Discriminazione dei lavoratori precari, Corte di Cassazione, sentenza del 4 novembre 2014.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

ha pronunciato la seguente

sentenza

sul ricorso 27764/2011 proposto da:

R.L. C.F. (OMISSIS), C.G. C.F. (OMISSIS), G.C. C.F. (OMISSIS), V.A. C.F. (OMISSIS), CA.MA. C.F. (OMISSIS), tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PAGLIARO EMANUELE, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

C R ITALIANA C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 489/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 18/05/2011 R.G.N. 571/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2014 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato PAGLIARO EMANUELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Con sentenza n. 67 del 2010 il tribunale di Savona ha dichiarato il diritto di V.A. e G.C. alla loro stabilizzazione nell’organico del personale della C R italiana come da avviso pubblico del 15 novembre 2007, ed ha condannato quest’ ultima ad assumere i ricorrenti a tempo indeterminato dal 31 maggio 2008, e a corrispondere loro il relativo trattamento retributivo da tale data, oltre interessi e spese.

Con sentenza n. 68 del 2010, di simile tenore, il medesimo tribunale ha riconosciuto il diritto all’assunzione di altri dipendenti precari della Croce rossa: C.G., R.L. e C. M., che hanno anche loro resistito.

  1. Contro entrambe tali sentenza ha proposto distinti tempestivi appelli la C R italiana, lamentando, oltre all’erroneità della ritenuta giurisdizione del giudice ordinario, anche la violazione in particolare della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, da parte del primo giudice, che non aveva considerato il contenuto della direttiva n. 7 del 2007 del Presidente del Consiglio dei Ministri. La stabilizzazione, prevista dalla disposizione citata, non poteva riguardare i dipendenti che avevano con la C R italiana un rapporto quali autisti soccorritori in convenzione.

Gli appellati hanno resistito.

La Corte d’appello di Genova ha riunito i giudizi e, con un’unica pronuncia, ha riformato entrambe le sentenze impugnate rigettando tutte le domande proposte in primo grado e dichiarando interamente compensate le spese di lite.

  1. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione i ricorrenti trascritti in epigrafe.

Resiste con controricorso la Croce rossa.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519. In particolare la ricorrente censura l’erroneità della decisione della Corte d’Appello di Genova Sez. lavoro, in merito all’asserita violazione delle disposizioni legislative in tema di stabilizzazione dei dipendenti precari, con conseguente lesione del proprio diritto soggettivo ad essere inclusa tra coloro i quali sono stati stabilizzati. Deducono in particolare che l’autorizzazione di cui alla disposizione citata, c’era stata, trasfusa nel D.P.R. 29 dicembre 2007, che aveva riguardato la stabilizzazione di solo 16 unità della C R italiana perchè solo per tali unità l’ente aveva chiesto l’autorizzazione. Ciò era sufficiente per ritenere che sussistessero tutti i presupposti anche per la stabilizzazione della ricorrente, ossia l’ente avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione anche per lei. Non si trattava infatti di una vera e propria procedura selettiva mancando nel bando i criteri di selezione e soprattutto i posti messi a concorso.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione della sentenza impugnata quanto alla ritenuta esclusione del suo diritto alla stabilizzazione.

  1. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi – è fondato.

Le questioni di diritto che pone il ricorso sono centrate essenzialmente sull’interpretazione del L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 519, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

Si tratta di una disposizione a carattere eccezionale diretta a promuovere la stabilizzazione di personale non di ruolo presso le pubbliche amministrazioni per l’anno 2007, in controtendenza rispetto al blocco delle assunzioni prevista, in una precedente legge finanziaria, dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 95 e 96, che prescriveva appunto che per gli anni 2005, 2006 e 2007 nel comparto pubblico (amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agenzie, incluse le agenzie fiscali, enti pubblici non economici, enti di ricerca e enti D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 70, comma 4) era fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Solo per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza ed urgenza – e comunque previa autorizzazione ad assumere L. n. 449 del 1997, ex art. 39, comma 2 ter, e nei limiti delle risorse allocate in un apposito fondo costituito a tal fine con stanziamenti crescenti per gli anni suddetti (2005, 2006 e 2007) ed uno stanziamento stabile a partire dal 2008 – era possibile derogare a tale divieto. Divieto che quindi si applicava anche alla C R Italiana in quanto ente pubblico esercente istituzionalmente attività sanitaria e socio-assistenziale senza scopo di lucro.

