Discriminazione razziale, regolamento comunale per l’accesso alle prestazioni sociale agevolate, Tribunale di Lodi, Ordinanza del 12 dicembre 2018
Tribunale di Milano
Sezione PRIMA
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Nicola Di Plotti ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 20954/2018 promossa da:
ASGI-ASSOCIAZIONE STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE (C.F. 97086880156),
NAGA – ASSOCIAZIONE VOLONTARIA DI ASSISTENZA SOCIO-SANITARIA E PER I
DIRITTI DI CITTADINI STRANIERI, ROM E SINTI (C.F. 97058050150), con il patrocinio
dell’Avv. Livio Neri e dell’Avv. Alberto Guariso, elettivamente domiciliate in Viale Regina
Margherita, 30 Milano presso lo studio dei difensori
RICORRENTI
contro
COMUNE DI LODI (C.F. 84507570152) in persona del Sindaco pro tempore, con il patrocinio
dell’Avv. Giuseppe Franco Ferrari, elettivamente domiciliato in Milano, Via Larga 23 presso lo
studio del difensore
CONVENUTO
Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 702 bis c.p.c. e 28 D. L.vo 28/2011, ritualmente notificato il
5.6.2018, ASGI – Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione e NAGA – Associazione
volontaria di assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti hanno
convenuto in giudizio il Comune di Lodi, chiedendo:
1) di accertare e dichiarare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’Amministrazione
comunale consistente:
– in via principale, nell’avere modificato il “Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali
agevolate” prevedendo per il cittadino non appartenente all’Unione Europea condizioni più gravose
rispetto a quelle previste per il cittadino italiano;
– in via subordinata, nel non avere escluso dalla disciplina differenziata i titolari dello status di
rifugiato politico, il cittadino non comunitario lungo soggiornante, il familiare di cittadino
dell’Unione, il titolare di protezione sussidiaria, umanitaria o di “carta blu”, il titolare di permesso
unico di lavoro; ovvero nel non avere escluso i Paesi nei quali l’ulteriore documentazione richiesta
non sia ottenibile e nel non avere indicato le autorità degli Stati esteri competenti ai fini del rilascio
delle richieste certificazioni;
2) conseguentemente, di ordinare al convenuto di cessare il comportamento discriminatorio e di
modificare il Regolamento comunale al fine di consentire a tutti i cittadini non comunitari (o quanto
meno alle categorie di cittadini extra UE indicate in via subordinata) la presentazione della
domanda di accesso alle prestazioni agevolate alle medesime condizioni previste in favore dei
cittadini UE, o di consentire ciò sino a quando il Comune di Lodi non avrà provveduto a
individuare, per ciascun Paese, l’autorità competente a rilasciare la documentazione richiesta;
3) di ordinare al Comune di Lodi di riesaminare d’ufficio le domande presentate dai cittadini
extracomunitari dopo l’approvazione della delibera consiliare di modifica del Regolamento
(delibera n. 28 del 4.10.2017), respinte per mancanza, insufficienza o inidoneità della
documentazione prodotta;
4) di ordinare all’Amministrazione di pubblicizzare la decisione giudiziale e la successiva modifica
del Regolamento sulla home page del proprio sito istituzionale e su un quotidiano locale.
A fondamento delle proprie domande le associazioni ricorrenti hanno dedotto:
– la sussistenza di una discriminazione diretta nell’accezione accolta dall’ordinamento nazionale e
comunitario; l’art. 43 co. 2 lett. b) e c) D. L.vo 286/98 impedisce infatti di prendere in
considerazione la nazionalità quale fattore dirimente. Tale distinzione, peraltro, non è giustificata
poiché non sussiste alcuna proporzionalità tra la deroga al fondamentale principio di parità di
trattamento e lo scopo che la disposizione del regolamento comunale intende perseguire, cioè
verificare la veridicità delle dichiarazioni ai fini della presentazione delle domande;
– l’esperibilità dell’azione discriminatoria in quanto fondata sull’art. 43 D. L.vo 286/98 e ammessa
dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 8.5.2017, n. 11165 e 11166; Cass. SS.UU., 20.4.2016, n.
