Discriminazione indiretta cittadini soggiornanti di lungo periodo Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 29 luglio 2024
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
29 luglio 2024 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo – Direttiva 2003/109/CE – Articolo 11, paragrafo 1, lettera d) – Parità di trattamento – Misure riguardanti le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale – Requisito relativo alla residenza per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo – Discriminazione indiretta»
Nelle cause riunite C‑112/22 e C‑223/22,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Napoli (Italia), con ordinanze del 16 febbraio 2022 e del 22 marzo 2022, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 17 febbraio 2022 e il 29 marzo 2022, nei procedimenti penali a carico di
CU (C‑112/22),
ND (C‑223/22),
altre parti nel procedimento:
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (C‑112/22 e C‑223/22),
Ministero dell’Economia e delle Finanze (C‑112/22 e C‑223/22),
Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (C‑223/22),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, K. Jürimäe, F. Biltgen e N. Piçarra, presidenti di sezione, S. Rodin, P.G. Xuereb, I. Jarukaitis (relatore), N. Wahl, I. Ziemele e J. Passer, giudici,
avvocato generale: P. Pikamäe
cancelliere: C. Di Bella, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 ottobre 2023,
considerate le osservazioni presentate:
– per CU e ND, da M. Costantino, avvocata;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino e P. Gentili, avvocati dello Stato;
– per la Commissione europea, da A. Katsimerou, B.-R. Killmann e P.A. Messina, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 gennaio 2024,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli articoli 18 e 45 TFUE, dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), degli articoli 30 e 31 della Carta sociale europea, firmata a Torino il 18 ottobre 1961 nell’ambito del Consiglio d’Europa e riveduta a Strasburgo il 3 maggio 1996 (in prosieguo: la «Carta sociale europea»), dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1), nonché dell’articolo 29 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di procedimenti penali promossi, nella causa C‑112/22, a carico di CU e, nella causa C‑223/22, a carico di ND, per false dichiarazioni relative ai requisiti di accesso al «reddito di cittadinanza».
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2003/109
3 I considerando da 2 a 4, 6 e 12 della direttiva 2003/109 così recitano:
«(2) Nella riunione straordinaria di Tampere del 15 e del 16 ottobre 1999, il Consiglio europeo ha affermato che occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri e che, alle persone che soggiornano regolarmente in un determinato Stato membro per un periodo da definirsi e sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, lo Stato membro dovrebbe garantire una serie di diritti uniformi e quanto più simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’Unione europea.
(3) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella [Carta].
(4) L’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli Stati membri costituisce un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità enunciato nel trattato.
(…)
(6) La condizione principale per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo dovrebbe essere la durata del soggiorno nel territorio di uno Stato membro. Dovrebbe trattarsi di un soggiorno legale ed ininterrotto, a testimonianza del radicamento del richiedente nel paese in questione. È necessaria una certa flessibilità affinché si possa tener conto delle circostanze che possono indurre una persona ad allontanarsi temporaneamente dal territorio.
(…)
(12) Per costituire un autentico strumento di integrazione sociale, lo status di soggiornante di lungo periodo dovrebbe valere al suo titolare la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro in una vasta gamma di settori economici e sociali [alle] pertinenti condizioni definite dalla presente direttiva».
4 Ai sensi dell’articolo 2, lettere a) e b), di tale direttiva, rubricato «Definizioni»:
«Ai fini della presente direttiva, si intende per:
a) “cittadino di paese terzo”, chiunque non sia cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1 del trattato;
b) “soggiornante di lungo periodo”, il cittadino di paese terzo titolare dello status di soggiornante di lungo periodo di cui agli articoli da 4 a 7».
5 L’articolo 4 di detta direttiva, rubricato «Durata del soggiorno», al paragrafo 1 così dispone:
«Gli Stati membri conferiscono lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda».
