Riconoscimento natura subordinata rapporto di lavoro, Violazione della normativa in materia della privacy Tribunale di Torino, Sentenza 11 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO
QUINTA SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Presidente dott. Marco Buzano
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4764/2017 promossa da:
P M
C G
R A A
M A
L R
G V
rappresentati e difesi dagli avv.ti BONETTO SERGIO e DRUETTA GIULIA, elettivamente domiciliati presso l’avv. DRUETTA GIULIA
PARTI RICORRENTI
contro
D S X. I. S.R.L. (02877740213), rappresentata e difesa dagli avv. TOSI PAOLO, LUNARDON FIORELLA e REALMONTE GIOVANNI, elettivamente domiciliata presso il difensore avv. TOSI PAOLO
PARTE CONVENUTA
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti hanno convenuto in giudizio la D S X. I. S.R.L (F) deducendo di avere prestato la propria attività lavorativa a favore della convenuta con mansioni di fattorino in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a tempo determinato prorogati fino al 30.11.2016 e chiedendo l’accertamento della costituzione tra le parti di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con condanna della convenuta:
– alla corresponsione delle somme a loro dovute a titolo di differenze retributive dirette e indirette e competenze di fine rapporto in forza dell’inquadramento nel V livello del CCNL logistica o nel VI livello del CCNL terziario;
– al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento (30.11.2016) a quella dell’effettivo ripristino, previo accertamento della nullità, inefficacia o illegittimità del licenziamento;
– al risarcimento del danno subito per la violazione da parte del datore di lavoro della normativa in materia di privacy, sia per quanto concerne l’accesso ai dati personali che per quanto concerne il controllo a distanza;
– al risarcimento del danno subito per la violazione da parte del datore di lavoro delle disposizioni di cui all’art.2087 c.c. e per la mancanza di un’adeguata tutela antinfortunistica.
Si è costituita in giudizio la convenuta contestando in fatto e in diritto il fondamento delle domande.
Dopo avere autorizzato il deposito di memorie sulle deduzioni istruttorie, il giudice ha interrogato liberamente i ricorrenti e il legale rappresentante della convenuta e ha ammesso alcuni dei numerosi capitoli di prova testimoniale dedotti dalle parti.
Assunte le prove, all’udienza di discussione dell’11.4.2018 il giudice ha deciso la causa come da dispositivo.
PREMESSA
La controversia ha per oggetto esclusivamente la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti (con le connesse domande di corresponsione delle differenze retributive e di accertamento della nullità, inefficacia o illegittimità del licenziamento), oltre ad alcune domande accessorie relative alla violazione delle norme sulla privacy, sul controllo a distanza e sulla tutela antinfortunistica.
In questa sentenza non verranno quindi prese in considerazione le questioni relative all’adeguatezza del compenso e al presunto sfruttamento dei lavoratori da parte dell’azienda, né tutte le altre complesse problematiche della c.d. Gig Economy.
LA VOLONTA’ DELLE PARTI
I ricorrenti hanno tutti sottoscritto dei contratti di “collaborazione coordinata e continuativa” nei quali si è dato atto che “il collaboratore agirà in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”(doc.6 dei ricorrenti).
E’ quindi chiaro che le parti hanno inteso dar vita a un rapporto di lavoro autonomo, sia pure a carattere coordinato e continuativo.
E’ peraltro noto che “ai fini della determinazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero avere simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia” Occorre pertanto prendere in considerazione le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.
LA PRESTAZIONE LAVORATIVA
La prestazione lavorativa dei ricorrenti si è svolta a grandi linee nel modo seguente.
Dopo avere compilato un formulario sul sito di Fdoc.12 ricorrenti), venivano convocati in piccoli gruppi presso l’ufficio di Torino per un primo colloquio nel quale veniva loro spiegato che l’attività presupponeva il possesso di una bicicletta e la disponibilità di uno smartphone; in un secondo momento veniva loro proposta la sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e, dietro versamento di una caparra di € 50, venivano loro consegnati i dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e l’attrezzatura per il trasporto del cibo (piastra di aggancio e box).
