Discriminazione razziale, Tribunale di Milano, ordinanza 12 agosto 2011

Tribunale Ordinario di Milano

Sezione lavoro

Il Giudice Dr. R.Atanasio

letti gli atti e i documenti della causa iscritta al n. 11461/11 RGL pendente

tra

—- – APN AVVOCATI PER NIENTE ONLUS – ASGI

e

COMUNE DI MILANO

sciogliendo la riserva ;

rileva:

IN FATTO

I ricorrenti —- – APN AVVOCATI PER NIENTE ONLUS – ASGI hanno adito il Tribunale di Milano ex artt. 4 DLgs 216/03 e 44 DLgs 286/98 chiedendo al Giudice:

di dichiarare il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dal COMUNE DI MILANO e consistito nell’avere previsto tra i requisiti – per la partecipazione alla selezione pubblica per soli titoli finalizzata alla formazione di una graduatoria di rilevatori di cui all’Avviso del 20.6.11 – quello della cittadinanza italiana;

di condannare conseguentemente il COMUNE DI MILANO a cessare il comportamento discriminatorio ed a rimuoverne gli effetti pregiudizievoli ed in particolare a : modificare l’Avviso in oggetto consentendo la presentazione delle domande anche alla ricorrente ed ai cittadini extracomunitari (o in subordine ai cittadini extracomunitari indicati meglio in ricorso); fissare nuovo termine per la presentazione delle domande di ammissione non inferiore ad un mese ; pubblicare il nuovo Avviso sul sito del Comune nonchè disporne l’affissione del medesimo in tutti i locali del COMUNE DI MILANO aperti al pubblico ; con vittoria di spese.

Il COMUNE DI MILANO si è costituito, contestando le deduzioni e domande avversarie; ed ha concluso per il loro rigetto.

Interrogato liberamente il procuratore speciale del Comune il Giudice ha invitato i procuratori alla discussione orale; quindi si è riservato di decidere.

IN DIRITTO

A) I fatti sono pacifici

In esecuzione della delibera di Giunta n. 1491 PG 293764/2011 il Responsabile Ufficio censimento e il Direttore generale area cittadina hanno pubblicato un Avviso di Selezione pubblica per soli titoli finalizzata alla formazione di una graduatoria di rilevatori (con incarico qualificato come prestazione occasionale) da utilizzare per le operazioni di censimento nazionale disposto con DL 78/2010.

Tra i requisiti previsti vi è quello della Cittadinanza italiana o di uno degli Stati Membri dell’Unione Europea

La ricorrente — è cittadina peruviana residente a Milano da molti anni ed è madre di una cittadina italiana; e non ha potuto presentare domanda in quanto carente del requisito della cittadinanza

B)1) Il COMUNE DI MILANO giustifica tale requisito con la previsione contenuta all’art. 70 comma 13 del DLgs 165/2001 il quale dispone che “in materia di reclutamento le PPAA applicano la disciplina prevista dal DPR 9.5.94 n. 487 e successive integrazioni…“; e questo DPR all’art. 2 dispone che “possono accedere agli impieghi civili delle PPAA i soggetti che posseggono i seguenti requisiti generali : 1) cittadinanza italiana. Tale requisito non è richiesto per i soggetti appartenenti alla Unione Europea fatte salve le eccezioni di cui al Decreto Presidenza Consiglio dei Ministri (DPCM) 7.2.94…“.

2) Ebbene tale giustificazione addotta dal COMUNE DI MILANO è del tutto infondata, con riferimento al caso di specie: difatti nell’Avviso di selezione è espressamente previsto che “l’incarico si configura come una prestazione occasionale“; e certamente non si applica a fattispecie di collaborazione occasionale la norma di cui all’art. 2 DPR487/94 la quale espressamente si riferisce all’accesso “agli impieghi civili delle PPAA” come tale intendendo in maniera inequivocabile l’accesso a rapporti di lavoro subordinato.

3) Ed a medesime conclusioni occorre pervenire con riferimento alla interpretazione dell’art. 51 Costituzione – richiamato dal Comune convenuto – il quale dispone che “tutti i cittadini possono accedere ai pubblici uffici ” in quanto anche in questo caso l’accesso ai pubblici uffici va inteso come instaurazione di un rapporto di lavoro di natura subordinata.

4) Per le medesime ragioni non può nemmeno trovare applicazione al caso di specie la norma di cui all’art. 37 della L. 165/01 la quale dispone che “I cittadini degli Stati membri della Comunità Economica Europea possono accedere ai posti di lavoro presso le PPAA che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale (sulla considerazione che – se tale accesso è inibito anche ai lavoratori CEE, che pure non subiscono le limitazioni di cui alle norme prima esaminate – a maggior ragione la norma deve valere per i cittadini extracomunitari e la stessa ricorrente la quale sarebbe destinata ad esercitare un’attività rientrante in un pubblico potere); ed invece anche in questo caso la norma non può trovare applicazione proprio perché si parla di accesso ai posti di lavoro con ciò intendendosi instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.