6 L’articolo 5 della direttiva 2003/109 prevede le condizioni per acquisire lo status di soggiornante di lungo periodo. Conformemente al paragrafo 1, lettere a) e b), di tale articolo, gli Stati membri richiedono ai cittadini di paesi terzi di comprovare che dispongono, per sé e per i familiari a carico, da un lato, di risorse stabili e regolari, sufficienti al sostentamento loro e dei loro familiari, senza fare ricorso al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato, e, dall’altro, di un’assicurazione malattia contro tutti i rischi solitamente coperti per i propri cittadini nello Stato membro interessato. Il paragrafo 2 di detto articolo 5 dispone che gli Stati membri possono esigere altresì che i cittadini di paesi terzi soddisfino le condizioni di integrazione, conformemente alla legislazione nazionale.
7 Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo, il cittadino del paese terzo interessato deve presentare alle autorità competenti dello Stato membro in cui soggiorna una domanda corredata della documentazione comprovante conformemente alla legislazione nazionale la sussistenza delle condizioni di cui agli articoli 4 e 5 di detta direttiva.
8 L’articolo 11 della medesima direttiva, rubricato «Parità di trattamento», ai paragrafi 1, 2 e 4 prevede quanto segue:
«1. Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda:
(…)
d) le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale;
(…)
2. Per quanto riguarda le disposizioni del paragrafo 1, lettere b), d), e), f) e g), lo Stato membro interessato può limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questi chiede la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio.
(…)
4. Gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali».
Regolamento n. 492/2011
9 Ai sensi dell’articolo 7 del regolamento n. 492/2011, facente parte della sezione 2, intitolata «Esercizio dell’impiego e parità di trattamento», del capo I, recante il titolo «L’impiego, la parità di trattamento e la famiglia dei lavoratori», di tale regolamento:
«1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.
2. Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.
(…)».
Direttiva 2011/95
10 L’articolo 29 della direttiva 2011/95, rubricato «Assistenza sociale», al paragrafo 1 così dispone:
«Gli Stati membri provvedono affinché i beneficiari di protezione internazionale ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione, adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello Stato membro in questione».
Diritto italiano
11 L’articolo 1 del decreto‑legge del 28 gennaio 2019, n. 4 – Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni (GURI n. 23 del 28 gennaio 2019), convertito dalla legge del 28 marzo 2019, n. 26 (GURI n. 75 del 29 marzo 2019) (in prosieguo: il «decreto‑legge n. 4/2019»), al comma 1 così dispone:
«È istituito, a decorrere dal mese di aprile 2019, il Reddito di cittadinanza (…) quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro. Il [reddito di cittadinanza] costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili».
12 L’articolo 2 di tale decreto‑legge, rubricato «Beneficiari», definisce i requisiti di accesso al reddito di cittadinanza. Tali requisiti riguardano, da un lato, la cittadinanza, la residenza e il soggiorno del richiedente e, dall’altro, in particolare, il reddito, il patrimonio e il godimento di beni durevoli del nucleo familiare del medesimo. Per quanto riguarda questi primi requisiti, l’articolo 2, al comma 1, prevede quanto segue:
«Il [reddito di cittadinanza] è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, dei seguenti requisiti:
a) con riferimento ai requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, il componente richiedente il beneficio deve essere cumulativamente:
1) in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione (…), ovvero [essere un] suo familiare, (…), che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero [essere un] cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno [dell’Unione] per soggiornanti di lungo periodo;
2) residente in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
(…)».
13 L’articolo 3 di detto decreto‑legge, rubricato «Beneficio economico», al comma 1 così dispone:
«Il beneficio economico del [reddito di cittadinanza], su base annua, si compone dei seguenti due elementi:
a) una componente ad integrazione del reddito familiare (…) fino alla soglia di euro 6 000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza (…);
b) una componente, ad integrazione del reddito dei nuclei familiari residenti in abitazione in locazione, pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto in locazione (…) fino ad un massimo di euro 3 360 annui».
14 L’articolo 7 del medesimo decreto‑legge, rubricato «Sanzioni», al comma 1 prevede quanto segue:
«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni».
Procedimenti principali e questioni pregiudiziali
15 CU e ND sono cittadine di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in Italia. CU è stata registrata come residente il 29 marzo 2012. ND è stata invece registrata come residente il 24 marzo 2013.
