Tribunale di Udine, decreto del 9 luglio 2014, discriminazione di genere fondata sul sesso

Tribunale Ordinario di Udine

Decreto

Il giudice del lavoro,

sciogliendo la riserva,

rilevato che la ricorrente, con ricorso ex art 38 L. n. 198/2006, ha dedotto che il riproporzionamento previsto nella determina 21.12.2010 dell’Agenzia del territorio in relazione ad una procedura per la progressione economica, nella parte in cui stabilisce che nel caso di personale in part time il punteggio da attribuire sia calcolato in proporzione alla percentuale di lavoro parziale lavorato ogni anno, costituisce  discriminazione indiretta di genere, e ha quindi chiesto che venga ordinata dall’Agenzia delle Entrate la cessazione di tale condotta discriminatoria, riconoscendole il punteggio per l’anzianità di servizio maturata che le sarebbe spettato senza l’abbattimento di punti percentuali parametrati al part time;

rilevato che la ricorrente ha contestato la discriminatorietà, per discriminazione indiretta di genere, del criterio adottato in quanto comportante effetti svantaggiosi e  pregiudizievoli per il personale con rapporto di lavoro part time, costituito in misura nettamente prevalentemente femminile;

rilevato è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di colui che si trova in graduatoria in posizione tale da essere pregiudicata da una modifica del punteggio attribuito alla ricorrente e che il terzo G. R. non si è costituito;

rilevato che secondo Cass. N. 14206/2013 in tema di comportamenti datoriali discriminatori, l’art 40 del d.lgs 11 aprile 2006, n. 198 – nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi  dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità – non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 Luglio 2011, C- 104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti, o comportamenti discriminatori in ragione del sesso;

osserva quanto segue:

Premessa l’astratta ammissibilità del ricorso alla procedura di cui alla L. 198/2006, nel caso di specie i dati statistici da parte resistente con nota depositata in data 15.4.2014 depongono per una discriminazione di genere.

Infatti, da essi può evincersi che i lavoratori full time di entrambi i sessi sono risultati vincitori in misura superiore ai dipendenti part time.

È pacifico perché indicato anche dalla resistente che il part time sia uno strumento utilizzato in prevalenza da dipendenti di sesso femminile.

Dai dati statistici dimessi risultano non vincitori donne part time 119 su 3.390 donne partecipanti e non vincitori uomini part time 82 su 4.788 uomini partecipanti.

Pertanto su 3.390 donne complessivamente partecipanti alla procedura sarebbero state colpite dalla condotta denunciata come discriminatoria 119 in part time non vincitrici (pari al 3,51 delle donne) su 4.788 uomini complessivamente partecipanti alla procedura sarebbero stati colpiti 82 part time non vincitori (pari al 1,71% degli uomini)

La percentuale di donne che devono ritenersi presuntivamente e a livello statistico escluse sulla base del criterio denunciato come discriminatorio è quindi più che doppia rispetto a quella degli uomini ugualmente penalizzati, e in tale scostamento sta ad avviso di questo giudice la discriminazione indiretta.

Il criterio adottato nella Determina contestata dalla ricorrente, con riguardo al part time, è quindi discriminatorio, alla luce della definizione  di “discriminazione indiretta “ fornita dall’art 25, comma 2, del D. Lgs n. 198/2006: “si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo,  quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto, o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo comportamento siano appropriati e necessari”; nonché dell’art 29, che vieta le discriminazioni per genere per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche e la progressione nella carriera.

Nel caso di specie è pacifico che proprio la considerazione pro quota dell’esperienza professionale ha impedito alla ricorrente di collocarsi utilmente in graduatoria.

Deve anche escludersi che si tratti di una ipotesi di “requisito essenziale allo svolgimento dell’attività lavorativa”, alla luce della circostanza che, nel caso di specie, all’anzianità di servizio non è attribuito un valore preponderante rispetto agli altri criteri.

La Corte di Giustizia con sentenza 10,3.2005, nella causa C-196/02 ha stabilito il seguente principio:

Quando colpisca un numero molto più alto di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile, l’esclusione totale dell’impego a tempo parziale in sede di calcolo dell’anzianità di servizio costituisce una discriminazione indiretta fondata sul sesso contraria alla direttiva 76/207, a meno che tale conclusione non si fondi su fattori obiettivamente giustificati e estranei a qualsiasi discriminazione a motivo del sesso. Spetta al giudice nazionale verificare se sia questo il caso. Un conteggio pro quota dell’impiego  a tempo parziale, in occasione del suddetto calcolo, è altresì contrario a detta direttiva, a meno che il datore di lavoro non provi che esso è giustificato da fattori la cui obiettività dipende segnatamente dallo scopo perseguito attraverso la presa in considerazione dell’anzianità e, nel caso si tratti di remunerare l’esperienza acquisita, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa maturare dopo un determinato numero di ore effettuate.”

Il ricorso deve essere pertanto accolto; le spese di lite come di seguito liquidate seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Visto l’art. 38 L. n. 198/2006,

  • Accerta e dichiara che il riproporzionamento nella determina 31.12.2010 a firma del Direttore Generale dell’agenzia del Territorio Direzione risorse umane nella parte in cui si stabilisce che nel caso di personale in part time il punteggio da attribuire sarà calcolato in proporzione alla percentuale di lavoro parziale lavorato ogni anno, costituisce discriminazione indiretta di genere;
  • Ordina all’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Friuli Venezia Giulia, la cessazione immediata di tale condotta discriminatoria ordinando di riconoscere alla ricorrente il punteggio per l’anzianità di servizio maturata che le sarebbe spettato senza l’abbattimento di punti percentuali parametrati al part time;
  • Condanna la parte resistente al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente, liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre IVA e CAP e spese generali.

Si comunichi.

Così deciso in Udine il 9 luglio 2014

 

Il GIUDICE DEL LAVORO

Dott.ssa Marina Vitulli