Tale blocco delle assunzioni a tempo indeterminato ha creato, nel comparto pubblico, un precariato che ha assunto dimensioni vistose soprattutto nel settore della sanità.

Il legislatore del 2006 ha inteso avviare un processo virtuoso di graduale riassorbimento di tale precariato con instaurazione di stabili rapporti di lavoro a tempo indeterminato, in ciò consisteva la stabilizzazione del personale precario.

E’ evidente che il condizionamento maggiore di questa operazione di graduale apertura alla costituzione di rapporti stabili a tempo indeterminato a domanda dei dipendenti precari interessati (id est: “assunzioni”, secondo il testuale riferimento del comma 519) era di tipo economico. Ed infatti l’art. 1 cit., comma 519, esordisce approntando la relativa copertura finanziaria a mezzo della previsione della destinazione specifica – quella per la stabilizzazione di personale non di ruolo presso le pubbliche amministrazioni per l’anno 2007 – di una quota pari al 20 per cento del fondo suddetto.

Il condizionamento economico del processo di stabilizzazione non poteva non accompagnarsi allo stesso regime autorizzatorio già previsto per la deroga al divieto del blocco delle assunzioni a tempo indeterminato. Le quali, con l’entrata in vigore della legge finanziaria 2007, diventavano sì possibili in favore del personale precario già in servizio presso le pubbliche amministrazioni ove fossero sussistiti determinati presupposti, ma avrebbero dovuto essere autorizzate secondo le modalità di cui alla L. n. 449 del 1997, cit. art. 39, comma 3 ter. Quindi le richieste di stabilizzazione – id est: di assunzione a tempo indeterminato – avrebbero dovuto esser sottoposte all’esame del Consiglio dei ministri, ai fini dell’adozione di delibere con cadenza semestrale, previa istruttoria da parte del Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (ora Ministero dell’economia).

I presupposti per la stabilizzazione dei precari – ossia per la loro “assunzione” a tempo indeterminato – sono stati puntualmente previsti dallo stesso art. 1 cit., comma 519. La domanda diretta ad ottenere la stabilizzazione poteva essere proposta dal personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che aveva conseguito tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 che era stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2007, purchè fosse stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge, in mancanza delle quali la stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse da quelle concorsuali era condizionato al previo espletamento di prove selettive.

Nelle more del procedimento di stabilizzazione, avviato con domanda dei dipendenti interessati, le amministrazioni erano facoltizzate a continuare ad avvalersi di tale personale.

Si tratta quindi di un procedimento amministrativo complesso, promosso ad iniziativa dei dipendenti precari interessati, in cui si innesta come condizione di legittimità un provvedimento autorizzatorio e che sfocia nell’assunzione di dipendenti già in servizio presso enti del comparto pubblico con rapporti a termine (e quindi precari).

  1. Mette conto ricordare che una prima preliminare questione che si è posta ha riguardato la giurisdizione.

Come è noto, la generale devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie di lavoro pubblico contrattualizzato ha una deroga nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4: restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Quella dell’art. 1 cit., comma 519 è certamente una procedura di assunzione, ma ci si è chiesto se potesse, o no, dirsi anche che fosse “concorsuale” in ragione della sua natura inevitabilmente selettiva per il duplice (ma concorrente) limite delle risorse economiche (il 20% del fondo di scopo suddetto) e dell’autorizzazione di cui alla L. n. 449 del 1997, cit. art. 39, comma 3 ter, talchè non tutte le domande di stabilizzazione erano destinate ad essere accolte con l’assunzione a tempo indeterminato per il solo fatto della ricorrenza dei presupposti dell’art. 1 cit., comma 519.

A questo primo quesito – che inizialmente ha anche visto alcuni giudici amministrativi affermare la propria giurisdizione e finanche sollevare questione di legittimità costituzionale (C. cost. n. 303 del 2010) – hanno dato risposta le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. n. 6077; 4 febbraio 2014, n. 2399) affermando che deve escludersi che operi la deroga del quarto comma dell’art. 63 cit. perchè “la regolamentazione legislativa, sottraendo le procedure di “stabilizzazione” all’ambito di quelle concorsuali di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, …colloca le controversie inerenti a tali procedure nell’area del “diritto all’assunzione di cui all’art. 63, comma l”,con conseguente appartenenza della giurisdizione al giudice ordinario”. La citata giurisprudenza delle Sezioni Unite non si è limitata a regolare la giurisdizione; ha anche configurato come di diritto soggettivo all’assunzione la posizione del dipendente che abbia i requisiti per partecipare alla procedura di stabilizzazione, pur rimarcando che “i processi di stabilizzazione … sono effettuati nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale dei fabbisogni” delle pubbliche amministrazioni.