16 CU e ND sono accusate dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (Italia) di aver commesso il reato di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto-legge n. 4/2019, in quanto esse avrebbero sottoscritto, rispettivamente il 27 agosto 2020 e il 9 ottobre 2020, domande volte all’ottenimento del «reddito di cittadinanza», attestandovi falsamente di soddisfare i requisiti per la concessione di tale prestazione, ivi compreso il requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni previsto da detto decreto-legge. CU e ND avrebbero indebitamente percepito, a tale titolo, una somma totale pari a, rispettivamente, EUR 3 414,40 ed EUR 3 186,66.
17 Il Tribunale di Napoli (Italia), giudice del rinvio, nutre dubbi sulla conformità del decreto‑legge n. 4/2019 al diritto dell’Unione, nella misura in cui, al fine di ottenere il «reddito di cittadinanza», che costituisce una prestazione di assistenza sociale volta a garantire un livello minimo di sussistenza, tale decreto‑legge impone, in particolare, ai cittadini di paesi terzi di avere risieduto in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Detto giudice ritiene che, in tal modo, il decreto-legge in parola istituisca un trattamento sfavorevole nei confronti di tali cittadini, ivi compresi di coloro i quali sono titolari di permessi di soggiorno di lungo periodo, rispetto al trattamento riservato ai cittadini nazionali.
18 A tal proposito, detto giudice constata anzitutto che il «reddito di cittadinanza» costituisce una prestazione di assistenza sociale volta a garantire un livello minimo di sussistenza, rientrante in uno dei tre settori indicati all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, ossia le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale. Inoltre, l’articolo 11, paragrafo 4, di tale direttiva non sarebbe rilevante nel caso di specie, dal momento che lo Stato italiano, adottando la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, non avrebbe limitato la parità di trattamento alle prestazioni essenziali. Peraltro, quand’anche fosse prevista da tale normativa, una limitazione di questo tipo non sarebbe conforme alla direttiva 2003/109 poiché, secondo l’ultima frase dell’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 4/2019, il «reddito di cittadinanza» costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili.
19 Il giudice del rinvio rammenta che, nella sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj (C‑571/10, EU:C:2012:233), la Corte ha dichiarato che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 dev’essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale, per quanto riguarda la concessione di un sussidio per l’alloggio, riservi ad un cittadino di un paese terzo, beneficiario dello status di soggiornante di lungo periodo conferito conformemente alle disposizioni di detta direttiva, un trattamento diverso da quello riservato ai cittadini nazionali. Esso cita altresì le sentenze del 27 marzo 1985, Hoeckx (249/83, EU:C:1985:139), e del 27 marzo 1985, Scrivner e Cole (122/84, EU:C:1985:145), che riguarderebbero una misura di assistenza sociale paragonabile al «reddito di cittadinanza». In tali sentenze, la Corte avrebbe dichiarato che, ai sensi del regolamento n. 492/2011, una siffatta misura doveva essere concessa sia ai lavoratori nazionali che ai lavoratori di altri Stati membri.
20 Per contro, la Corte non si sarebbe ancora pronunciata sulla questione se una disposizione nazionale, che prevede la concessione di un «reddito di cittadinanza» esclusivamente ai richiedenti che soddisfino un requisito di residenza come quello di cui trattasi nei procedimenti principali, sia conforme al diritto dell’Unione. Orbene, poiché l’eventuale illegittimità del requisito previsto all’articolo 2, comma 1, lettera a), punto 2, del decreto-legge n. 4/2019 farebbe venir meno l’elemento materiale del reato di cui trattasi, una risposta a tale questione sarebbe necessaria al fine di statuire nei procedimenti principali.
21 In tali circostanze, il Tribunale di Napoli ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, redatte in maniera identica nelle cause riunite C‑112/22 e C‑223/22:
«1) Se il diritto dell’Unione, e in particolare [gli articoli 18 e 45 TFUE], l’articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], l’articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], l’articolo 29 [della direttiva 2011/95], l’articolo 34 della [Carta], gli articoli 30 e 31 della [Carta sociale europea], ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto-legge n. 4/2019], nella parte in cui condiziona l’accesso al reddito di cittadinanza al requisito della residenza in Italia per almeno 10 anni (di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo) riservando così un trattamento deteriore ai cittadini italiani, [dell’Unione] titolari del diritto di soggiorno o di soggiorno permanente, o [di paesi terzi] soggiornanti di lungo periodo residenti [in Italia] da meno di dieci anni o da dieci anni di cui gli ultimi due non continuativi rispetto alle stesse categorie residenti da dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo.
