate per la selezione; che risulta loro che tutte le lavoratrici impiegate presso la base di Fiumicino che si trovano in gravidanza o in astensione obbligatoria per maternità non erano state chiamate da I T A .

Hanno indicato i nominati di altre sei dipendenti A SAI s.p.a escluse, a loro dire, per questa ragione ed hanno aggiunto di essere a conoscenza che la stessa situazione si era verificata in altri scali (hanno citato un’altra lavoratrice impiegata a Linate).

Hanno quindi aggiunto che tutti i lavoratori selezionati da I T A erano poi stati assunti, che i criteri adottati nella scelta erano del tutto oscuri, che erano state a loro preferite altre lavoratrici con minore anzianità ed esperienza nel ruolo lavorativo, che la procedura di assunzione si era risolta nell’invio di una mail che comunicava l’avvenuta assunzione ed una lettera da restituire firmata.

Ricostruita in questi termini la vicenda, hanno sostenuto che I T A nella procedura di assunzione del nuovo personale avrebbeagito in maniera discriminatoria attuando “la sistematica esclusione delle lavoratrici in gravidanza o puerperio”.

Dopo aver richiamato i principi di diritto che ritengono siano in questo caso applicabili, sia che la condotta configuri una discriminazione diretta sia che invece si tratti di discriminazione indiretta, hanno infine concluso nei termini in precedenza indicati.

Notificato il ricorso, in giudizio si è costituita in giudizio I T A s.p.a., ha premesso che l’azione proposta sarebbe evidentemente inammissibile  per assenzadi discriminazione in considerazione dell’apertura, ancora attuale, del piano di reclutamento del personale; ha affermato la convenuta che il piano di assunzione è ancora aperto e verrà completato solo nell’anno 20251  come era stato esplicitato nel ”Verbale di accordo” sottoscritto dalla società e dalle 00.SS. il 2 dicembre 2021, che contiene anche il piano assunzionale, “legato alle previsioni relative alla progressione della flotta aziendale, alla composizione ed evoluzione dei diversi perimetri occupazionali (personale navigante e di terra) ed alla prevista progressione dell’andamento occupazionale complessivo, impregiudicate diverse esigenze organizzative e produttive”.

Ha sostenuto la resistente che solo quando il piano assunzionale fosse completato, sarebbe possibile valutare se la scelta selettiva è stata orientata a criteri discriminatori; prima di quel momento ogni valutazione del genere non sarebbe ammissibile in quanto il processo selettivo è ancora aperto equanti ne sono stati sino a quel momento esclusi potrebbero invece divenirne partecipi.

Ha anche affermato che ” Ad ogni buon conto, giova evidenziare che I T A spa, avendo attivato un processo di selezione di personale di mercato, e trattandosi peraltro in una fase di start up, non è tenuta comunque a osservare alcune specifico criterio selettivo ( fatti salvi quelli condivisi con le OO SS nel già menzionato Verbale di Accordo del 2 dicembre 2021) ( cfr. memoria al p. 219

Con successivo argomento la società ha sostenuto che sarebbe infondata l’accusa di comportamento discriminatorio: intanto la società non sarebbe stata al corrente della condizione di gravidanza delle ricorrenti prima dell’introduzione di questo giudizio, inoltre gli unici criteri che l’avevano guidata nella selezione erano quelli formalizzati nell’accordo già richiamato secondo il quale dalla selezione sarebbero stati esclusi quanti nell’arco di tempo di sviluppo del piano maturino i requisiti per l’accesso alla pensione e quanti siano privi di adeguata certificazione per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

A questo riguardo ha anche aggiunto che in questo caso l’azione proposta sarebbe priva di “un termine di comparazione della presunta disparità di trattamento, ovverosia un lavoratore non in stato di gravidanza o maternità favorito o comunque non penalizzato nell’erogazione dell’indennità”; ha proseguito affermando che le ricorrenti non avrebbero assolto l’onere probatorio che loro incombe perché non avrebbero fornito elementi di fatto, desumibili anche da dati statistici, che costituiscano indizi precisi e concordanti, anche se non gravi, dell’esistenza di atti o comportamenti discriminatori da parte della società resistente.

