Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 20 aprile 2016, n. 7951, carattere discriminatorio di un bando di selezione che esclude gli stranieri residenti

Ritenuto in fatto

1. – Il 20 settembre 2011 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (n. 75, IV serie speciale) il bando per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all’estero presentati dagli enti inseriti nell’albo nazionale.
L’art. 3 del bando prevede tra i requisiti di ammissione la cittadinanza italiana. Esso recita: «Ad eccezione degli appartenenti ai corpi militari e alle forze di polizia, possono partecipare alla selezione i cittadini italiani, senza distinzione di sesso, che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo e non superato il ventottesimo anno di età, in possesso dei seguenti requisiti: – essere cittadini italiani (…)».
La clausola del bando riproduce la previsione contenuta nell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), il quale – nel testo anteriore all’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 119 del 2015 – ammetteva «a svolgere il servizio civile, a loro domanda, senza distinzioni di sesso i cittadini italiani che, alla data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e non superato il ventottesimo».
2. – Il signor S.S.T. è, al momento dell’introduzione del giudizio di merito, un cittadino pakistano di venticinque anni che da quindici anni vive in Italia: qui ha completato la scuola secondaria, di primo e di secondo grado, e frequenta l’università.
Egli ha presentato la domanda di ammissione al servizio civile presso la C. ambrosiana rimanendo in attesa di risposta ma venendo a sapere dai responsabili dell’ente che non avrebbe potuto essere inserito nella graduatoria ai fini della selezione in quanto privo della cittadinanza italiana.
3. – In data 21 ottobre 2011 il signor S.S.T., l’ASGI – Associazione studi giuridici sull’immigrazione e l’APN – Avvocati per niente onlus hanno presentato dinanzi al Tribunale di Milano, sezione lavoro, un ricorso ai sensi dell’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero), denunciando la natura discriminatoria della clausola n. 3 del predetto bando, nella parte in cui ammette alla selezione i soli cittadini italiani. Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri, resistendo.
Con ordinanza depositata il 12 gennaio 2012, la sezione lavoro del Tribunale di Milano ha dichiarato il carattere discriminatorio dell’art. 3 del bando, là dove richiede tra i requisiti e le condizioni di ammissione il possesso della cittadinanza italiana, e ha ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (a) di sospendere le procedure di selezione, (b) di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza italiana, consentendo l’accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia, e (c) di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande.
4. – L’Amministrazione ha proposto appello deducendo:
– il difetto di giurisdizione con riferimento all’ordine, impartito dal giudice ordinario, di sospendere la procedura e di emettere un nuovo bando di selezione con riapertura dei termini per la presentazione delle domande da parte degli stranieri;
– l’illegittimità della decisione nel merito, in quanto l’esclusione degli stranieri è imposta dall’art. 3 del d.lgs. n. 77 del 2002, il quale espressamente prevede tra i requisiti di ammissione al servizio civile la cittadinanza italiana, sicché il Tribunale avrebbe potuto, al più, rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale della norma stessa;
– la manifesta infondatezza, in ogni caso, del dubbio di legittimità costituzionale, essendo il servizio civile una forma di adempimento volontario del dovere di difesa della Patria (Corte cost., sentenza n. 228 del 2004), riservato ai soli cittadini. Il gravame è stato resistito dagli appellati.
5. – Dopo avere sospeso, ai sensi degli art. 431 e 283 cod. proc. civ., “l’ordine di sospensione delle procedure di selezione” e “ogni conseguente pronuncia ordinatoria derivante”, la sezione lavoro della Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata in cancelleria il 22 marzo 2013, ha respinto l’impugnazione della Presidenza del Consiglio dei ministri.
5.1. – La Corte di Milano in primo luogo osserva che, poiché rientra nella giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione del comportamento discriminatorio consistente nell’emanazione di un atto amministrativo, il giudice è abilitato a decidere la controversia valutando il provvedimento amministrativo denunciato, disattendendolo, tamquam non esset, e adottando i conseguenti provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti. Questa opzione interpretativa – hanno soggiunto i giudici del gravame – è stata confermata dall’art. 28 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), applicabile dal 6 ottobre 2011, il quale prevede che, con l’ordinanza che definisce il giudizio, il giudice può adottare, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della condotta o dell’atto discriminatorio pregiudizievole.
Nel merito, la Corte d’appello sostiene che il servizio civile nazionale ha assunto una propria fisionomia a seguito della sospensione dell’obbligatorietà del servizio di leva. Il servizio civile risponde infatti ad una idea di difesa della Patria che ricomprende attività aventi natura solidaristica, di cooperazione internazionale, di protezione del patrimonio storico, culturale, ambientale ed artistico, di promozione della cultura e della pace tra i popoli. Dalla lettura dell’art. 52 Cost. alla luce dell’art. 2 Cost. discende una interpretazione evolutiva della nozione di «difesa della Patria», suscettibile di essere estesa al campo dei doveri di solidarietà economica e sociale, e di tradursi in una sorta di “collaborazione civica” promossa e organizzata dallo Stato al fine di concorrere al progresso materiale e spirituale della società, ai sensi dell’art. 4, secondo comma, Cost.
La conclusione che ne trae la Corte territoriale è che non sussiste alcuna ragionevole correlazione “tra l’esclusione dei non cittadini stabilmente residenti nel territorio dello Stato e la finalità perseguita dal legislatore”. Secondo la Corte territoriale, l’irragionevolezza” ed il “carattere discriminatorio” della scelta di escludere gli stranieri residenti nel nostro Paese dalla possibilità di accedere su base volontaria al servizio civile emergono dalla considerazione che l’adempimento dei doveri di solidarietà cui fa riferimento l’art. 2 Cost. si riferisce a tutti i consociati: tutti coloro che in Italia hanno stabilito la propria permanente residenza sono “parti di una comunità di diritti e di doveri, più ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto”.
6. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la Presidenza del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso, con atto notificato il 26 settembre 2013, sulla base di tre motivi.
Il signor S.S.T., l’ASGI – Associazione studi giuridici sull’immigrazione e l’APN – Avvocati per niente onlus hanno resistito con controricorso.
7. – Con il primo motivo (rubricato “illegittimità della sentenza per motivi attinenti alla giurisdizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.”) si deduce che il giudice ordinario avrebbe dovuto pronunciarsi esclusivamente in ordine alle questioni di interesse del ricorrente nei confronti del quale soltanto si è realizzata l’effettiva discriminazione.
La sentenza della Corte d’appello, invece, confermando la sospensione delle procedure di selezione e l’ordine di modifica del bando e di riapertura dei termini, avrebbe di fatto esteso erga omnes gli effetti della pronuncia, incorrendo in uno straripamento del proprio ambito cognitorio, e non avrebbe considerato che la possibilità di conoscere e disattendere l’atto amministrativo asseritamente discriminatorio è riconosciuta entro i consueti limiti della disapplicazione incidentale.
Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. n. 77 del 2002, dell’art. 1 della legge n. 64 del 2001, nonché dell’art. 52 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) la Presidenza del Consiglio dei ministri contesta l’assunto, su cui poggia la pronuncia impugnata, che il servizio civile costituirebbe una realtà del tutto scollegata dalla difesa della Patria. Richiamata la sentenza n. 228 del 2004 della Corte costituzionale, la ricorrente ritiene che la stretta correlazione tra il servizio civile e quello militare, non venuta meno per il solo fatto che il servizio militare ha perso il carattere di obbligatorietà, confermerebbe l’asservimento di entrambi al comune obiettivo della difesa della Patria, obiettivo rispetto al quale il primo si pone come alternativo al secondo. Ad avviso dell’Amministrazione, il perseguimento di finalità solidaristiche non sarebbe rilevante per condurre il servizio civile fuori dall’ambito di legittimazione dell’art. 52 Cost. La Presidenza del Consiglio ritiene, inoltre, che la riserva di cittadinanza in relazione al servizio civile nazionale sia oggetto di una scelta politica non illegittima: la difesa della Patria presuppone, infatti, uno stretto rapporto di lealtà tra i cittadini e le istituzioni repubblicane, che, al di fuori di condizioni particolari, non può essere richiesta ad un cittadino straniero. La ricorrente chiede, pertanto, che sia affermato il principio secondo cui l’allargamento del servizio civile, ormai non più obbligatorio, a finalità solidaristiche, non ha determinato la “traslazione” del parametro costituzionale dell’istituto dall’alveo dell’art. 52 Cost. a quello dell’art. 2 Cost., sicché sarebbe giustificata l’esclusione dei non cittadini dal servizio civile, prevista dal bando di selezione per cui è causa, in conformità dell’art. 3 del d.lgs. n. 77 del 2002, norma questa in vigore ed efficace e non in contrasto con i parametri costituzionali.
Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonché della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) la ricorrente censura che la sentenza impugnata – a prescindere dal parametro costituzionale riferibile alla materia in esame, erroneamente identificato nell’art. 2 Cost. – abbia operato un travalicamento dei limiti propri della potestà giurisdizionale, avendo direttamente disapplicato una norma di legge, l’art. 3 del d.lgs. n. 77 del 2002, anziché rimettere la questione al vaglio della Corte costituzionale.
8. – La difesa dei controricorrenti ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, previa eventuale sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana al fine di accedere al servizio civile nazionale, per supposto contrasto con gli artt. 2, 3 e 76 Cost., quest’ultimo in relazione al criterio direttiva contenuto nell’art. 2, comma 3, lettera a), della legge delega per l’istituzione del servizio civile.
9. – In prossimità dell’udienza pubblica, fissata per il 16 settembre 2014, la difesa dei controricorrenti ha depositato una memoria illustrativa con la quale ha chiesto che in via principale sia dichiarata la sopravvenuta cessazione materia del contendere: (a) per avere il S. acquisito medio tempore la cittadinanza italiana e raggiunto, comunque, l’età massima per essere ammesso allo svolgimento del servizio civile nazionale; (b) per avere il bando da cui era originato il contenzioso esaurito i propri effetti secondo le regole invocate dalla Amministrazione ricorrente, essendo il dispositivo della sentenza della Corte d’appello intervenuto allorché tutti i giovani cittadini italiani selezionati avevano già concluso il servizio (che, in base all’art. 5, comma 4, della legge n. 64 del 2001, ha la durata di dodici mesi). La difesa dei controricorrenti ha depositato documenti comprovanti l’intervenuto mutamento dello stato di fatto.
All’udienza di discussione del 16 settembre 2014, l’Avvocatura erariale, concordando sull’intervenuto mutamento dello stato di fatto nei termini indicati dalla difesa dei controricorrenti, ha concluso, in via principale, per l’accoglimento del ricorso e, in via incidentale, per la rimessione della questione alla Corte costituzionale.
10. – Con ordinanza 1° ottobre 2014, n. 20661, queste Sezioni Unite hanno sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 76 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, nella parte in cui, prevedendo il requisito della cittadinanza italiana, esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilità di essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale.
11. – La Corte costituzionale, con sentenza 25 giugno 2015, n. 119, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, “nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana ai fini dell’ammissione allo svolgimento del servizio civile”, mentre ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità della stessa norma con riferimento all’art. 76 Cost.
12. – Il ricorso è stato nuovamente discusso dinanzi alle Sezioni Unite nell’udienza pubblica del 5 aprile 2016.
In prossimità di detta udienza la Presidenza del Consiglio dei ministri ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.