  1. L’altra questione che si è posta e che ha riguardato soprattutto (ma non solo) la C RItaliana attiene ad una sorta di ipotizzato requisito implicito ed ulteriore per l’accesso alla procedura di stabilizzazione che discenderebbe dalla ratio della norma. L a stabilizzazione del personale precario dovrebbe comunque essere diretta a fronteggiare esigenze “stabili” delle pubbliche amministrazioni, ossia afferenti alle attività essenziali, tipiche ed ordinarie dell’ente. Potrebbe quindi dubitarsi che tale diritto a partecipare al procedimento di stabilizzazione abbia il personale invece assunto ed impiegato per esigenze straordinarie, o contingenti, o comunque non “stabili”.

D’altra parte però, a parità dei requisiti di cui all’art. 1 cit., comma 519, sarebbe altresì dubbia la conformità al principio di eguaglianza di un trattamento differenziato tra precari secondo che siano stati assunti ed impiegati per esigenze permanenti o temporanee dell’ente pubblico.

Questo elemento differenziale indubbiamente sussiste, ma vale solo a dimensionare nel complesso l’accesso al fondo di scopo suddetto e quindi anche il numero di dipendenti precari che ciascun ente può essere autorizzato ad assumere, ma, a ben vedere, non giustifica una distinzione interna tra dipendenti precari in ragione nè del presupposto che aveva legittimato la costituzione del rapporto a tempo determinato nè dell’attività che tale personale precario era chiamato a svolgere.

Il rispetto del principio di eguaglianza (ex art. 3 Cost., comma 1) e di non discriminazione in materia di lavoro (ex D.Lgs. n. 216 del 2003) impone una lettura rigorosa e testuale del comma 519 dell’art. 1 cit.: il diritto a partecipare al procedimento di stabilizzazione insorge se solo ricorrono i requisiti in tale disposizione previsti.

Non c’è anche un requisito implicito che rinvii nè alle ragioni dell’iniziale assunzione a tempo determinato, nè all’attività a cui è assegnato da ultimo chi aspiri alla stabilizzazione.

Quindi è infondata la tesi della C R Italiana, trasfusa nel bando di concorso di cui si discute (bando dell’ente del 15 novembre 2007, con avviso in Gazzetta Ufficiale, Concorsi ed esami, n. 95 del 30 novembre 2007), tesi secondo cui la stabilizzazione riguarderebbe innanzi tutto (e prioritariamente) il personale operante ed in servizio presso l’ente stesso e solo dopo (quindi nei limiti delle disponibilità residue) quei dipendenti non in servizio presso l’ente, quali quelli assunti a tempo determinato per l’attività di pronto soccorso a mezzo di autoambulanze, attività svolta per le Aziende sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale a seguito di convenzioni con esse; attività questa che potrebbe cessare ove la convenzione non fosse rinnovata e che quindi è intrinsecamente temporanea pur se genericamente rientrante tra i compiti per cui l’ente è stato istituito. Nè meno che mai potrebbe predicarsi addirittura l’esclusione di tale ultimo personale precario dalle procedure di stabilizzazione.

Questa distinzione tra personale precario in servizio presso la C Re personale precario della C Rdistaccato altrove e segnatamente quello in servizio presso le ASL è priva di fondamento legale ed è ingiustificata e, come tale, viola il principio di eguaglianza (art. 3 Cost., comma 1) e di non discriminazione nel rapporto di lavoro (D.Lgs. n. 216 del 2003).