5) Ed ancora per queste ragioni non si può invocare utilmente – come pure fa il Comune convenuto – la sentenza della Cassazione del 13.11.06 n. 24170 la quale aveva ad oggetto la richiesta di iscrizione di una cittadina albanese nelle liste riservate ai disabili al fine di ottenere l’accesso al lavoro (con instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato) presso una PA sulla base della normativa sull’avviamento obbligatorio.

6) Ed invece si deve considerare che l’art. 2 TU immigrazione (DLgs 286/98) espressamente dispone che “lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano ” tra i quali senza dubbio rientra quello di stipulare contratti con una pubblica amministrazione.

C) Già le considerazioni fin qui svolte appaiono sufficienti per respingere le argomentazioni svolte dal Comune di Milano e a ritenere sussistente il fumus della richiesta cautela.

Ma la domanda è fondata anche sotto un più sostanziale e generale profilo.

Si deve infatti considerare che la normativa vigente non impedisce affatto al lavoratore extracomunitario di accedere a posti di lavoro della PA.

1) Non lo impedisce innanzi tutto l’invocata norma di cui all’art. 51 Cost. in quanto il disposto “tutti i cittadini possono accedere ai pubblici uffici ” va letto in positivo quale affermazione del diritto costituzionale riconosciuto ai cittadini di accedere ai pubblici uffici ma non quale limitazione rivolta ai cittadini di Paesi diversi di poterlo fare.

2) E’ certo vero che l’accesso da parte dei cittadini extracomunitari sembra impedito dalla previsione contenuta nell’art. 2 DPR 9.5.94 n. 487 come richiamato dall’art. 70 comma 13 del DLgs 165/01.

a) Ma tale normativa si pone in palese contrasto innanzi tutto con le previsioni della Convenzione OIL n. 143/75 (ratificata in Italia con L. 158/81) la quale all’art. 10 dispone che “Ogni membro .. si impegna a formulare ed attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire ….. la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali nonchè di libertà individuali e collettive per le persone che in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi si trovino legalmente sul suo territorio”; il successivo art. 12 dispone poi che “Ogni Stato membro deve …… abrogare qualsiasi disposizione legislativa e modificare qualsiasi disposizione o prassi amministrativa incompatibili con la predetta politica”; infine ha limitato l’affermazione di tali diritti con la norma di cui all’art. 14 secondo la quale “Ogni membro può…….. respingere l’accesso a limitate categorie di occupazioni e di funzioni qualora tale restrizione sia necessaria nell’interesse dello Stato“.

Con la successiva già richiamata L. 286/98 all’art. 2 comma 3 il legislatore nazionale ha previsto che “la Repubblica Italiana in attuazione della convenzione OIL n. 143/75 ratificata con legge 10.4.81 n. 158 garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani“.

b) Ebbene, com’è noto con le sentenze 348 e 349 del 24.10.07 la Corte Costituzionale ha riscritto i rapporti tra le norme CEDU e la l’Ordinamento Italiano.

La Corte Costituzionale ha, in via preliminare, richiamato i propri precedenti orientamenti per i quali occorre tenere distinte le norme comunitarie alle quali è riconosciuta “piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari” dalle norme pattizie quali quelle della CEDU appunto per le quali gli Stati nazionali non hanno previsto alcuna limitazione della propria sovranità nazionale in quanto, pur vincolando lo Stato, non producono effetti diretti nell’ordinamento interno.

Secondo il Giudice delle leggi l’art. 117, primo comma, Cost. come novellato nel 2001, ha confermato quell’orientamento distinguendo i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario da quelli riconducibili agli obblighi internazionali; le norme prodotte dal primo entrano a fare parte del nostro ordinamento direttamente ed immediatamente senza la necessità di leggi di ratifica, diversamente da quanto accade con un trattato internazionale multilaterale quale appunto la CEDU che determina solo “obblighi” per gli Stati contraenti.

La Corte Costituzionale ritiene che, con la nuova formulazione, l’art. 117, primo comma, Cost. “condiziona l’esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali“, tra i quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla CEDU in quanto quelle norme tutelano i diritti fondamentali delle persone ed integrano l’attuazione di valori e principi fondamentali protetti dalla stessa Costituzione italiana.

Ed ha riconosciuto una maggiore forza di resistenza alle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive in quanto l’obbligo dello Stato nazionale di rispettare gli obblighi internazionali incide anche sul contenuto delle leggi statali, vincolando la potestà legislativa dello Stato; ed ha qualificato le norme pattizie tra le quali quelle CEDU come “fonti interposte” in quanto il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost. si concretizza anche attraverso la individuazione degli obblighi internazionali che vincolano la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni.

Ha poi riconosciuto a tali norme pattizie il valore – nel sistema delle fonti – di norme di “livello sub-costituzionale” che, come tali, devono essere esse stesse conformi alla Carta Costituzionale.

