Discriminazione indiretta lavoratori a tempo parziale, Tribunale di Roma, ordinanza del 3 ottobre 2011.
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
Sezione III Lavoro
Il giudice del lavoro, nel procedimento n. 25221 del Ruolo affari contenziosi civili dell’anno 2011, vertente
TRA
P O e R F (avv. V. Di Trani, A. Latino e F. Codognotto)
ricorrenti
e
Agenzia delle Dogane, in persona del legale rappresentante pro tempore
(Dott.sse E. Visciani e A. Manicastri)
resistente
NONCHE’
C C, M Ro e altri
chiamati in causa
sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 20.9.2011, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 198/2006:
con ricorso d’urgenza depositato in corso di causa il 7.7.2011, P O e R F hanno esposto:
- di essere dipendenti a tempo indeterminato dell’Agenzia delle Dogane e di avere, in passato, prestato servizio a part time;
- che il 27.5.2010 è stato pubblicato un Bando di concorso dell’Agenzia per la progressione economica dalla posizione F4 alla posizione F5 all’interno della seconda area (prot. 14846/RI);
- che l’art. 3 di tale Bando prevedeva quale titolo valutabile, oltre ai titoli di studio, “l’esperienza professionale in proporzione della percentuale di tempo lavorato ogni anno”;
- che pertanto le ricorrenti non si sono classificate utilmente in graduatoria, mentre, se il servizio prestato durante il periodo part time fosse stato considerato, quale titolo, come il servizio a tempo pieno, esse sarebbero risultate vincitrici;
- che è dato notorio e comunque riscontrato statisticamente che il part time è in massima parte utilizzato dalle donne, di tal che la clausola citata dell’art. 3 del Bando costituisce discriminazione di genere indiretta a danno delle ricorrenti;
- che infatti, ed a conferma di ciò, altre cause di interruzione della prestazione lavorativa in costanza di rapporto (malattia, aspettativa, congedi, permessi) sono stati invece valutati quale effettivo servizio svolto dall’amministrazione, che ha dato rilievo alla circostanza che in tali casi il dipendente è stato retribuito.
Ha chiesto, pertanto, in via di urgenza, di accertare il carattere discriminatorio della clausola e, per l’effetto, di ordinare all’Agenzia delle entrate la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti, nella specie di considerare e valutare quale titolo di “esperienza professionale” l’anzianità di servizio svolto dalle ricorrenti, ancorché in parte maturata con prestazione a tempo parziale, con vittoria di spese.
L’Agenzia delle Dogane si è costituita con memoria contestando il fondamento del ricorso e, in particolare, esponendo che nella procedura selettiva in parola si tiene conto dell’effettivo servizio reso dal dipendente, dal momento che solo il servizio effettivamente espletato può implicare l’acquisizione di esperienza professionale e quindi di un maggior grado di abilità professionale, anche tenuto conto delle ampie, complesse e delicate mansioni proprie del personale della seconda area dell’Agenzia: con esclusione, pertanto, oltre che dei periodi non lavorati dai dipendenti a part time, dei periodi di aspettativa e di malattia non retribuiti.
Non vi sarebbe, dunque, alcuna discriminazione di genere nella disposizione che impone che, per il personale a tempo parziale, la valutazione della relativa esperienza professionale debba essere riproporzionata in rapporto alla percentuale di tempo lavorato, ossia in base agli stessi criteri alla luce dei quali tale personale viene retribuito.
All’udienza del 3 agosto 2011 il giudice ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei riguardi dei contro interessati al ricorso medesimo, da attuarsi mediante notifica per pubblici proclami ai sensi dell’art. 150 c.p.c..
All’udienza del 20 settembre 2011, rilevata la regolarità della notifica, i procuratori hanno discusso la controversia e il giudice si è riservato di decidere.
Il ricorso va accolto.
Recita il primo comma dell’art. 38 del decreto legislativo n. 198/2006 che “qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo o di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o comunque discriminazioni nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, o della consigliera o del consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove e’ avvenuto il comportamento denunziato, o il tribunale amministrativo regionale competente, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all’autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”.
Nel caso di specie appare evidente che la clausola censurata dell’art. 3 del Bando prot. 14846/RI del 27.5.2010 abbia quale effetto una discriminazione indiretta a danno del genere femminile.
La clausola in contestazione recita, infatti: “A) Esperienza professionale: fa riferimento al servizio effettivamente svolto dal dipendente; ciò che rileva nell’ambito delle presenti procedure selettive è, quindi, l’inquadramento economico del dipendente – e non quello meramente giuridico, ove eccezionalmente non coincidente con quello economico – in quanto solo quest’ultimo è connesso alle funzioni effettivamente svolte e implica l’acquisizione di un’effettiva esperienza professionale…E’ valutabile il servizio a tempo parziale in proporzione alla percentuale di tempo lavorato ogni anno”.