Nel caso in cui la precedente questione venga risolta affermativamente:
2) Se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], l’articolo 45 [TFUE], l’articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], l’articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], l’articolo 29 [della direttiva 2011/95], l’articolo 34 della [Carta], gli articoli 30 e 31 della [Carta sociale europea], ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto-legge n. 4/2019], nella parte in cui riserva un trattamento diverso ai soggiornanti di lungo periodo, che possono acquisire un diritto permanente di soggiorno in uno Stato [dell’Unione] dopo aver risieduto per cinque anni nello Stato membro di accoglienza, e i soggiornanti di lungo periodo residenti [in Italia] da dieci anni di cui gli ultimi due in modo continuativo.
3) Se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], [l’]articolo 45 [TFUE], [l’]articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], [l’]articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], [l’]articolo 29 [della direttiva 2011/95] ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto‑legge n. 4/2019], che impone ai cittadini italiani, [dell’Unione] e [di paesi terzi] l’obbligo di residenza decennale (e la continuatività degli ultimi due anni) per accedere al beneficio del reddito di cittadinanza.
4) Se il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 18 [TFUE], l’articolo 45 [TFUE], l’articolo 7 comma 2 del [regolamento n. 492/2011], l’articolo 11 paragrafo 1.d) della [direttiva 2003/109], l’articolo 29 [della direttiva 2011/95], l’articolo 34 della [Carta], gli articoli 30 e 31 della [Carta sociale europea], ostino a una normativa nazionale quale quella contenuta nel combinato disposto degli articoli 7 comma 1 e 2 comma 1 lettera a) del [decreto‑legge n. 4/2019], nella parte in cui, al fine di ottenere il beneficio del reddito di cittadinanza, obbliga i cittadini italiani, [dell’Unione] e [di paesi terzi] a dichiarare di aver risieduto per dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, in Italia, facendo discendere dalla falsa dichiarazione severe conseguenze di rilevanza penale».
Procedimento dinanzi alla Corte
22 Con decisione del presidente della Corte del 3 maggio 2022 le cause C‑112/22 e C‑223/22 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.
23 L’8 maggio 2023, la Corte ha rivolto una domanda di chiarimenti al giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del regolamento di procedura, invitandolo a indicare lo status giuridico delle persone coinvolte nei procedimenti penali principali, nonché le disposizioni specifiche del diritto dell’Unione applicabili a tali persone la cui interpretazione gli sembrava necessaria ai fini della definizione delle cause di cui era investito. Il giudice del rinvio ha risposto a tale domanda il 9 giugno 2023, nella causa C‑223/22, e il 13 giugno 2023, nella causa C‑112/22, precisando che le persone di cui trattasi nei procedimenti principali sono cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in Italia. Inoltre, nella risposta fornita nella causa C‑112/22, tale giudice ha precisato che la disposizione la cui interpretazione è utile ai fini del procedimento principale è l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.
24 Conformemente all’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Repubblica italiana ha chiesto che le presenti cause fossero giudicate dalla Grande Sezione, domanda accolta dalla Corte il 10 luglio 2023.
Sulla competenza della Corte
25 Il governo italiano sostiene, nelle sue osservazioni scritte, che la Corte non sarebbe competente a rispondere alle questioni sollevate, dal momento che le disposizioni nazionali applicabili nei procedimenti principali vertono su una prestazione prevista da una normativa nazionale derivante dall’esercizio di competenze esclusive degli Stati membri. Il «reddito di cittadinanza» di cui trattasi nei procedimenti principali non sarebbe una misura di protezione sociale o di assistenza sociale il cui scopo sia semplicemente quello di garantire agli interessati un certo livello di reddito, ma costituirebbe una misura complessa volta soprattutto a favorire l’inclusione sociale e la reintegrazione degli interessati nel mercato del lavoro.