Nè una tale distinzione che assegni una posizione di vantaggio al personale precario in servizio presso la stessa C R rispetto a quello in servizio presso le ASL può trovare fondamento nella Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella P.A., n. 7/2007, del 30 aprile 2007, che – dopo aver ricordato che i processi di stabilizzazione avrebbero potuto essere effettuati nei limiti della disponibilità finanziaria stabilita nella medesima legge citata – ha previsto che le amministrazioni, nell’ambito della propria autonomia regolamentare e nel rispetto delle relazioni sindacali, avrebbero dovuto definire in dettaglio le proprie procedure di stabilizzazione con l’indicazione dei requisiti e dei criteri necessari per poter presentare le relative domande di stabilizzazione. Tale direttiva infatti si è limitata a prescrivere che le amministrazioni pubbliche in generale, coinvolte nel processo di stabilizzazione del personale precario, avrebbero dovuto predisporre graduatorie distinte per categoria e profili sulla base dell’anzianità di servizio. Inoltre – ha stabilito ulteriormente la predetta direttiva – le amministrazioni pubbliche nell’ambito della loro autonomia organizzativa e regolamentare avrebbero potuto prevedere ulteriori titoli, anche riferiti all’esperienza professionale in possesso, al fine di predisporre le graduatorie per la stabilizzazione.

Quindi anzianità di servizio e pregresse esperienze professionali avrebbero potuto costituire titolo preferenziali; non già lo svolgimento dell’attività lavorativa direttamente presso l’ente stesso oppure alle dipendente dell’ente ma in posizione di distacco altrove.

  1. Un’ulteriore questione che pone la controversia in esame riguarda la situazione soggettiva di chi sia stato illegittimamente escluso dalla partecipazione al procedimento di stabilizzazione.

L’iniziale D.P.R. 29 dicembre 2007, di autorizzazione alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato, a norma della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, (in G.U. Serie Generale n. 44 del 21 febbraio 2008) – dopo aver premesso che dall’istruttoria prevista dalla L. n. 449 del 1997, art. 39, risultava che le richieste di assunzioni pervenute dalle amministrazioni interessate alle stabilizzazioni, nel corso dell’anno 2007, avrebbe comportato una spesa annua lorda a regime eccedente le risorse finanziarie previste dal fondo di cui alla L. n. 296 del 2006, citato art. 1, comma 519, e che, pertanto, non potevano essere interamente accolte – ha stabilito di ripartire le risorse di tale fondo autorizzando le amministrazioni che ne avevano fatto richiesta ad effettuare stabilizzazioni per un contingente complessivo di personale pari a n. 719 unità in tutto il comparto pubblico.

Nell’ambito del contingente autorizzato gli enti avrebbero potuto e dovuto stabilizzare il personale precario secondo le priorità individuate dalla citata Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione n. 7 del 30 aprile 2007, fermi restando i requisiti di cui alla citata L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519.

Tale numero complessivo di dipendenti precari la cui stabilizzazione era compatibile con le risorse stanziate per questo scopo è stato ripartito dal medesimo D.P.R. 29 dicembre 2007 tra tutte le amministrazioni pubbliche e per la C RItaliana – come risulta dalla tabella allegata – sono stati previsti sedici dipendenti, di cui era quantificato l’onere economico iniziale ed a regime. La C RItaliana era quindi autorizzata – in occasione della prima applicazione della speciale normativa in esame – a stabilizzare sedici dipendenti precari: una percentuale assai esigua rispetto alla platea complessiva dei dipendenti precari dell’ente.

Deve quindi escludersi che l’ente fosse tenuto a stabilizzare tutto il suo personale precario sol che ricorressero i requisiti di cui alla predetta L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519. La autorizzazione prescritta da tale disposizione implica comunque il condizionamento delle risorse finanziarie che inevitabilmente limita il numero dei dipendenti che l’ente è tenuto ad assumere per stabilizzarli; condizionamento riconosciuto anche dalla citata giurisprudenza delle Sezioni Unite.

Del resto il legislatore, anche successivamente all’introduzione del procedimento di stabilizzazione di cui alla predetta L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, si è fatto carico di queste eccedenze di personale precario della C R Italiana che comunque rimanevano in numero consistente.

La successiva legge finanziaria (L. 24 dicembre 2007, n. 244) all’art. 2, commi 366 e 367, ha previsto proprio per il personale della associazione italiana della C Rla conferma dei contratti a tempo determinato presso le amministrazioni pubbliche in convenzione (essenzialmente le ASL) e l’estensione delle norme sulla stabilizzazione di personale precario presso le amministrazioni pubbliche. Ha però aggiunto che per i soggetti in possesso dei prescritti requisiti che non potevano essere stabilizzati per mancanza di disponibilità di posti vacanti nell’organico della Croce rossa, nel rispetto della vigente normativa in materia di assunzioni, si procede ad un graduale assorbimento del personale presso gli enti del Servizio sanitario nazionale e presso le regioni.