Orbene, l’identificazione tra periodo di servizio effettivamente prestato e periodo di servizio retribuito non appare un mezzo ragionevole ed appropriato in relazione agli obiettivi legittimamente perseguiti dall’Agenzia di “evitare di considerare la mera anzianità di servizio ed altri riconoscimenti puramente formali nell’ottica di realizzare le capacità reali dei dipendenti e le loro effettive conoscenze” (art. 5 del CCNL di comparto del 10.4.2008, all. 7 del fascicolo di parte resistente).
Se infatti, come sembra voler sostenere l’Agenzia, fosse questa una ipotesi in cui l’entità effettiva della prestazione resa fosse un indice imprescindibile dell’esperienza professionale effettivamente maturata, la clausola impugnata avrebbe dovuto non soltanto valutare pro quota i periodi lavorati in part time, ed escludere (come l’Agenzia sostiene di avere fatto, in ottemperanza al principio posto dalla clausola) gli altri periodi non retribuiti, ma altresì escludere tout court dalla valutazione i periodi in cui, ancorché la prestazione lavorativa non venga resa, il lavoratore viene retribuito: astensione obbligatoria, aspettativa e permessi retribuiti, malattia retribuita.
L’inclusione, invece, di tali ultimi periodi nella nozione di “esperienza professionale”, che discende dal riferimento alla avvenuta retribuzione di questi, si pone invece quale chiaro indice di irragionevolezza del criterio adottato.
Oltre che irragionevole, il criterio è altresì discriminatorio, alla luce della definizione di “discriminazione indiretta” fornita dall’art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 198/2006: “Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”; nonché dell’art. 29, che vieta le discriminazioni per genere per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche e la progressione nella carriera.
La discriminazione indiretta si ritrae dalla circostanza notoria, e confermata anche in esito alle più recenti rilevazioni statistiche (cfr. gli allegati da A a D del fascicolo delle ricorrenti; nonché il dato, pacifico tra le parti, che oltre l’80% dei lavoratori in part time sia di sesso femminile), che è il genere femminile a ricorrere in misura preponderante allo strumento del lavoro a tempo parziale, poiché questo intende in tal modo contemperare l’impegno lavorativo con i propri oneri familiari, notoriamente più gravosi.
Nel caso di specie è pacifico che proprio la considerazione pro quota dell’esperienza professionale ha impedito alle ricorrenti di collocarsi utilmente in graduatoria.
Che si versi in una ipotesi di “requisito essenziale allo svolgimento dell’attività lavorativa”, è poi da escludere anche alla luce della circostanza che, nel caso di specie, l’esperienza professionale nel suo complesso (comprensiva quindi non solo della anzianità di servizio nella fascia retributiva F4 ma, come nel caso delle ricorrenti, di quella maturata nelle fasce retributive inferiori e, nel caso della Orecchia, del punteggio aggiuntivo attribuito per particolari incarichi) vale per la metà rispetto alla complessiva valutazione dei titoli; se si fosse trattato di un requisito essenziale, poi, l’Agenzia avrebbe dovuto stabilire una anzianità di servizio minima ai fini della considerazione dell’esperienza acquisita come sufficiente in relazione alle sole ore di lavoro effettuate, mentre, come si è detto, i titoli di studio concorrono a formare il punteggio finale in egual misura rispetto ai titoli professionali, potendo quindi risultare in concreto determinanti nell’accordare la preferenza ad un candidato rispetto ad un altro pure (sebbene di poco) più anziano.
Le conclusioni qui raggiunte si pongono in diretta continuità con le sentenze della Corte di giustizia europea in causa C-184/89 (Nimz) ed in causa C-196/2002 (Nikoloudi), rese in fattispecie del tutto analoghe. Ivi la Corte ha statuito che “spetta al giudice nazionale…stabilire, alla luce di tutte le circostanze, se ed in quale misura una disposizione…come quella controversa sia giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso”; “un conteggio pro quota dell’impiego a tempo parziale…è altresì contrario a detta direttiva, a meno che il datore di lavoro non provi che esso è giustificato da fattori la cui obbiettività dipende segnatamente dallo scopo perseguito attraverso la presa in considerazione dell’anzianità e, nel caso si tratti di remunerare l’esperienza acquisita, dal rapporto tra la natura delle mansioni svolte e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa maturare dopo un determinato numero di ore effettuate”.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
– dichiara che la clausola di cui all’art. 3 del Bando dell’Agenzia delle Dogane prot. N. 14846/RI del 25.5.2010 è discriminatoria nella parte in cui, quanto all’esperienza professionale, specifica che “è valutabile il servizio a tempo parziale in proporzione alla percentuale di tempo lavorato ogni anno”;
– per l’effetto, ordina all’Agenzia delle Dogane di valutare nuovamente la posizione delle ricorrenti nel senso esposto in motivazione;
– condanna l’Agenzia delle dogane a rifondere alle ricorrenti le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 600,00 per diritti e 400,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Roma, 3 ottobre 2011.
il giudice
Maria Giulia Cosentino