26 A tale proposito occorre constatare che le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, in particolare dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, il che rientra manifestamente nella competenza della Corte [v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2022, Prokurator Generalny (Sezione disciplinare della Corte Suprema – Nomina), C‑508/19, EU:C:2022:201, punto 57 e giurisprudenza ivi citata].
27 Inoltre, nella misura in cui l’argomento del governo italiano sia inteso a contestare che il «reddito di cittadinanza» di cui trattasi nei procedimenti principali rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, si deve constatare che, come osservato da questo stesso governo nel corso dell’udienza dinanzi alla Corte, tale argomento non è idoneo a mettere in discussione la competenza della Corte a rispondere alle questioni sollevate, ma dev’essere valutato nell’ambito del loro esame nel merito (v., in tal senso, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 76).
28 Tuttavia occorre constatare che il giudice del rinvio menziona, nelle sue questioni, anche gli articoli 30 e 31 della Carta sociale europea. Orbene, se secondo le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17) l’articolo 34, paragrafo 3, della stessa si ispira agli articoli 30 e 31 della Carta sociale europea riveduta, risulta da costante giurisprudenza che la Corte non è competente a interpretare quest’ultima carta (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).
29 Ne consegue che la Corte è competente a statuire sulle domande di pronuncia pregiudiziale, salvo nella misura in cui esse vertono sulle disposizioni della Carta sociale europea.
Sulle questioni pregiudiziali
30 In via preliminare occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta alla Corte fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale ottica spetta, se del caso, alla Corte riformulare le questioni che le sono sottoposte, traendo dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, in particolare dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia [v., in tal senso, sentenza del 29 febbraio 2024, Eesti Vabariik (Põllumajanduse Registrite ja Informatsiooni Amet), C‑437/22, EU:C:2024:176, punto 41 e giurisprudenza ivi citata].
31 A tal riguardo occorre rilevare che le domande di pronuncia pregiudiziale fanno riferimento a diverse categorie di persone che, secondo il giudice del rinvio, potrebbero essere svantaggiate dalla normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, ossia i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, taluni cittadini nazionali, i cittadini dell’Unione nonché i cittadini di paesi terzi beneficiari di protezione internazionale. Tali domande non precisano però in quale di tali categorie rientrino le persone di cui trattasi nei procedimenti principali.
32 Tuttavia, come rilevato al punto 23 della presente sentenza, nelle sue risposte alla domanda di chiarimenti della Corte, tale giudice ha precisato che le persone di cui trattasi nei procedimenti principali sono cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in Italia. Inoltre, nella causa C‑112/22 esso ha precisato che la disposizione la cui interpretazione è utile ai fini del procedimento principale è l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109. Infatti è tale disposizione, letta alla luce dell’articolo 34 della Carta, ad essere applicabile a detta categoria di persone, e non gli articoli 18 e 45 TFUE, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 492/2011 o l’articolo 29 della direttiva 2011/95, parimenti menzionati nelle questioni sollevate. Queste ultime disposizioni non devono quindi essere esaminate, in quanto non presentano alcun nesso con le controversie di cui ai procedimenti principali.
33 Alla luce di quanto precede occorre quindi considerare che, con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina l’accesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza.
34 Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale.
35 In primo luogo, nella misura in cui il governo italiano contesta che il «reddito di cittadinanza» di cui trattasi nei procedimenti principali rientri nell’ambito di applicazione di tale disposizione, occorre ricordare che, quando una disposizione del diritto dell’Unione, come l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, fa espresso rinvio alla normativa nazionale, non spetta alla Corte attribuire ai termini di cui trattasi una definizione autonoma e uniforme ai sensi del diritto dell’Unione. Infatti, tale rinvio traduce la volontà del legislatore dell’Unione di rispettare le differenze che sussistono tra gli Stati membri riguardo alla definizione ed alla portata esatta delle nozioni di cui trattasi. Tuttavia, l’assenza di una definizione autonoma ed uniforme, ai sensi del diritto dell’Unione, delle nozioni di prestazioni sociali, di assistenza sociale e di protezione sociale e il rinvio al diritto nazionale relativamente a dette nozioni, contenuto in tale disposizione, non implicano che gli Stati membri possano pregiudicare l’effetto utile della direttiva 2003/109 al momento dell’applicazione del principio della parità di trattamento previsto da tale disposizione (sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punti 77 e 78, nonché del 28 ottobre 2021, ASGI e a., C‑462/20, EU:C:2021:894, punto 31).