Sarebbe quindi  del tutto carente sotto il profilo dell’allegazione il ricorso, dovendosi

escludere che 1TA abbia proceduto alle assunzioni “scartando le risorse in stato di gravidanza e maternità, tanto più che ha assunto risorse in queste condizioni”.

Per quanto poi specificamente riguarda la domanda presentata dalle ricorrenti, la società ha affermato che al momento dell’invio delle candidature entrambe avevano il recurrent training (abilitazione per operare a bordo in qualità di membro di equipaggio di cabina) in scadenza a settembre 2021 XXX a   dicembre 2021   YYYY, non erano state quindi prese in considerazione proprio per la mancanza delle certificazioni necessarie per lavorare. Ha aggiunto, sempre con riferimento diretto alla condizione delle ricorrenti, che. tenendo conto del termine della gravidanza, non avrebbero potuto essere impiegate a bordo · : XXX prima di luglio 2022 e ·YYYY il mese successivo.

Per quanto riguarda le cinque lavoratrici che le ricorrenti hanno indicato in ricorso a riprova dell’esclusione dalla selezione di donne incinta e in astensione obbligatoria, la società ha sostenuto  che la  ragione  della  loro esclusione  era stata  altra, in particolare XXX non sarebbero  in  possesso  della  cd. certificazione verde·,      YYYY del recurrent training, anche le altre due , mancavano delle necessarie abilitazioni.

A conferma del comportamento non discriminatorio adottato dalla società, ha dichiarato, “a mero  titolo esemplificativo”, che  aveva  assunto  la  sig.ra …… tuttora in maternità, e che il 5 ottobre 2021 aveva assunto altre due lavoratrici, le sig.re…..e ·   . ”   ·  ·  .    che  seppure  avevano   superato   il  periodo  di  astensione   obbligatoria correlato al settimo mese di vita del figlio, comunque avevano un bambino di età inferiore ai  dodici mesi.

Ha quindi concluso sostenendo che l’azione non sarebbe ammissibile o comunque sarebbe infondata.

Nel procedimento nell’udienza del 9 febbraio è stata ammessa la prova richiesta dalla società resistente, con le informatrici : ….. e ….. ., sentite nella successiva udienza del 21 febbraio 2022; il giudizio è stato quindi discusso nell’udienza del 9 marzo, all’esito della quale è stata riservata la decisione.

Osserva questo giudice quanto segue.

Con un primo argomento la società resistente sostiene che l’azione proposta ai sensi art. 38 d.lgs. 198/2006 non sarebbe ammissibile perché comporta una valutazione – quella sulla correttezza e non discriminatorietà della procedura selettiva – mentre la procedura stessa è ancora in corso o, come detto altrimenti, appena all’inizio.

Intanto, qualche precisazione occorre fare sullo stato della procedura che è divenuto più chiaro dopo l’audizione della prima delle informatrici ed il deposito delle note autorizzate conclusive, a queste si dovrà quindi fare riferimento.

Il piano 2021 -2025 della società ITA formalizzato nel ..Verbale di accordo” del 2 dicembre 2021 prevede, al suo completamento, l’assunzione di 5750 lavoratori complessivamente; lo stato di avanzamento del piano al momento in cui le ricorrenti agiscono in giudizio ha avuto uno sviluppo sostanzialmente allineato con le previsioni (cfr. dichiarazioni d. i. ..·     .’.  .    e ·       : ‘D. del giudice: Attualmente a che punto siete in particolare con riferimento all’obiettivo dei 2925 nuovi assunti entro il gennaio 2022 ? ADR. Su questo obiettivo complessivo più o meno ci siamo. D. del giudice: Per quanto attiene i 1675 del personale navigante, può dire quante sono state le assunzioni ad oggi ? ADR. Siamo vicini a questo dato”.

Dunque, un primo dato di fatto: del complessivo piano assunzionale, la società  resistente ha già realizzato oltre la metà; nelle note autorizzate la società precisa “ad oggi, tra il Persona/e assunto con la qualifica di Assistente di Volo, epari a complessive 755 risorse, 412 sono donne e 343 uomini. In termini percentuali, il 54,6%  è  costituito da donne e il 45,4% da uomini” (cfr. nota a pag.10-11).