Il contratto che veniva sottoscritto aveva le seguenti caratteristiche (risultanti dallo stesso doc.6 dei ricorrenti):
– era un contratto di “collaborazione coordinata e continuativa”;
– era previsto che il lavoratore fosse “libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita”;
– il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne avvalendosi di una propria bicicletta “idonea e dotata di tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione”;
– era previsto che il collaboratore avrebbe agito “in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”, ma era tuttavia “fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’attività della stessa committente”;
– era prevista la possibilità di recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza concordata, con comunicazione scritta da inviarsi a mezzo raccomandata a/r con 30 giorni di anticipo;
– il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, pena applicazione a suo carico di una penale di 15 euro; – il compenso era stabilito in € 5,60 al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di disponibilità;
– il collaboratore doveva provvedere ad inoltrare all’INPS “domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all’art.2, comma 26, della legge 8 agosto 1995 n.335” e la committente doveva provvedere a versare il relativo contributo;
– la committente doveva provvedere all’iscrizione del collaboratore all’INAIL ai sensi dell’art.5 del D.Lgs, 23 febbraio 2000 n.38; il premio era a carico del collaboratore per un terzo e della committente per due terzi;
– la committente doveva affidare al collaboratore in comodato gratuito un casco da ciclista, un giubbotto e un bauletto dotato dei segni distintivi dell’azienda a fronte di un versamento di una cauzione di € 50.
Al contratto era allegato un foglio contenente l’informativa sul trattamento dei dati personali e la prestazione del consenso. La gestione del rapporto avveniva attraverso la piattaforma multimediale “Shyftplan” e un applicativo per smartphone (inizialmente “Urban Ninjia” e poi “Hurrier”), per il cui uso venivano fornite da F delle apposite istruzioni (doc.14 e 15 ricorrenti). L’azienda pubblicava settimanalmente su Shyftplan gli “slot”, con indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno. Ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per i vari slot in base alle proprie esigenze personali, ma non era obbligato a farlo. Raccolte le disponibilità, il responsabile della “flotta” confermava tramite Shyftplan ai singoli riders l’assegnazione del turno. Ricevuta la conferma del turno, il lavoratore doveva recarsi all’orario di inizio del turno in una delle tre zone di partenza predefinite (Piazza Vittorio Veneto, Piazza Carlo Felice o Piazza Bernini), attivare l’applicativo Hurrier inserendo le credenziali (user name e password) per effettuare l’accesso (login) e avviare la geolocalizzazione (GPS).
Il rider riceveva quindi sulla app la notifica dell’ordine con l’indicazione dell’indirizzo del ristorante.
Accettato l’ordine, il rider doveva recarsi con la propria bicicletta al ristorante, prendere in consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare tramite l’apposito comando della app il buon esito della verifica.
A questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato tramite la app.; doveva quindi confermare di avere regolarmente effettuato la consegna.
AUTONOMIA O SUBORDINAZIONE?
Sono innumerevoli le sentenze che si sono occupate della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ma il criterio principale elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione è quello secondo cui “costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative” (tra le tante, Cass. 8.2.2010 n.2728).
Ci sono poi altri criteri che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria come quelli relativi all’osservanza di un determinato orario, all’inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale, all’assenza di rischio per il lavoratore o alla forma della retribuzione.
Occorre quindi stabilire se i ricorrenti fossero o meno sottoposti al potere direttivo, organizzativo e disciplinare di F (quella che viene comunemente chiamata “eterodirezione” della prestazione).
SOTTOPOSIZIONE AL POTERE DIRETTIVO E ORGANIZZATIVO DEL DATORE DI LAVORO
Il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era caratterizzato dal fatto che i ricorrenti non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla.
E’ infatti pacifico che i ricorrenti potevano dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da F, ma non erano obbligati a farlo; a sua volta F poteva accettare la disponibilità data dai ricorrenti e inserirli nei turni da loro richiesti, ma poteva anche non farlo.
Questa caratteristica del rapporto di lavoro intercorso tra le parti può essere considerata di per sé determinante ai fini di escludere la sottoposizione dei ricorrenti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro perché è evidente che se il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa non può neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo.
Si tratta di un profilo che era stato già messo in rilievo dalla Corte di Cassazione tanti anni fa, quando si era pronunciata in merito a una vicenda che presentava una certa analogia con quella attuale perché riguardava la consegna di plichi effettuata da lavoratori qualificati come autonomi: la Corte aveva allora affermato che proprio la “non obbligatorietà” della prestazione lavorativa escludeva in radice la subordinazione perché “la configurabilità della “eterodirezione” contrasta con l’assunto secondo cui la parte che deve rendere la prestazione può, a suo libito, interrompere il tramite attraverso il quale si estrinseca il potere direttivo dell’imprenditore” (Cass. 7608/1991 e 811/1993).
Il discorso potrebbe chiudersi già qui, ma facciamo un passo ulteriore. Si potrebbe infatti sostenere che il datore di lavoro – pur essendo privo del potere di pretendere dal lavoratore l’esecuzione della prestazione – può in concreto cominciare ad esercitare il potere direttivo e organizzativo dal momento in cui i lavoratori vengono inseriti in un certo turno di lavoro, a seguito della disponibilità da loro manifestata.
Bisogna allora verificare se da tale momento il potere direttivo e organizzativo sia stato effettivamente esercitato dalla società F.
A questo scopo è necessario affrontare il delicato problema della distinzione tra “coordinamento” e “subordinazione”.
COORDINAMENTO E SUBORDINAZIONE
E’ lo stesso legislatore a chiarire che si tratta di due concetti diversi perchè può esserci coordinamento senza subordinazione.
Nell’art.409 c.p.c. il legislatore ha infatti previsto al n.3) l’applicabilità delle disposizioni sulle controversie individuali di lavoro ai “rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
Nel corso degli anni il legislatore ha poi emanato diverse disposizioni di legge con le quali ha previsto e disciplinato varie forme di collaborazioni coordinate e continuative non subordinate, dalla legge “Biagi” alla legge “Fornero” e ai decreti del “Jobs Act” (di cui avremo modo di parlare in seguito).
Ma quale è la differenza tra coordinamento e subordinazione?
Lo abbiamo già detto prima, quando abbiamo citato la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro “discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative”.
E’ chiaro che una volta la cosa era più semplice perchè gli “ordini specifici” venivano dati direttamente in officina dal capo reparto al capo squadra e dal capo squadra agli operai.
Nella società attuale è indubbio che gli ordini possono essere impartiti con altri strumenti che prescindono dalla presenza fisica nello stesso luogo di chi dà gli ordini e di chi li riceve: possono essere dati via e-mail o via internet o anche con l’utilizzo di apposite “app” dello smartphone.
Bisogna allora verificare se in concreto questi nuovi strumenti di comunicazione siano stati utilizzati da F per impartire ai ricorrenti degli ordini specifici e per sottoporli a un’assidua attività di vigilanza e controllo.
I ricorrenti sostengono che F avrebbe loro impartito delle direttive tecniche dettagliate in ordine all’intero iter relativo alla consegna attraverso:
– la determinazione del luogo e dell’orario di lavoro (punti di partenza e fasce orarie);
– la verifica della presenza dei riders nei punti di partenza e dell’attivazione del loro profilo sull’applicazione;
– il richiamo dei lavoratori che tardavano ad accettare l’ordine;
– la necessità, in caso di impossibilità di svolgere la prestazione lavorativa, di inoltrare ai superiori la richiesta di riassegnazione dell’ordine;
– l’obbligo di effettuare la consegna dei prodotti in tempi prestabiliti, seguendo il percorso suggerito attraverso il GPS dalla stessa applicazione;
– lo svolgimento di attività promozionali del brand Foodora;
– l’esercizio del potere di controllo e di vigilanza, attraverso il monitoraggio della produttività dei singoli lavoratori.
Ritiene il giudice che le circostanze sopra indicate in parte non abbiano trovato conferma nelle risultanze processuali e in parte non siano determinanti ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato. La determinazione del luogo e dell’orario di lavoro non veniva imposta unilateralmente dall’azienda che si limitava a pubblicare su Shiftplan gli slot con i turni di lavoro; i ricorrenti avevano la piena libertà di dare o meno la propria disponibilità per uno dei turni indicati dall’azienda.
La verifica della presenza dei riders nei punti di partenza e dell’attivazione del loro profilo sull’applicazione rientra a pieno titolo nell’ambito del “coordinamento” perché è evidente che F aveva la necessità di sapere su quanti riders poteva effettivamente contare per le consegne, anche in considerazione del fatto che un non trascurabile numero di lavoratori dopo l’inserimento nel turno non si presentava a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva (c.d. “no show”, di cui si parlerà ampiamente in seguito).
I ricorrenti sottolineano il fatto che non avevano la possibilità di rifiutare la consegna perché c’era soltanto un tasto per accettare l’ordine che se non veniva premuto continuava a suonare.