36 Inoltre l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta prevede che le disposizioni di quest’ultima si applichino agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione. Del pari, dal considerando 3 della direttiva 2003/109 emerge che essa rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti, segnatamente, dalla Carta.
37 Ne consegue che, allorché stabiliscono le misure riguardanti le prestazioni sociali, di assistenza sociale e di protezione sociale definite dalla loro legislazione nazionale e soggiacenti al principio della parità di trattamento sancito all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, gli Stati membri devono rispettare i diritti ed osservare i principi previsti dalla Carta, segnatamente quelli enunciati all’articolo 34 di quest’ultima. Orbene, ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 3, della Carta, al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione – e dunque gli Stati membri quando attuano il diritto di quest’ultima – «riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali» (sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 80).
38 Dal momento che sia l’articolo 34 della Carta sia l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109 rinviano al diritto nazionale, spetta al giudice del rinvio stabilire se il «reddito di cittadinanza» di cui trattasi nei procedimenti principali costituisca una prestazione sociale rientrante tra quelle menzionate in detta direttiva (v., in tal senso, sentenze del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 81, e del 28 ottobre 2021, ASGI e a., C‑462/20, EU:C:2021:894, punto 32).
39 Orbene, come è stato rilevato al punto 18 della presente sentenza, tale giudice constata nelle sue domande di pronuncia pregiudiziale che il «reddito di cittadinanza» costituisce una prestazione di assistenza sociale volta a garantire un livello minimo di sussistenza, rientrante in uno dei tre settori indicati all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, ossia le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale, ai sensi della legislazione nazionale.
40 È vero che il governo italiano contesta questa constatazione del giudice del rinvio. Tuttavia occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali la Corte è tenuta a prendere in considerazione il contesto materiale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali così come definito dalla decisione di rinvio. Pertanto, indipendentemente dalle critiche espresse dal governo di uno Stato membro nei confronti dell’interpretazione del diritto nazionale adottata dal giudice del rinvio, l’esame delle questioni pregiudiziali dev’essere effettuato sulla base di tale interpretazione e non spetta alla Corte verificarne l’esattezza (v., in tal senso, sentenze del 21 giugno 2016, New Valmar, C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 25, e del 21 dicembre 2023, Cofidis, C‑340/22, EU:C:2023:1019, punto 31).
41 Nell’ambito delle presenti cause, la Corte deve dunque muovere dalla premessa che il «reddito di cittadinanza» di cui trattasi nei procedimenti principali costituisce una misura rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta.
42 Inoltre sebbene, conformemente all’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2003/109, gli Stati membri possano limitare, in materia di assistenza sociale e di protezione sociale, la parità di trattamento alle prestazioni essenziali, il giudice del rinvio constata nelle sue domande di pronuncia pregiudiziale che tale disposizione, che va interpretata restrittivamente, non si applica al caso di specie. Infatti, da un lato, le autorità italiane competenti per l’attuazione di tale direttiva non avrebbero chiaramente espresso la loro intenzione di avvalersi della deroga prevista da detta disposizione. Dall’altro, il «reddito di cittadinanza» costituirebbe proprio una «prestazione essenziale» ai sensi della medesima disposizione. Tale nozione designa prestazioni che contribuiscono a permettere all’individuo di soddisfare i suoi bisogni elementari, come il vitto, l’alloggio e la salute (v., a tale riguardo, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punti da 86 a 92).
43 In secondo luogo, occorre rammentare che il sistema istituito dalla direttiva 2003/109 indica chiaramente che l’attribuzione dello status di soggiornante di lungo periodo conferito ai sensi di tale direttiva è subordinato a una procedura particolare e, inoltre, all’obbligo di soddisfare le condizioni precisate nel capo II di detta direttiva.