Non trova quindi obiettivo riscontro la tesi della resistente secondo cui il piano assunzionale sarebbe appena all’inizio.

Un altro elemento da considerare riguarda invece il carattere del piano assunzionale espresso nel ..Verbale di accordo dal titolo Acquisizione Asset e sviluppo occupazionale in ITA” del 2 dicembre 2021: nell’accordo viene esplicitato che lo sviluppo del piano occupazionale è condizionato da una pluralità di fattori che non ricadono – almeno non solamente – nella sfera di azione della società resistente (cfr. Accordo p. i) ; si tratta delle variabili non prevedibili legate alle diverse stime che vengono formulate sulla ripresa effettiva del traffico aereo, sull’andamento, anche questo non prevedibile, della crisi epidemiologica, sull’assetto del settore e le strategie che verranno adottate dai competitors.

Con l’Accordo quindi evidentemente la società resistente non ha contratto un’obbligazione ad assumere altri lavoratori e lavoratrici sino al numero complessivo di 5750, quanto invece a “fare tutto quanto necessario per incrementare l’organico aziendale” per l’anno in corso (cfr. p 4), riservandosi la facoltà per il periodo 2023 – 2025 di progredire negli incrementi occupazionali “al verificarsi degli assunti di Piano e in coerenza con quanto già approvato dalla Commissione europea” (cfr. 5).

Per concludere su questo primo punto: il piano assunzionale ha già superato la metà della dimensione prevista nell’accordo e per questa ragione non può certo dirsi in una fase iniziale, e comunque il suo auspicato sviluppo resta condizionato aduna serie di fattori esterni alla sfera di azione della società che con la, conclusione dell’accordo non ha assunto alcuna obbligazione ad effettuare le successive assunzioni.

La tesi della resistente secondo cui solo al completamento del piano un’azione come quella qui proposta sarebbe ammissibile introduce una condizione per 1’esercizio dell’azione ai sensi dell’art. 38 d.lgs. 198/2006 che non solo non è prevista nel diritto positivo, ma confligge con il carattere di urgenza proprio di questa azione e per altro si configura come una condizione interamente rimessa alle decisioni della società stessa che di qui all’anno 2025 resta del tutto libera di non progredire nel piano assunzionale.

Di fatto, si tradurrebbe per queste ragioni in una sospensione delle tutele interamente rimessa, anche quanto alla sua durata, esclusivamente alle decisioni datoriali.

Non è pertanto accoglibile questa tesi difensiva della resistente.

Un secondo argomento la società ha prospettato, seppure non riproposto nelle note conclusive, sostenendo di non essere “tenuta comunque ad osservare alcuno specifico criterio selettivo (fatti salvi quelli condivisi con le OO.SS. nel già menzionato Verbale di Accordo del 2 dicembre 2021)”.

Altri obblighi di legge, in primis quelle derivanti dalla disciplina antidiscriminatoria in questione, la società è invece evidentemente tenuta a rispettare anche nella fase di selezione e reclutamento del personale.

Se con l’affermazione da ultima citata la società resistente vuole escludere che vi sia per lei un obbligo ad assumere personale proveniente da Alitalia s.p.a. è a questo riguardo sufficiente osservare che in questo giudizio le ricorrenti non agiscono in questa qualità, né per questa ragione sostengono di essere state discriminate; pertanto è del tutto estranea a questa controversia la questione, invece ampiamente trattata in memoria di costituzione, sull’insussistenza dei presupposti perché possa ritenersi operativo l’art. 2112 .e. poiché a questa disposizione non si riferisce affatto il ricorso.

Il tema dell’odierna azione è altro: se, in fase di selezione, la società abbia o meno discriminato le ricorrenti, e come loro altre candidate all’assunzione, solo perché in gravidanza; sempre per questa ragione, neppure assume rilievo decisivo il fatto che la società abbia assunto un numero di lavoratrici già madri che fruiscono per questa ragione dei congedi parentali, in quanto la questione che qui interessa è specificamente riferita al processo di selezione che precede l’assunzione, non alle successive scelte gestionali che riguardano le lavoratrici assunte.