Quindi al legislatore era ben chiaro che il procedimento di stabilizzazione di cui alla predetta L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, era nient’affatto risolutivo del problema del precariato presso la C Rche peraltro veniva ad intersecarsi con la radicale riforma dell’ente in ragione della sua prevista trasformazione in associazione di diritto provato.

Ed infatti anche in sede di complessiva riorganizzazione dell’ente, per effetto della sua “privatizzazione” (con trasformazione in Associazione italiana della Croce rossa) prevista dalla delega di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 2, comma 1, l’eccedenza di personale precario è specificamente regolamentata. Dispone infatti il D.Lgs. 28 settembre 2012, n. 178, art. 6, comma 9, che contratti di lavoro a tempo determinato relativi al personale della Croce rossa, stipulati per attività in regime convenzionale, permangono in vigore fino al 31 dicembre 2014. A decorrere dal 1 gennaio 2015 i predetti contratti, ove stipulati per convenzioni per le quali l’Associazione (di diritto privato) subentra alla C R(ente pubblico non economico) alla medesima data, proseguono con l’ente e sono prorogati fino alla scadenza delle convenzioni, se precedente al 31 dicembre 2016 ovvero, se successiva, fino all’eventuale assunzione da parte dell’Associazione.

In questo complesso contesto normativo – pur escludendo che vi fosse una sorta di automatismo per cui, ricorrendo i requisiti di cui alla predetta L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, tutti i rapporti a tempo interminato dessero luogo all’assunzione a tempo indeterminato – rimane tuttavia che illegittimamente la C Rha posto nel bando di concorso in questione la priorità – a parità dei requisiti di cui alla predetta L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, – del personale precario in servizio presso l’ente rispetto al personale, parimenti precario ma distaccato in servizio presso altri enti e segnatamente presso le ASL; priorità che di fatto a significato l’esclusione di tale ultimo personale precario dalle procedure di stabilizzazione a cui invece esso aveva diritto di partecipare a parità di condizioni con il personale precario impiegato presso l’ente stesso.

  1. La Croce rossa, difendendo la legittimità della clausola di bando, non ha allegato alcun elemento per ritenere che nel numero complessivo, ma limitato, di dipendenti precari per i quali la stabilizzazione era stata autorizzata non potesse comunque esserci gli attuali ricorrenti in epigrafe – come affermato dalla citata giurisprudenza delle Sezioni Unite – erano una posizione di diritto soggettivo (finalizzato all’assunzione), diritto che è risultato illegittimamente leso in ragione della discriminazione subita dai dipendenti.

Sicchè conclusivamente il ricorso va accolto con l’affermazione ex art. 384 c.p.c., del seguente principio di diritto:

“Nel regime precedente la riforma dell’ente C R italiana di cui al D.Lgs. 28 settembre 2012, n. 178, e la conseguente nuova disciplina del personale, i dipendenti dell’ente con contratto di lavoro a tempo determinato avevano diritto ad accedere, a domanda, alla procedura di stabilizzazione dei lavoratori precari di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 519, (legge finanziaria per il 2007) e quindi avevano diritto ad essere assunti a tempo indeterminato ricorrendo le condizioni contemplate da tale disposizione – che prevedeva che la domanda diretta ad ottenere la stabilizzazione poteva essere proposta dal personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che aveva conseguito tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che era stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2007, purchè fosse stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge (in mancanza delle quali la stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse da quelle concorsuali era condizionato al previo espletamento di prove selettive), e che altresì prescriveva che tali assunzioni fossero autorizzate secondo le modalità di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 39, comma 3 ter, – senza che alcuna priorità fosse possibile in favore del personale con contratto di lavoro temporaneo che avesse prestato servizio presso l’ente stesso rispetto al personale, parimenti con contratto di lavoro temporaneo, ma che avesse prestato servizio presso altri enti e segnatamente in posizione di distacco presso le Aziende Sanitarie Locali, essendo tale differenziazione, presente nel bando dell’ente del 15 novembre 2007 (avviso in Gazzetta Ufficiale, Concorsi ed esami, n. 95 del 30 novembre 2007), contraria al principio di eguaglianza (art. 3 Cost., comma 1) e di non discriminazione nel rapporto di lavoro (ex D.Lgs. n. 216 del 2003)”.

L’impugnata sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Torino.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2015