Una volta effettuata tale verifica, qualora poi il giudice accerti la non conformità della norma statuale con la norma CEDU ha la possibilità di sottoporla al vaglio della Corte Costituzionale o comunque di interpretarla alla luce del dettato della norma pattizia di riferimento così operando una interpretazione costituzionalmente orientata.

c) Il giudicante ritiene che quanto rilevato dalla Corte Costituzionale per le norme della CEDU possa essere trasposto con riferimento alle norme prima esaminate della Convenzione OIL, alle quali non può non riconoscersi il medesimo valore di norme pattizie che giusta la previsione di cui all’art. 117 Cost devono essere qualificate come norme interposte.

Circa la conformità ai principi affermati dalla Carta Costituzionale delle norme esaminate ed in particolare di quella contenuta all’art. 10 la quale afferma l’obbligo degli Stati membri di “promuovere e garantire ….. la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione” tra lavoratori nazionali e lavoratori migranti non si può dubitare giusta la previsione di cui all’art. 3 ed all’art. 4 Costituzione.

Effettuata tale valutazione di carattere preliminare la norma che, secondo il Comune di Milano, giustificherebbe la limitazione dei lavoratori stranieri nell’accesso al lavoro pubblico (vale a dire l’art. 2 DPR 9.5.94 n. 487 come richiamato dall’art. 70 comma 13 del DLgs 165/01 ) deve essere vagliata alla luce del disposto della normativa OIL.

Questa (artt. 10,12,14 prima esaminati) impone una piena parità di trattamento in materia di occupazione tra cittadini nazionali e cittadini anche extracomunitari fatto solo salvo il limite dell’ “interesse nazionale”.

Poichè, come si è prima rilevato, la norma pattizia diviene parametro di valutazione della legittimità costituzionale anche di una norma nazionale, una interpretazione costituzionalmente orientata dell’ art. 2 DPR 9.5.94 n. 487 come richiamato dall’art. 70 comma 13 del DLgs 165/01 non può che essere quella affermata dalle norme pattizie : e cioè che fatto salvo il limite dell’interesse nazionale anche l’extracomunitario può trovare accesso all’impiego pubblico.

E dovendo dare un contenuto alla nozione di interesse nazionale si può ritenere che esso vada individuato nell’esercizio di potestà o funzioni pubbliche; sicchè deve ritenersi senz’altro inibito agli extracomunitari solo l’accesso a posti che implichino in maniera diretta o indiretta la partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri o alle mansioni che abbiano ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche nelle quali certamente non rientra l’esercizio dell’attività di rilevazione che verrà espletate dai rilevatori per l’attività di censimento.

d) Infine si deve considerare che la Corte Costituzionale con l’ ordinanza n. 139 del 15.4.2011 pur dichiarando la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ha sostanzialmente avallato una interpretazione costituzionalmente orientata di quella norma, nel senso cioè che essa non impedisca affatto l’accesso a incarichi pubblici anche ai cittadini extracomunitari.

E) Va pertanto dichiarato il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dal COMUNE DI MILANO e consistito nell’avere previsto tra i requisiti per la partecipazione alla selezione pubblica per soli titoli finalizzata alla formazione di una graduatoria di rilevatori di cui all’Avviso del 20.6.11 quello della cittadinanza italiana. Il COMUNE DI MILANO va pertanto condannato a cessare il comportamento discriminatorio; al fine di rimuovere gli effetti pregiudizievoli va poi condannato: a pubblicare nuovo Avviso, modificandone il contenuto, che consenta la presentazione delle domande anche ai cittadini extracomunitari fissando nuovo termine per la presentazione delle domande di ammissione non inferiore a quello previsto per il precedente bando vale a dire di 28 giorni; a pubblicare il nuovo Avviso sul sito del Comune nonchè ad affiggerlo in tutti i locali del COMUNE DI MILANO aperti al pubblico.

Infine il Comune di Milano va condannato a rimborsare ai ricorrenti le spese di lite che liquida in € 4.000,00 (25,00 per spese, 975,00 per diritti e 3.000,00 per onorari ).

PQM

DICHIARA

il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dal COMUNE DI MILANO, consistito nell’avere previsto tra i requisiti per la partecipazione alla selezione pubblica per soli titoli finalizzata alla formazione di una graduatoria di rilevatori di cui all’Avviso del 20.6.11 quello della cittadinanza italiana;

CONDANNA

Il COMUNE DI MILANO

a cessare il comportamento discriminatorio;

a pubblicare nuovo Avviso che consenta la presentazione delle domande anche ai cittadini extracomunitari e contenga nuovo termine per la presentazione delle domandedi ammissione non inferiore a 28 giorni;

a pubblicare il nuovo Avviso sul sito del COMUNE nonchè ad affiggerlo in tutti i locali del COMUNE DI MILANO aperti al pubblico;

a rimborsare ai ricorrenti le spese di lite che liquida in € 4.000,00.

Milano, 12.8.11

Il Giudice

Dr. R. Atanasio