Esclusivamente riguarda quella porzione di lavoratrici che, come le ricorrenti, hanno presentato la loro candidatura come assistenti di volo per cui al momento la società ha fatto 755 assunzioni, 412 donne e 343 uomini.

Poiché la società ha richiamato la libertà di non tener conto di altri criteri selettivi che non siano quelli condivisi con le OO.SS. nel Verbale di accordo, è anche opportuno richiamare i principi di diritto su cui l’azione odierna si fonda e che la società è tenuta a rispettare: la questione specificamente riguarda l’operatività della tutela antidiscriminatoria nella fase di selezione del personale, antecedente la costituzione del rapporto di lavoro, e l’asserita violazione di questi criteri, certamente vincolanti anche per la società resistente

E’ questo l’unico tema della controversia.

Il  tenore letterale del dato normativo è su questo punto inequivoco: ai. sensi dell’art 27, co. 1 del D.Lgs. n. 198/2006 “È vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i Uve/li della gerarchia professionale.”.

Lo stesso art. 27 cit., al successivo comma 2, lett. a), dispone che: “La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata: a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive,·”

Un’occasione di approfondimento a questo riguardo è stata fornita anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha più volte chiarito che l’ambito di applicazione dei divieti di discriminazione investe anche la fase preassuntiva, tenuto conto della rilevanza che 1•accesso al lavoro riveste nella vita personale, che lo rende in linea di principio analogo, sotto un profilo assiologico, a quello della perdita del lavoro conseguente al licenziamento (cfr. CGUE 14.3.2017 Bagnaoui C-188/15).

Esplicativa sul punto, la sentenza CGUE de11’8 novembre 1990, causa C-177/88, Dekker, secondo cui: • questo proposito si deve osservare che un rifiuto d’assunzione per motivo di gravidanza può opporsi solo alle donne e rappresenta quindi una discriminazione diretta a motivo del sesso. Orbene, un rifiuto di ·assunzione dovuto alle conseguenze finanziarie di un’assenza per causa di gravidanza deve esser considerato fondato essenzialmente sull’elemento della gravidanza. Siffatta discriminazione non può giustificarsi con il danno finanziario subito dal datore di lavoro, in caso di assunzione di una donna incinta, durante tutto il periodo d’assenza per maternità” (cfr. p. 12).

Nello stesso senso la sentenza della Corte del 3 febbraio 2000 nella causa Silke Karin Mahlburg contro Land Mecklenburg-Vorpommern, secondo cui: “Da tale giurisprudenza risulta che l’applicazione delle disposizioni relative alla tutela delle donne incinte non può comportare un trattamento sfavorevole per quanto riguarda l’accesso al lavoro di una donna incinta, dimodoché impedisce ad un datore di lavoro di rifiutare l’assunzione di una candidata incinta per il fatto che un divieto di lavoro dovuto a tale stato di gravidanza gli impedirebbe  di assegnarla fin dall’inizio e per il periodo di gravidanza, al posto a tempo indeterminato da coprire. All’udienza sono state formulate osservazioni riguardo alle conseguenze finanziarie che potrebbero derivare dall’obbligo di assumere donne incinte, in particolare_per piccole e medie imprese. A tale proposito occo”e ricordare come la Corte abbia già affermato che il rifiuto di assunzione a causa dello stato di gravidanza non può trovare giustificazione in motivi relativi al danno finanziario a carico del datore di lavoro in caso di assunzione di una donna incinta, durante tutto il periodo di assenza per maternità (sentenza Dekker, citata, punto 12). La stessa conclusione si impone rispetto al danno finanziario causato dal fatto che la donna assunta non possa occupare, durante il periodo della sua gravidanza, il posto in questione. Occorre quindi risolvere la questione nel senso che l’art. 2, nn. 1 e 3, della direttiva osta al rifiuto di assumere una donna incinta per·un posto a tempo indeterminato a causa di un divieto di lavoro previsto dalla legge in connessione a tale stato che ne impedisca, fin dall’inizio e per la durata della gravidanza, l’impiego in detto posto.” (cfr. pp. 27-30).

I principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo appena richiamata risultano per altro pienamente sintonici con l’orientamento della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, riaffermat:1 da ultimo dalla sentenza 26 febbraio 2021, n. 5476.