Considerato in diritto

1. – Il sopravvenuto acquisto, da parte della persona fisica ricorrente nel giudizio di merito, della cittadinanza italiana e l’integrale svolgimento degli effetti dell’impugnato bando del 20 settembre 2011 secondo le regole originarie (i giovani italiani selezionati hanno preso servizio nel febbraio 2012, ultimandolo nel febbraio 2013) hanno determinato la sopravvenuta perdita di ogni utilità concreta derivabile alle parti dall’accoglimento o dal rigetto del ricorso per cassazione. La vicenda concreta che la clausola del bando oggetto di contestazione era destinata a regolare appare – come risulta dai documenti prodotti dai controricorrenti – del tutto esaurita con la prestazione del servizio civile da parte dei giovani volontari selezionati; né vi è spazio per un accertamento dell’illegittimità del bando a fini risarcitori, non avendo i ricorrenti nel giudizio di merito avanzato domanda in tal senso.
In una situazione siffatta, ritiene il Collegio che siano venute meno le condizioni per pronunciare sul fondo del ricorso per cassazione, il quale va definito – secondo quanto già prospettato con l’ordinanza n. 20661 del 2014, di rimessione degli atti alla Corte costituzionale – con una pronuncia in rito di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. Sez. un., 18 maggio 2000, n. 368; Sez. un., 15 novembre 2002, n. 16160; Sez. un., 21 giugno 2007, n. 14385; Sez. un., 4 agosto 2010, n. 18047; Sez. I, 28 maggio 2012, n. 8448).
Deve essere disposta la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio di cassazione, attesa la novità e la complessità delle questioni giuridiche sollevate con il ricorso.