44 L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/109 prevede che gli Stati membri conferiscono lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda. L’articolo 5 di detta direttiva subordina il riconoscimento di tale status alla prova che il cittadino di un paese terzo che ne chiede il beneficio disponga di risorse sufficienti nonché di un’assicurazione malattia. Infine, l’articolo 7 della medesima direttiva precisa i requisiti procedurali per l’acquisizione di detto status.
45 Risulta, peraltro, dai considerando 2, 4, 6 e 12 della direttiva 2003/109 che quest’ultima è volta a garantire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi stabilitisi legalmente a titolo duraturo negli Stati membri e, a tal fine, ad avvicinare i diritti di tali cittadini a quelli di cui godono i cittadini dell’Unione, in particolare assicurando la parità di trattamento con questi ultimi in una vasta gamma di settori economici e sociali. Lo status di soggiornante di lungo periodo permette quindi alla persona cui è conferito di godere della parità di trattamento nei settori di cui all’articolo 11 di detta direttiva, alle condizioni previste da tale articolo [sentenza del 25 novembre 2020, Istituto nazionale della previdenza sociale (Prestazioni familiari per i soggiornanti di lungo periodo), C‑303/19, EU:C:2020:958, punto 28 e giurisprudenza ivi citata].
46 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 35 delle sue conclusioni, tale status corrisponde al livello più avanzato di integrazione per i cittadini di paesi terzi e giustifica che sia loro garantita la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, in particolare per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale.
47 In terzo luogo, per quanto riguarda la questione se il requisito di aver risieduto per almeno dieci anni in Italia, di cui gli ultimi due in modo continuativo, richiesto ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), punto 2, del decreto-legge n. 4/2019 per poter accedere al «reddito di cittadinanza», sia compatibile con l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta, il giudice del rinvio sottolinea che tale requisito di residenza si applica indistintamente sia ai cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo sia ai cittadini italiani. Tuttavia tale giudice osserva, in sostanza, che detto requisito svantaggia i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini italiani che risiedono in Italia e che non hanno lasciato il territorio di tale Stato membro per soggiornare per periodi prolungati all’estero.
48 Orbene, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 50 delle sue conclusioni, il principio di parità di trattamento sancito all’articolo 11 della direttiva 2003/109 vieta non soltanto le discriminazioni palesi, fondate sulla cittadinanza, ma anche tutte le forme dissimulate di discriminazione che, in applicazione di altri criteri distintivi, pervengano di fatto allo stesso risultato.
49 Pertanto occorre verificare, sotto un primo profilo, se un requisito di residenza di dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, comporti una disparità di trattamento costitutiva di una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini dello Stato membro interessato.
50 A tale proposito occorre rilevare che un tale requisito di residenza di dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, incide principalmente sui cittadini stranieri, tra i quali figurano, in particolare, i cittadini di paesi terzi.
51 Il giudice del rinvio rileva, peraltro, che il requisito della residenza di dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, incide anche sugli interessi dei cittadini italiani che ritornano in Italia dopo un periodo di residenza in un altro Stato membro. Tuttavia, è indifferente che la misura di cui trattasi nel procedimento principale sfavorisca, eventualmente, tanto i cittadini nazionali che non possano rispettare un siffatto requisito quanto i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. Infatti, una misura può essere considerata una discriminazione indiretta senza che sia necessario che essa abbia l’effetto di favorire tutti i cittadini nazionali o di non sfavorire soltanto i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, ad esclusione dei cittadini nazionali (v., per analogia, sentenza del 20 giugno 2013, Giersch e a., C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 45).
52 Pertanto, la differenza di trattamento tra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini nazionali, derivante dal fatto che una normativa nazionale prevede un requisito di residenza di dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, costituisce una discriminazione indiretta.
53 Occorre rilevare, sotto un secondo profilo, che, in linea di principio, una tale discriminazione è vietata a meno che non sia obiettivamente giustificata. Orbene, per essere giustificata, essa dev’essere idonea a garantire il conseguimento di un obiettivo legittimo e non eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo.