Si tratta di un elemento irrilevante.
In primo luogo bisogna considerare che i contratti sottoscritti dai ricorrenti (a differenza di quelli stipulati in epoca successiva in cui era stabilito un pagamento a consegna) prevedevano la corresponsione di un compenso orario (€ 5,60 lordi all’ora): è quindi logico che i ricorrenti fossero tenuti a fare le consegne che venivano loro comunicate nelle ore per le quali ricevevano il compenso.
Comunque dalle testimonianze assunte è risultato che se c’era qualche problema i riders potevano chiamare il centralino e spiegare il motivo per cui non potevano fare l’ordine (teste M) o che era il dispatcher a contattare il rider per sapere perché non aveva accettato l’ordine (teste T I): è evidente che si tratta di un problema di “coordinamento” (e non di subordinazione) perché l’azienda ha la necessità di effettuare le consegne in un ristretto periodo di tempo per venire incontro alle esigenze del cliente e deve pertanto sapere se il rider accetta o meno l’ordine per provvedere eventualmente ad assegnare l’ordine a qualcun altro.
E’ poi provato che i ricorrenti fossero liberi di scegliersi il percorso, come hanno confermato i testi T I e Y A.
E’ vero invece che i ricorrenti potevano ricevere delle telefonate di sollecito durante l’effettuazione della consegna perché il sistema consentiva di vedere dove si trovava il rider in un determinato momento e di verificare quindi se era in ritardo (testi M, T I e Y A): ma una telefonata di sollecito non può essere certo considerata l’emanazione di un ordine specifico né può costituire “esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative” (come richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione ai fini del riconoscimento della subordinazione), mentre rientra a pieno titolo nelle esigenze di coordinamento dettate dalla necessità di rispetto dei tempi di consegna.
Bisogna infatti considerare che il rispetto dei tempi di consegna era un elemento qualificante della prestazione richiesta ai riders, tanto da essere espressamente previsto dal contratto, anche mediante l’irrogazione di una penale da detrarre dal compenso.
Né si può parlare di un costante monitoraggio della prestazione perché il sistema consentiva soltanto di fotografare la posizione del rider in maniera statica e non di seguirne l’intero percorso in modo dinamico.
Non appare poi rilevante il fatto che, in caso di accettazione di un ordine a ridosso della fine del turno, ai ricorrenti potesse essere chiesto di effettuare la consegna anche dopo l’orario predefinito: è infatti risultato che in questo caso veniva chiesta la disponibilità dei riders a prolungare l’orario (dietro pagamento del compenso per il maggior tempo impiegato) e che l’azienda abbia dovuto addirittura cancellare degli ordini perché nessuno era disponibile a prolungare l’orario (testi Tassia Incuria e Ghio).
Quanto allo svolgimento di attività “promozionale”, si tratta di una prestazione del tutto accessoria e secondaria che non può incidere sulla qualificazione del rapporto di lavoro.
Si deve pertanto escludere che i ricorrenti fossero sottoposti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
SOTTOPOSIZIONE AL POTERE DISCIPLINARE
I ricorrenti sostengono di essere stati sottoposti al potere disciplinare di F che si sarebbe concretizzato nel richiamo verbale e nell’esclusione temporanea o definitiva dalla chat aziendale o dai turni di lavoro.
Questa affermazione non ha trovato riscontro nelle risultanze processuali.
E’ infatti chiaramente emerso che i ricorrenti potevano revocare la loro disponibilità su un turno già confermato dalla società utilizzando la funzione c.d. “swap” e potevano anche non presentarsi a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva (c.d. “no show):
– “capitava spesso che dei riders non si presentassero senza dire niente: percentualmente nel 20% dei casi…..se un rider non vuole più fare un turno per il quale si è prenotato, può utilizzare la funzione swap cliccando sul tasto dello shyftplan e revocare la sua disponibilità” (teste Y A);
– “i riders possono revocare la propria disponibilità mediante la funzione swap e possono farlo fino ad inizio del turno… può capitare che qualcuno non si presenti senza avvisare soprattutto durante i week end……non abbiamo mai adottato alcuna penalizzazione per i riders che abbiano fatto utilizzo della funzione swap o che non si siano presentati” (teste G);
– “se uno dopo essersi prenotato per un turno, ma prima che iniziasse, voleva togliere la propria disponibilità, doveva utilizzare la funzione swap inoltrando una richiesta, a questo punto bisognava aspettare una risposta che arrivava via e-mail…..poteva capitare che qualcuno non si presentasse; in questo caso veniva richiamato dal sistema ed eventualmente escluso dal turno” (teste M).
Non è risultato che in tali ipotesi l’azienda adottasse delle sanzioni disciplinari.
I ricorrenti sostengono peraltro che l’esclusione dalla chat aziendale o dai turni di lavoro sarebbe avvenuta anche soltanto per sanzionare insubordinazioni o lamentele o comunque comportamenti non graditi all’azienda. Le prove testimoniali non hanno confermato l’esistenza di questo tipo di provvedimenti, ma soltanto la predisposizione per un limitato periodo di tempo di una “classifica” per premiare i più meritevoli (testi M, S e G).
Ed è evidente che una classifica diretta a premiare i più meritevoli è cosa del tutto diversa dall’uso del potere disciplinare.
In linea di diritto si deve comunque escludere che il tipo di provvedimenti indicati dai ricorrenti (esclusione temporanea o definitiva dalla chat aziendale o dai turni di lavoro) possa costituire una sanzione disciplinare.
Quali sono infatti le caratteristiche delle sanzioni disciplinari?
Le sanzioni disciplinari applicate ai lavoratori subordinati – sulla base dell’art.7 della L.300/70 e delle disposizioni dei contratti collettivi – hanno come caratteristica comune quella di privare in via temporanea o definitiva i lavoratori dei loro diritti:
– la multa priva il lavoratore di un certo numero di ore di retribuzione;
– la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione priva il lavoratore in via temporanea del diritto di effettuare la prestazione lavorativa e di ricevere la retribuzione;
– il licenziamento priva il lavoratore in via definitiva del diritto di lavorare e di ricevere la retribuzione.
Nella fattispecie che stiamo esaminando tutto questo non si verifica per il semplice fatto che i ricorrenti potevano dare la loro disponibilità per un determinato turno, ma l’azienda era libera di non accettare la loro disponibilità e di non chiamarli.
L’esclusione dalla chat aziendale o dai turni di lavoro non può quindi essere considerata una sanzione disciplinare perché non priva i lavoratori di un loro diritto: i ricorrenti non avevano infatti diritto nè ad essere inseriti nella chat aziendale, né ad essere inseriti nei turni di lavoro.
Anche sotto il profilo della sottoposizione al potere disciplinare del datore di lavoro si deve pertanto escludere che il rapporto oggetto di causa possa essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato.
LE DISPOSIZIONI DEL DECRETO JOBS ACT 81/2015
I ricorrenti hanno anche invocato in via subordinata l’applicazione della norma di cui all’art.2 del D.Lgs. 81/2015 secondo cui “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Forse nelle intenzioni del legislatore la norma avrebbe dovuto in qualche modo ampliare l’ambito della subordinazione, includendovi delle fattispecie fino ad allora rientranti nel generico campo della collaborazione continuativa.
Ma così non è stato.
Come ha giustamente rilevato la difesa dell’azienda, infatti, la disposizione di cui all’art.2 del D.Lgs. 81/2015 non ha un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro.
La norma dispone infatti che sia applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro: è quindi necessario che il lavoratore sia pur sempre sottoposto al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e non è sufficiente che tale potere si estrinsechi soltanto con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro perché deve al contrario riguardare anche i tempi e il luogo di lavoro.
Così come è stata formulata, la norma viene quindi ad avere addirittura un ambito di applicazione più ristretto di quello dell’art.2094 c.c.
Senza considerare poi il fatto che appare difficile parlare di organizzazione dei tempi di lavoro in un’ipotesi come quella oggetto di causa in cui i riders avevano la facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di lavoro. La domanda di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato deve essere pertanto respinta.
LE ALTRE DOMANDE
a) DIFFERENZE RETRIBUTIVE
La domanda di corresponsione delle differenze retributive derivanti dall’inquadramento nel V livello del CCNL logistica o nel VI livello del CCNL terziario deve essere respinta perché presuppone il riconoscimento della subordinazione.
Occorre soltanto rilevare che l’accoglimento di questa domanda avrebbe comportato la corresponsione di una retribuzione rapportata a un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno (non potendo essere riconosciuto il part-time in mancanza di un’espressa pattuizione), a fronte di una prestazione lavorativa dei ricorrenti di circa 10-20 ore alla settimana.
b) LICENZIAMENTO
Anche le domande di nullità, inefficacia e illegittimità del licenziamento non possono essere accolte perché presuppongono il riconoscimento della subordinazione.
Il rapporto intercorso tra le parti si è risolto perché i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, prorogati fino al 30.11.2016, non sono stati rinnovati alla scadenza.
c) RISARCIMENTO DEL DANNO PER LA VIOLAZIONE DELL’ART.2087 c.c.
Anche questa domanda presuppone la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Deve essere infatti condivisa la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui “ai rapporti di lavoro autonomo non si applicano le norme speciali antinfortunistiche, che, di regola, presuppongono l’inserimento del prestatore di lavoro nell’impresa del soggetto destinatario della prestazione, né l’art.2087 cod.civ., il quale, integrando le richiamate leggi speciali, riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro subordinato” (Cass. 21.3.2013 n.7128).
Erano pertanto i ricorrenti a dovere controllare l’idoneità e l’efficienza della bicicletta utilizzata per le consegne, come espressamente previsto nel contratto.
Quanto all’attrezzatura fornita dall’azienda in comodato (casco, giubbotto e box), non risulta che non avesse i requisiti antinfortunistici di legge, né i ricorrenti hanno dedotto o provato di avere subito un danno a causa dell’utilizzo di tale attrezzatura.
Occorre peraltro rilevare che i ricorrenti non erano del tutto privi di tutela previdenziale perché erano iscritti alla gestione separata dell’INPS di cui all’art.2, comma 26, della legge 335/95 e all’INAIL (ai sensi dell’art.5 D.Lgs. 38/2000) e perché era contrattualmente previsto che i contributi venissero in parte versati anche dall’azienda.
d) RISARCIMENTO DEL DANNO PER VIOLAZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI PRIVACY
Con riferimento a questa domanda il discorso è un po’ più complesso.
I ricorrenti lamentano la violazione della normativa in materia di privacy, sia per quanto concerne l’accesso ai dati personali che per quanto concerne il controllo a distanza, con riferimento all’art.4 della L.300/70 e agli artt. 7, 11 e 171 del codice della privacy.
Il richiamo dell’art.4 della L.300/70 appare nel complesso poco pertinente perché si tratta comunque di norma direttamente applicabile soltanto al rapporto di lavoro subordinato (anche se richiamata dall’art.114 del codice della privacy).
Alla fattispecie oggetto di causa sarebbe comunque eventualmente applicabile l’art.4 nella nuova formulazione determinata dalle modifiche introdotte dall’art.23 del D.Lgs. 151/2015:
“Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali deriva anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere istallati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali (……)
La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003 n.196”.
Ora, non c’è dubbio che le applicazioni dello smartphone venivano utilizzate dai ricorrenti per rendere la prestazione lavorativa e, in quanto tali, non richiedevano il preventivo accordo con le rappresentanze sindacali.
Per quanto riguarda la violazione del codice della privacy, i ricorrenti lamentano genericamente di non avere ricevuto un’informativa chiara e completa sulla natura dei dati trattati, sulle caratteristiche del dispositivo e dei controlli e sulle ipotesi in cui era consentita la disattivazione della funzione di localizzazione nel corso dell’orario di lavoro.
Dallo stesso contratto prodotto dai ricorrenti come doc.6 risulta peraltro che veniva data un’informativa sul trattamento dei dati personali e che i lavoratori prestavano il loro consenso al trattamento dei dati.
Né si può dire che l’informativa fosse generica perché riguardava le finalità e le modalità del trattamento, la natura del conferimento, la comunicazione e diffusione dei dati e i diritti dell’interessato.
Non risulta pertanto violata in modo specifico la normativa sulla privacy.
Occorre comunque rilevare che i ricorrenti non hanno dedotto né provato di avere subito un danno dal presunto illegittimo utilizzo dei dati personali e si sono limitati a chiedere un risarcimento di € 20.000 per ciascuno, senza indicare alcun parametro utile alla quantificazione del danno subito. Anche questa domanda deve essere pertanto respinta.
SPESE DI GIUDIZIO
L’assoluta novità della questione trattata giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio.
P.Q. M.
Visto l’art. 429 c.p.c.,
– respinge le domande;
– dichiara interamente compensate le spese di giudizio;
– fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.
Torino, 11 aprile 2018
Il Presidente
dott. Marco BUZANO