2. – E tuttavia – come indicato nell’ordinanza interlocutoria di queste Sezioni Unite n. 20661 del 2014, in sede di motivazione della rilevanza del dubbio di legittimità costituzionale – sussistono le condizioni per una pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., con l’enunciazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica assegnata a questa Corte dalla citata disposizione del codice di rito, del principio di diritto nell’interesse della legge sulla questione trattata nella causa di merito e che il ricorso divenuto inammissibile propone. Infatti, la questione del carattere discriminatorio o meno di un bando di selezione che esclude gli stranieri regolarmente residenti dalla possibilità di avanzare la domanda di partecipazione al servizio civile, è nuova nella giurisprudenza di questa Corte ed investe un settore nevralgico della vita sociale, nel quale sono coinvolti numerosi giovani, operatori ed enti e dove vengono in gioco i diritti fondamentali della persona umana e il suo modo di essere nell’ambito del rapporto con gli altri. Su tale questione inoltre si registrava – prima dell’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 119 del 2015 – un contrasto tra i giudici di merito.
3. – Con la sentenza n. 119 del 2015, la Corte costituzionale – accogliendo il dubbio di legittimità costituzionale sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dalle Sezioni Unite – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, “nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana ai fini dell’ammissione allo svolgimento del servizio civile”.
A tale esito la Corte costituzionale è giunta rilevando che:
– “l’ammissione al servizio civile consente oggi di realizzare i doveri inderogabili di solidarietà e di rendersi utili alla propria comunità, il che corrisponde, allo stesso tempo, ad un diritto di chi ad essa appartiene”;
– il concetto di «difesa della Patria», nell’ambito del quale è stato tradizionalmente collocato l’istituto del servizio civile, evidenzia “una significativa evoluzione, nel senso dell’apertura a molteplici valori costituzionali”; tale dovere “non si risolve soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, ma può comprendere anche attività di impegno sociale non armato. Accanto alla difesa militare, che è solo una delle forme di difesa della Patria, può dunque ben collocarsi un’altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale (sentenza n. 228 del 2004)”;
– attesa “la necessità di una lettura dell’art. 52 Cost. alla luce dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. (sentenza n. 309 del 2013)”, “l’esclusione dei cittadini stranieri, che risiedono regolarmente in Italia, dalle attività alle quali tali doveri si riconnettono appare di per sé irragionevole”;
– “l’estensione del servizio civile a finalità di solidarietà sociale, nonché l’inserimento in attività di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, concorrono a qualificarlo – oltre che come adempimento di un dovere di solidarietà – anche come un’opportunità di integrazione e di formazione alla cittadinanza”. Da una parte, infatti, “l’attività di impegno sociale che la persona è chiamata a svolgere nell’ambito del servizio civile «deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013)”; dall’altra, per espressa previsione normativa (art. 2, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, “il godimento «dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano », è riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato”;

– “l’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta (…) un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza”.
4. – In questo contesto, deve essere pronunciato il seguente principio di diritto nell’interesse della legge: «Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 119 del 2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in parte qua, dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, ove la P.A., nell’emanare un bando per la selezione di volontari da impiegare in progetti di servizio civile nazionale, inserisca, tra i requisiti e le condizioni di ammissione, il possesso della cittadinanza italiana, e non consenta per tal modo l’accesso ai cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia, essa pone in essere un comportamento discriminatorio, per ragioni di nazionalità, avverso il quale è esperibile dinanzi al giudice ordinario, da parte del soggetto leso, l’azione ex art. 44 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286».
Invero, l’esclusione del cittadino straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale realizza una discriminazione diretta per ragioni di nazionalità, perché – impedendogli di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale nell’ambito di un istituto rivolto a favorire la partecipazione e la condivisione dei valori costituzionali della Repubblica – preclude allo stesso non-cittadino, in violazione del principio di parità di trattamento, il pieno sviluppo della sua persona e l’integrazione nella comunità di accoglienza. Ai fini dell’accesso al servizio civile nazionale, non può richiedersi una particolare intensità del vincolo tra stranieri regolari e comunità di accoglienza, del tipo di quella derivante dal possesso di un determinato tipo di permesso di soggiorno o dalla durata della residenza in Italia. Infatti, la motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 119 del 2015, nel punto 4.1. del Considerato in diritto, si riferisce, espressamente, ai “cittadini stranieri, che risiedono regolarmente in Italia”: è questa la categoria di soggetti presa in considerazione quando è stata giudicata irragionevole l’esclusione dalle attività alle quali i doveri inderogabili di solidarietà sociale si riconnettono.
L’apertura dell’accesso al servizio civile è, dunque, per tutti i cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia. Non sono pertanto applicabili, in tema di servizio civile, limitazioni ulteriori, tratte in via analogica dalla disciplina che il legislatore ha introdotto per l’accesso ai posti di lavoro presso le pubbliche amministrazioni (in relazione al quale l’art. 38, comma 3-bis, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, aggiunto dall’art. 7 della legge 6 agosto 2013, n. 97, richiede, per i cittadini di Paesi terzi, la titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ovvero dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria).

P.Q.M.

(a) dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse;
(b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione;
(c) pronuncia nell’interesse della legge il principio di diritto di cui al punto 4. del Considerato in diritto.