54 A tale riguardo, nelle sue osservazioni scritte il governo italiano rileva che, poiché il «reddito di cittadinanza» è un beneficio economico la cui erogazione è condizionata all’adesione dei componenti maggiorenni del nucleo familiare interessato a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale sulla base di convenzioni specifiche, la concessione di tale beneficio implica un’operazione di inserimento sociale e professionale molto complessa dal punto di vista amministrativo. Pertanto, secondo tale governo, il legislatore nazionale ha debitamente riservato l’accesso a tale misura ai cittadini di paesi terzi soggiornanti in Italia in modo permanente e ivi ben integrati.
55 Tuttavia, occorre rilevare che l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 prevede tassativamente i casi in cui gli Stati membri possono derogare, in termini di residenza, alla parità di trattamento tra cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e cittadini nazionali. Pertanto, al di fuori di tali casi, una differenza di trattamento tra queste due categorie di cittadini costituisce, di per sé, una violazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di tale direttiva [v., in tal senso, sentenza del 25 novembre 2020, Istituto nazionale della previdenza sociale (Prestazioni familiari per i soggiornanti di lungo periodo), C‑303/19, EU:C:2020:958, punto 23].
56 In particolare, una disparità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e i cittadini dello Stato membro interessato non può essere giustificata dal fatto che essi si troverebbero in una situazione diversa a causa dei loro rispettivi legami con tale Stato membro. Una siffatta giustificazione sarebbe contraria all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, che impone una parità di trattamento tra loro nei settori delle prestazioni sociali, dell’assistenza sociale e della protezione sociale [sentenza del 25 novembre 2020, Istituto nazionale della previdenza sociale (Prestazioni familiari per i soggiornanti di lungo periodo), C‑303/19, EU:C:2020:958, punto 34].
57 Infatti, come rilevato al punto 44 della presente sentenza, la direttiva 2003/109 prevede, al suo articolo 4, paragrafo 1, un requisito di soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni nel territorio di uno Stato membro affinché il cittadino di un paese terzo possa ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo da parte di tale Stato membro. Dalla suddetta disposizione, letta congiuntamente al considerando 6 di tale direttiva, risulta che il legislatore dell’Unione ha considerato che tale periodo di soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni testimoni il «radicamento del richiedente nel paese in questione», e debba quindi essere considerato sufficiente affinché quest’ultimo abbia diritto, dopo l’acquisizione dello status di soggiornante di lungo periodo, alla parità di trattamento con i cittadini di detto Stato membro, in particolare per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale, conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), di detta direttiva.
58 Pertanto uno Stato membro non può prorogare unilateralmente il periodo di soggiorno richiesto affinché tale soggiornante di lungo periodo possa godere del diritto garantito dall’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, senza violare quest’ultima disposizione e l’obiettivo da essa perseguito, consistente, come risulta dal considerando 12 della medesima direttiva, nel garantire che lo status di soggiornante di lungo periodo costituisca «un autentico strumento di integrazione sociale».
59 Ne consegue che un requisito di residenza di dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, come quello di cui trattasi nei procedimenti principali, è contrario all’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.
60 In quarto e ultimo luogo, per quanto attiene alla questione della compatibilità con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la direttiva 2003/109, di una disposizione nazionale che prevede l’irrogazione di una sanzione penale ai richiedenti una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale in caso di falsa dichiarazione, da parte di questi ultimi, circa i requisiti di accesso a tale misura, occorre ricordare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che un sistema sanzionatorio nazionale non è compatibile con le disposizioni della direttiva 2003/109 quando è imposto per assicurare il rispetto di un obbligo che, a sua volta, non è conforme a tali disposizioni [v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2022, Landespolizeidirektion Steiermark (Durata massima del controllo di frontiera alle frontiere interne), C‑368/20 e C‑369/20, EU:C:2022:298, punto 97 e giurisprudenza ivi citata].
61 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta, dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina l’accesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza.
Sulle spese
62 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
dev’essere interpretato nel senso che:
esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina l’accesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza.