Il rispetto delle quote percentuale delle donne come limite inderogabile alla scelta dei lavoratori da licenziare nei licenziamenti collettivi. Nota all’Ordinanza del Tribunale di Taranto, 5 dicembre 2013. Jennifer Michelotti
La decisione del Tribunale di Taranto che si commenta presenta diversi profili di interesse: essa infatti interpreta come rigido ed inderogabile il limite di cui al comma 2 dell’art. 5 L. 223/1991, che impone il rispetto di un limite percentuale al licenziamento di manodopera femminile impiegata nelle mansioni prese in considerazione per la riduzione del personale. Inoltre, il giudice di Taranto afferma il carattere discriminatorio del licenziamento collettivo comminato in violazione del limite percentuale imposto.
Nel caso di specie, la ricorrente aveva chiesto l’accertamento e la conseguente dichiarazione di nullità/inefficacia/illegittimità del licenziamento collettivo intimatole, deducendo la violazione delle procedure previste dalla L. 223/91 e, in particolare, la violazione dell’art. 5 comma 2, perché era stata licenziata una percentuale di manodopera femminile superiore a quella occupata, con riguardo alle mansioni prese in considerazione ai fini del licenziamento.
La società riteneva invece che il criterio di cui al comma 2 dell’art. 5 fosse solo uno dei diversi criteri di scelta utilizzabili dal datore di lavoro nella procedura di licenziamento collettivo. Riteneva inoltre che la norma non avesse alcuna portata imperativa e fosse sprovvista di sanzione in caso di violazione.
Secondo la convenuta una diversa interpretazione della normativa avrebbe comportato una violazione degli artt. 3 e 37 Cost., atteso che si sarebbe realizzata una discriminazione per ragioni di genere a svantaggio degli uomini (rispetto ai quali non si sarebbe dato alcun limite percentuale in dipendenza del genere), ed una violazione anche del diritto comunitario, in particolare della direttiva 2000/43/CE.
Il giudice accoglieva il ricorso, ritenendo fondata la domanda della ricorrente.
Il Tribunale di Taranto motivava la propria decisione, asserendo il carattere imperativo del limite imposto dal comma 2 dell’art. 5 della L. 223/1991, a norma del quale “nell’operare la scelta dei lavoratori da licenziare l’impresa è tenuta al rispetto dell’articolo 9 ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, della legge 25 marzo 1983, n. 79. L’impresa non può altresì licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione.”
La disposizione citata pertanto individua due limiti alla facoltà di scelta del datore di lavoro, che consistono nel rispetto di determinate percentuali per quanto concerne il licenziamento di disabili e donne. L’applicazione degli altri criteri di scelta, individuati dalla contrattazione collettiva o dalla legge, è subordinata al rispetto delle quote a protezione dei disabili e delle donne.
Il giudice non manca di rilevare che dalla normativa emerge con chiarezza la natura imperativa e inderogabile del limite di cui al comma 2 dell’art 5, tanto che lo stesso “deve configurarsi più come un limite invalicabile per l’imprenditore che come un mero criterio di scelta, tanto da essere volutamente collocato in diverso comma”.
Accertata la natura inderogabile della norma, il giudice di Taranto ne afferma la costituzionalità, non ritenendo posta in essere alcuna violazione degli artt. 3 e 37 Cost.
Infatti la norma non sanziona il licenziamento di un numero maggiore di donne rispetto agli uomini (a prescindere dalla percentuale di donne impiegate nell’azienda), bensì il mancato rispetto di una proporzione già esistente tra uomini e donne, proporzione che ha il fine di evitare che siano licenziate solo o prevalentemente donne nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo.
Così come interpretata la norma sui licenziamenti collettivi conferma l’assoluto principio di parità tra uomini e donne.
Concludendo l’art 5 comma 2 pone un limite alla facoltà di scelta dei lavoratori da licenziare da parte dell’imprenditore, ma tale limite è conforme alla costituzione e al diritto comunitario.
La decisione del tribunale di Taranto si segnala anche per l’analisi della natura discriminatoria del licenziamento in violazione delle quote percentuali riguardanti donne e disabili.
Secondo la convenuta, la violazione di cui al comma due poteva costituire solo un indice della sussistenza di una discriminazione, superabile con prova contraria della corretta applicazione dei criteri di scelta di cui al comma 1 dell’art 5.
Al contrario, il Tribunale di Taranto qualifica il licenziamento intimato in violazione della quota ex se come discriminatorio e la presunzione di legge come assoluta, non superabile quindi con prova contraria, “come può accadere nel caso del licenziamento della lavoratrice madre entro il primo anno di vita del bambino o della lavoratrice entro l’anno dal matrimonio.”
Secondo la pronuncia che si commenta infatti, avendo il legislatore previsto un divieto espresso di licenziare una percentuale di donne superiore a quella impiegata, la violazione del divieto costituisce di per sé la condotta discriminatoria oggetto della proibizione di legge, non dandosi già astrattamente quindi la possibilità di una prova contraria.
Affermata l’inderogabilità del limite di cui al secondo comma dell’art 5, la conformità dello stesso agli artt. 3 e 37 Cost. e al diritto comunitario, nonché la natura discriminatoria del licenziamento intimato in violazione del divieto, il giudice individua necessariamente nella nullità la sanzione che l’ordinamento appresta ad un simile licenziamento.
In conclusione, il licenziamento in violazione dell’art.5 comma 2 l.223/91 è radicalmente nullo in quanto discriminatorio, costituendo una fattispecie, tipizzata in questo caso dalla legge, di licenziamento discriminatorio alla quale dovrà pertanto applicarsi quanto previsto dal nostro ordinamento per i licenziamenti discriminatori individuali.
Jennifer Michelotti