Sul :punto, la Suprema Corte nella pronunzia sopra richiamata ha evidenziato (in motivazione) che: “Nelle decisioni CGUE, C-177188, Dekker del 14 novembre 1989 CGUE, C-179/88, Hoejesteret dell’8 novembre 1990; la Corte di Giustizia ha stabilito che, poiché soltanto le donne possono rimanere incinte, il rifiuto di assumere o il licenziamento di una donna incinta per il suo stato di gravidanza o maternità costituiscono una discriminazione diretta fondata sul sesso che non può essere giustificata da alcun interesse, compreso quello economico del datore di lavoro”.

Partendo da tali precedenti sovranazionali la Corte ha concluso che: “il mancato rinnovo di un contratto a termine ad una lavoratrice che si trovava in stato di gravidanza ben può integrare una discriminazione basata sul sesso, atteso che a parità della situazione lavorativa della medesima rispetto ad altri lavoratori e delle esigenze di rinnovo da parte della p.a. anche con riguardo alla prestazione del contratto in scadenza della suddetta lavoratrice, esigenze manifestate attraverso il mantenimento in servizio degli altri lavoratori con contratti analoghi, ben può essere significativo del fatto che le sia stato riservato un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza.”.

La latitudine quindi della tutela antidiscriminatoria comprende la fase di accesso al lavoro, come nel caso della mancata assunzione o ammissione alle procedure selettive per l’assunzione di determinate persone, non diversamente dalla successiva fase di svolgimento del rapporto di lavoro.

Ciò premesso, entrando nel merito delle doglianze proposte dalle ricorrenti, la società indica due argomenti per contrastare la tesi delle ricorrenti: non avrebbe potuto discriminarle nell’assunzione perché ignorava il loro stato di gravidanza, non avrebbe comunque effettuato alcuna discriminazione perché altre erano le ragioni che l’hanno indotta a non accoglierne le domande, vale a dire il fatto che fossero prive di adeguata certificazione per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Il primo argomento non è comunque risolutivo per motivi di diritto: la fondatezza dell’azione promossa dalle ricorrenti deve essere valutata sulla base degli effetti che la condotta che si assume discriminatoria ha prodotto, non è richiesta invece la prova che chi l’ha posta in essere lo abbia fatto con intenti consapevolmente discriminatori, come chiaramente emerge dalla disposizione dell’art. 40 del D. Lgs. 11 aprile 2006 n. 198 che, definendo in contenuto dell’onere probatorio, lo riferisce esclusivamente all’esistenza di “atti, patti o comportamenti discriminatori””,in esto modo ancorando la definizione solo ad elementi obiettivi, senza che I’onere della prova S1 possa intendere esteso all’elemento soggettivo di chi pone in essere questi elementi. Per altro così facendo, si determinerebbe un aggravamento dell’onere cli portata tale da rendere la tutela ben difficilmente azionabile.

Il secondo argomento è smentito dai fatti: prima di tutto, come hanno rilevato le ricorrenti, al momento in cui hanno presentato la domanda ·erano fomite sia di green pass che di certificazione di idoneità medico legale (entrambe richiamate come necessarie nelle dichiarazioni  dell’informatrice· ·                                   _·· .;. quello che era invece non scaduto ma in scadenza (per .· ·, che ha presentato la domanda il 31 agosto, al settembre, per · . al dicembre) era il Recurrent Training (da ora RT).

E’ bene chiarire che il RT costituisce un’abilitazione per operare a bordo in qualità di membro di equipaggio di Cabina e si ottiene con l’attestazione di frequenza ad un’attività di aggiornamento di breve durata, uno o due giorni, che viene ripetuta periodicamente, in genere con cadenza annuale.

E’ fuori discussione che le ricorrenti lo avessero avuto sino alle scadenze indicate, come anche che si tratta di due lavoratrici che da dieci anni ricoprono il ruolo di assistenti di volo e quindi hanno sistematicamente rinnovato l’RT con la frequenza richiesta; è anche- emerso dall’istruttoria che poco dopo la stessa società resistente avrebbe organizzato per il personale neoassunto che ne aveva bisogno un corso di due giorni che avrebbe consentito il rilascio dell’RT aggiornato, a conferma del fatto che una certificazione in scadenza per la società non costituisce impedimento all’assunzione ma solo motivo di inserimento nel successivo corso di aggiornamento (cfr. documento allegato B di parte depositato da parte ricorrente il 25 febbraio 2022  e  dichiarazioni dell’informatrice   ….._; D. del procuratore della ricorrente: Le risulta che per il 14 gennaio 20221TAha organizzato corsi per RT per i lavoratori che l’avevano in scadenza? ADR. Non :so rispondere perché è un settore tecnico, so però che se a gennaio ci fossero stati degli RT in scadenza il settore avrebbe organizzato corsi per il loro aggiornamento,· questo avviene per tutte le persone che hanno in scadenza delle certificazioni‘.

Quello proposto dalla società si rivela un argomento privo cli consistenza logica; in ogni caso, quando pure si considerasse questo criterio effettivamente operante e rispettato dalla società, allora se ne dovrebbero cogliere, al cli là della sua apparente neu1ralità, gli effetti discriminatori proprio con riferimento alle lavoratrici in gravidanza perché sono proprio loro che, impedite dalla condizione personale a lavorare in volo, non hanno interesse a rinnovare nel presente un titolo comunque già posseduto in precedenza ma di cui potranno avvalersi sono quando il periodo di astensione avrà termine.

Per queste ragioni, come osservato nelle note conclusive dalla ricorrenti, il criterio di esclusione richiamato dalla resistente, anche quando si ritenesse operante, comunque configurerebbe una forma di discriminazione indiretta.

Inoltre, le ricorrenti non hanno solo menzionato la propria vicenda, ma hanno in ricorso indicato i nominativi di altre lavoratrici, come loro della società Alitalia, che non sarebbero state chiamate  da ITA solo  perché in gravidanza: sono ……………, una settima, con rifermento alla sede di Linate.

La società resistente ha replicato, con argomento analogo a quello appena esaminato per le ricorrenti, sostenendo che l’esclusione di queste lavoratrici non avrebbe nulla a che fare con la loro condizione di gravidanza- anche in questo caso ignorata dalla società- ma sarebbe dovuta esclusivamente al fatto che erano prive di idonei titoli: con riferimento a queste lavoratrici, la società resistente ha indicato la scadenza del RT come motivo di esclusione per ……………………………………….

Sono quindi estensibili anche alla situazione di queste tre lavoratrici le considerazioni sinora espresse con riferimento alla condizione lavorativa delle ricorrenti.

Tenuto conto degli elementi sin qui esaminati, ad avviso di questo giudice le ricorrenti, con le allegazioni formulate rispetto alla propria condizione e con l’indicazione di altre sette lavoratrici che ritengono in condizione analoga alla propria (per tre delle quali questa allegazione risulta esattamente confermata), hanno assolto l’onere probatorio da cui sono gravate, secondo i criteri di distribuzione dell’onere in queste controversie che è opportuno sinteticamente richiamare

Al riguardo, l’art.28, co. 4 del D.lgs. n.150/2011 in tema di onere probatorio stabilisce che: “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti del/’azienda interessata”.

L’art. 40 del D.l s. n. 198/2006 prevede, in maniera analoga, un regime di distribuzione dell’onere probatorio “attenuato” a favore della parte che denuncia la discriminazione, stabilendo che “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi  retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.

Del medesimo tenore anche la normativa comunitaria, in quanto ai sensi dell’art. 19 della Direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006 “Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta”.

Nello stesso senso la Suprema Corte ha affermato che: “In tema di comportamenti datoriali discriminatori, l’art. 40 del d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità difatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso” (Cass. Civ, Sez. Lavoro, Sentenza.n. 14206 del 5 giugno 2013).

In questa controversia fornendo elementi relativi alla propria vicenda lavorativa ed indicando alcune altre lavoratrici che si assume essere nella stessa condizione (per tre delle quali questo assunto trova conferma sulla base delle argomentazioni della società resistente) le ricorrenti hanno fornito elementi precisi e concordanti sull’esistenza di una condotta discriminatoria in loro danno dovuto alla loro condizione di gravidanza, tale che spetta a questo punto alla società resistente l’onere di dar prova dell’inesistenza. della discriminazione.

In effetti, nel sostenere che la propria condotta è estranea ad ogni intenzione, o effetto, discriminatorio anche la società ha menzionato espressamente alcune “specifiche situazioni; si tratta del riferimento (cfr. memoria pag. 18) “a mero titolo esemplificativo” “all’assunzione della Sig.ra ,·… •                   . .-  ·  ·..  che tuttora si trova in maternità obbligatoria,  come anche in  data  15.10.2021,  “sono  state  assunte  due lavoratrici  Sigg.re,                   .. e, · ··_   . ·· . che, seppure avevano superato il periodo di maternità obbligatoria (7° mese di vita del bambino), avevano comunque un bambino di età inferiore ad un  anno”.

Tuttavia entrambi i riferimenti risultano non pertinenti nel caso di specie.

Le due lavoratrici da ultimo citate non costituiscono un termine di confronto utile in quanto, proprio per l’età del figlio, hanno superato il periodo di astensione obbligatoria per maternità; come già precisato, è qui in questione la specifica forma di discriminazione che si concretizza nell’escludere l’assunzione di lavoratrici in gravidanza, non altre eventuali forme che possano intervenire nella gestione del rapporto di lavoro nella fase successiva al parto.

Diverso  il  caso di·  …………… che è stato infatti approfondito nel corso dell’audizione delle informatrici; l’informatrice _ . . ha risposto in questi termini: “La sig.ra‘  •   è un’impiegata di terra che si trova in maternità, l’abbiamo riscontrato quando la sig.ra si è presentata in servizio ed era evidente lo stato avanzato di maternità, ha proseguito l’attività lavorativa da casa in smart working sino a quando consentito. Non so con precisione la data, ma o il 15 ottobre o subito dopo”. La _·. . appartiene al personale di terra per cui valgono diverse regole contrattuali per quanto riguarda l’astensione rispetto al personale in volo e che comunque può espletare la prestazione lavorativa anche nella forma dello smart working, come appunto è avvenuto in questo caso; anche questo non costituisce un termine di confronto utile a confutare quanto dalle ricorrenti. sostenute.

Eppure – questo ad avviso di questo giudice è il punto decisivo ai fini della distribuzione dell’onere di prova- non sarebbe stato difficile per ITA s.p.a. confutare l’affermazione delle ricorrenti: sarebbe stato sufficiente indicare i nominativi di quelle assistenti di volo, tra. le 412 assunte nel periodo in questione, che al momento dell’assunzione erano in gravidanza.

Un elemento questo che certamente la società conosce se solo si considera la durata del periodo oggetto del ricorso e 1’estensione temporale degli istituti a tutela della maternità; se questo non è avvenuto neppure nel corso dell’audizione delle informatrici’··.           _··   ·-,

coordinatrice della gestione del personale sia per la parte di terra che in volo: D. del giudice: Delle assistenti di volo donne quante sono andate in astensione obbligatoria per maternità dopo l’assunzione ? ADR. Non ne sono a conoscenza) e se nessuna informazione ha riferito la società su questo punto, diversamente da altri aspetti come quello del possesso dei titoli idonei su cui gli approfondimenti sono stati. estesi e puntuali, altro significato non si può attribuire a questa scelta se non il fatto che delle 412 assunte neppure una era in gravidanza.

Per altro, proprio su questa informazione decisiva la società contesta alle ricorrenti di non aver adempiuto l’onere probatorio in quanto “hanno del tutto omesso di ( …) di dimostrare che nessuna risorsa in gravidanza è stata assunta da ITA (circostanza comunque smentita dalla resistente con la presente memoria)” (cfr. memoria pag.29); anche a prescindere dall’esigibilità della prova di un fatto negativo, si deve comunque qui tener conto del principio di vicinanza della prova): è la società che, nell’azione ordinaria di gestione del personale, dispone di tutte le informazioni che le consentirebbero agevolmente di smentire la tesi delle ricorrenti. Il fatto che questo non sia avvenuto avvalora proprio la veridicità di questa tesi.

Infine, può aiutare, per cogliere esattamente l’entità della questione, qualche riflessione di ordine statistico, assumendo a riferimento quella parte della ricerca demografica che è stata incentrata sul rapporto tra la popolazione femminile in età fertile (15 – 49 anni) ed il numero delle nascite; l’analisi dei dati pubblicati su questo tema dall’Istat, raccolti nell’elaborazione definita “Piramide dell’età.” (consultabile in Grafici dinamici istat.it ) consente di rilevare che la relazione tra i due valori si colloca nell’ultimo biennio intorno al valore di 30 (precisamente nel 2020 sono 12.209.642 le donne in età fertile a fronte di 404.892 nascite; nel 2021 sono 11.965.446 a fronte di 399.431 nascite).

Se dunque ogni trenta donne in età fertile si verifica una nascita nell’arco dell’anno, alle 412 assistenti di volo sinora assunte avrebbe dovuto far riscontro un’incidenza di 13,7 donne in gravidanza; è vero che questo rapporto necessità di corretti.vi (il sonale assunto comprende anche donne ultracinquantenni e l’arco di tempo considerato è inferiore ai dodici mesi) ma anche applicando una riduzione sino al 50%, comunque almeno 6 o 7 donne in gravidanza avrebbero dovuto essere assunte.

Che non ve ne sia nessuna conforta, anche nel raffronto con il dato demografico nazionale, l’assunto delle ricorrenti.

Per le ragioni sin qui esaminate risulta quindi provato che la società. ITA ha adottato un comportamento discriminatorio nelle assunzioni escludendo completamente le lavoratrici in gravidanza.

Occorre ora considerare la tutela che può essere assicurata in considerazione dell’accertamento della condotta discriminatoria.

Non è accoglibile la domanda delle ricorrenti nella parte in cui chiedono che sia ordinato alla società resistente di assumerle; esorbita dal potere giudiziale, in un giudizio quale quello in questione, la costituzione coattiva di un rapporto di lavoro che verrebbe a confliggere con le prerogative riconosciute al datore di lavoro in base ai principi espressi dall’art. 41 Cost.

Merita invece accoglimento l’azione risarcitoria dal momento che dalla condotta illegittima della società convenuta è derivato un danno alle ricorrenti la cui domanda non è stata in sostanza neppure presa in considerazione; questa condotta ha determinato alle stesse una perdita di chance che si può quantificare nell’importo della retribuzione mensile per il periodo di 1S mensilità, tenuto conto del periodo di astensione dal lavoro antecedente il parto ed i sette mesi successivi dalla nascita del figlio (quindi 15 mensilità ciascuna per€ 1.480,46, pari quindi ad euro  22.206,90).

In questo modo la condanna al pagamento della somma a titolo risarcitorio vale a ristorare le ricorrenti dal danno subito per la perdita di chance ma esprime anche una valenza dissuasiva perché elide il vantaggio che la società resistente ha inteso assicurarsi evitando l’assunzione di assistenti di volo in gravidanza, per le quali la presenza sul luogo di lavoro sarebbe stata sospesa per la durata del tempo a cui la condanna viene commisurata.

In questi termini merita quindi accoglimento il ricorso.

Seguono la soccombenza le spese di lite come liquidate in dispositivo, determinate con questi criteri: DM 55/2014, procedimenti cautelari, cause di valore indeterminabile, complessità bassa, studio € 845, introduzione€ 405,00, istruttoria€ 1.323,00, decisione € 573,00, per un totale di € 3.146,00.

Visto Part. 38 d.lgs. 198/2006

P.Q.M.

Ordina ad I T A s.p.a. la cessazione del comportamento  illegittimo consistente nell’esclusione delle candidate in gravidanza e puerperio  dalla  procedura  di selezione ed assunzione per le assistenti di volo;

Condanna la società I T A s.p.-a. al pagamento in favore di  ciascuna delle ricorrenti a titolo risarcitorio della somma di€ 22.206,90, oltre interessi dall’odierna pronuncia al saldo;

Condanna Italia Trasporto Aereo s.p.a. al pagamento delle spese di lite che liquida nella

complessiva somma di€ 3.146,00, oltre il 15% per spese generali, iva e cpa come per legge

Roma, 23 marzo  2022