7951);
– di conseguenza, l’illegittimità del trattamento differenziato tra cittadini UE e gli altri rispetto alla
presentazione della DSU e dell’ISEE e, quindi, la violazione del D.P.C.M. 5.12.2013, n. 156
(“Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione
dell’Indicatore della situazione economica equivalente”). L’art. 8 co. 5 del Regolamento comunale
stabilisce quali siano i documenti da presentare contestualmente alla domanda di accesso ai servizi
agevolati, che soltanto i cittadini non appartenenti all’UE devono corredare di ulteriore
documentazione, con la loro traduzione in italiano legalizzata dall’Autorità consolare. Tuttavia le
disposizioni non possono essere modificate da quelle adottate da un ente locale – che non
prevedono diverse formalità in ragione della cittadinanza del richiedente;
– l’irrilevanza del richiamo all’art. 3 DPR 445/2000, in quanto normativa di carattere generale
superata dalla natura speciale di quella di cui al DPCM 156/2013; in assenza di un esplicito
richiamo all’art. 3 del citato DPR, le limitazioni dallo stesso previste in tema di autocertificazione
non riguardano l’accesso alle prestazioni sociali; l’irrilevanza del richiamo è inoltre dovuta al fatto
che l’art. 3 DPR 445/2000 è una norma di rango secondario in contrasto con la fonte statale – l’art. 2
- 5 D. L.vo 286/1998 – e non è pertanto applicabile; devono in ogni caso essere tenute indenni
tutte le categorie protette dal diritto dell’Unione Europea riguardo all’accesso alle prestazioni
sociali;
– l’irragionevolezza della procedura con la quale l’Amministrazione ha individuato i Paesi stranieri
esenti dall’obbligo di documentazioni aggiuntive, ai sensi dell’art. 8 co. 6 del Regolamento
comunale; i criteri adottati sono inadeguati perché fondati sulle stime formulate da “IHS Markit”,
società cui viene richiesta una valutazione sulla sicurezza delle merci trasportate (operante perciò in
ambito commerciale) e che non ha alcuna competenza in merito alla verifica della disponibilità di
certificazioni consolari, o sulla sussistenza di criticità socio-politiche nei Paesi di origine;
– che, con delibera di Giunta n. 56 del 15.11.2017, l’Amministrazione comunale ha attuato l’art. 8
comma 6 individuando unicamente Afghanistan, Libia, Siria e Yemen quali Paesi dove non risulta
possibile acquisire la documentazione necessaria per la compilazione della DSU;
– che a seguito di interrogazione urgente, formulata da un consigliere comunale, l’Assessore alle
Politiche Sociali e per la Famiglia ha risposto che “il Comune non ha il compito di verificare la
reperibilità dei documenti necessari”;
– di avere appreso che il Comune di Lodi, al fine di individuare i Paesi esenti ex art. 8 co. 6 del
Regolamento, ha consultato l’Ambasciata d’Egitto, il Consolato del Togo e quello del Marocco; è
emerso come, presso l’Ufficio Patrimonio del Comune, siano state prodotte alcune certificazioni
fornite da alcuni distaccamenti territoriali del Ministero del Demanio della Tunisia, dal Ministero
della Giustizia dell’Albania e dal Governo dell’Ecuador (i quali sono in grado di accertare la
sussistenza di redditi esclusivamente nelle proprie aree di competenza);
– che è configurabile la propria legittimazione ad agire con il ricorso ex art. 28 D. L.vo 150/2011,
perché il Regolamento comunale, determinando uno svantaggio nei confronti di un numero
indeterminato di soggetti non identificabili, costituisce un atto di discriminazione collettiva; ASGI e
NAGA sono iscritte nell’elenco ex art. 52 D.P.R. 399/1999, approvato con D.M. 13.3.2013.
Con atto del 26.10.2018 si è costituito in giudizio il Comune di Lodi, contestando quanto dedotto
dalle associazioni ricorrenti e domandando:
1) di dichiarare l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione ad agire in capo alle
associazioni;
2) in via subordinata, di respingere il ricorso in quanto inammissibile per carenza di interesse ad
agire ed in ogni caso infondato in fatto ed in diritto.
A sostegno delle proprie domande il convenuto rileva che:
– successivamente alla proposizione del ricorso, con deliberazione n. 114 del 17.10.2018 la Giunta
comunale ha adottato le Linee Guida per la corretta applicazione del Regolamento al fine di far
fronte alle criticità emerse durante l’istruttoria delle domande pervenute e di fornire agli uffici
competenti indirizzi uniformi ed elementi utili per superare le difficoltà riscontrate nella gestione
delle richieste;
– si è demandato alla Giunta comunale il compito di provvedere all’aggiornamento delle Linee
Guida con cadenza annuale, ove necessario.
Eccepisce la carenza di legittimazione ad agire in capo alle ricorrenti, in quanto la loro attività è
limitata a contrastare le discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, mentre il ricorso ha
ad oggetto un Regolamento che opera una distinzione fondata solo sul criterio della nazionalità.
Il Comune rileva inoltre che:
– la legittimazione ad agire in capo alle ricorrenti difetta anche per la mancata individuazione diretta
e immediata delle persone lese dalla discriminazione lamentata;
– il Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate si adegua alla normativa nazionale
vigente in tema di rapporti con la Pubblica Amministrazione e di documentazione amministrativa,
dettata dal DPR 28.12.2000, n. 445 e dal DPR 31.8.1999, n. 394. A norma dell’art. 2 co. 2 DPR
394/1999, per gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia l’utilizzo delle dichiarazioni
sostitutive è limitato agli stati, ai fatti ed alle qualità personali certificabili o attestabili da parte di
soggetti italiani, pubblici o privati. Il comma 2 bis della medesima disposizione aggiunge che “Ove
gli stati, fatti e qualità personali di cui al comma 1 non possono essere documentati mediante
certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, in ragione della mancanza di
una autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti, rilasciati dall’autorità
locale … le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai
sensi dell’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base
delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati”;
– nello stesso senso dispone la normativa vigente in materia di dichiarazioni sostitutive all’art. 3
DPR 445/2000;
– al di fuori dei casi definiti dall’art. 2 DPR 394/1999 e dall’art. 3 DPR 445/2000 è possibile
ricorrere alle dichiarazioni sostitutive solo nei casi in cui la produzione delle stesse avvenga in
applicazione di convenzioni internazionali fra l’Italia e il Paese di origine del dichiarante;
diversamente, occorre la presentazione da parte dello straniero di certificati o attestazioni rilasciati
dalle competenti autorità dello Stato di provenienza, corredati di traduzione in lingua italiana
autenticata dall’autorità consolare che ne attesti la conformità all’originale;
– il mero adeguamento del Regolamento comunale alla normativa italiana non ha leso il principio di
parità di trattamento, posto che, pur dovendo essere identiche le prestazioni sociali offerte a
prescindere dalla nazionalità dell’assistito, è logico pretendere dallo straniero extracomunitario, in
relazione alla dimostrazione di fatti, stati e qualità non certificabili da parte di soggetti italiani, ed in
assenza di appositi trattati internazionali, la produzione di documentazione rilasciata dalle
competenti autorità estere;
– il riferimento ai “limiti posti dalla legge” nella disposizione di cui all’art. 2 co. 5 D.L.vo 286/1998
non deve essere valutato alla stregua di una riserva di legge assoluta, poiché l’art. 7 L. 8.3.1999 n.
50 ha demandato al Consiglio dei Ministri il compito di emanare testi unici, riguardanti anche la
documentazione amministrativa, procedendo alla delegificazione degli aspetti organizzativi e
procedimentali;
– è rilevante il riferimento alle convenzioni internazionali (in particolare la Convenzione di
Ginevra), fatte salve sia dal Regolamento del Comune di Lodi che dalla legislazione italiana in
materia di documentazione amministrativa, sì da esentare i beneficiari dello status di rifugiato o i
possessori del titolo di viaggio per stranieri ex art. 24 co. 2 D.L.vo 251/2007 dall’obbligo di
richiedere documenti alle autorità del Paese di origine;
– la posizione dei cittadini extracomunitari non pare svantaggiosa, risolvendosi nell’obbligo di
presentare un documento o un certificato rilasciato dall’autorità straniera; tale differenza è
giustificata dall’esigenza del Comune di essere tutelato sulla veridicità della documentazione;
– è inconferente il richiamo al DPCM 156/2013, in quanto disciplinante aspetti diversi da quelli
definiti nel Regolamento: mentre quest’ultimo riguarda i beni diversi e ulteriori da quelli dichiarati,
il DPCM, nella parte in cui ammette autodichiarazioni di componenti reddituali e patrimoniali, fa
esclusivamente riferimento al reddito dichiarato;
– l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 10 DPCM 156/2013, che disciplina la DSU, all’art. 3
D.P.R. 445/2000, limita la possibilità di ricorso alle autocertificazioni per i cittadini
extracomunitari;
– non vi è pertanto un conflitto tra il Regolamento comunale e il DPCM 156/2013;
– non vi è la dimostrazione in concreto della condotta discriminatoria e di un effettivo pregiudizio
subito dai cittadini extracomunitari.
All’udienza del 6.11.2018 le parti hanno discusso oralmente la causa, concludendo come da atti
introduttivi del giudizio.
Deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dal Comune di Lodi di difetto di
legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti. Il Comune deduce in primo luogo che tale
legittimazione è limitata alle doglianze in tema di discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine
etnica, mentre il ricorso presentato in questa sede ha ad oggetto la legittimità di disposizioni che
attuano una distinzione fondata sulla nazionalità.
L’art. 3 co. 2 D. L.vo 215/03 prevede che “Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze
di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni
relative all’ingresso, al soggiorno, all’accesso all’occupazione, all’assistenza e alla previdenza dei
cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, ne’ qualsiasi trattamento, adottato
in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti”;
La norma si limita pertanto a escludere dal proprio ambito di applicazione le differenze di
trattamento fondate sul criterio della nazionalità. Ciò tuttavia non è sufficiente a inibire ogni azione
antidiscriminatoria fondata su tale parametro; l’art. 2 del medesimo corpo normativo, infatti, fa
salve le previsioni incluse nell’art. 43 co. 1 e 2 D. L.vo 286/1998, che include tra i fattori di
discriminazione vietati anche la nazionalità.
La giurisprudenza di legittimità (C. Cass. 11165/17) ha rilevato come non sia possibile negare la
rilevanza nell’ordinamento di discriminazioni collettive fondate sulla nazionalità e su condotte
offensive nei confronti di una pluralità di soggetti accomunati da tale fattore; sottolinea inoltre
l’esigenza di garantire una protezione giudiziale degli interessi sottesi a tale condizione, senza che i
soggetti destinatari di una discriminazione basata su tale parametro siano tenuti a prendere parte al
processo o ad attivarlo individualmente. Il concetto di discriminazione collettiva è presente in varie
forme nell’ordinamento, “dando fondamento alla ragione sostanziale (l’effettiva protezione dei
diritti) per la quale la loro tutela non possa prescindere da una legittimazione conferita in capo ad
un organismo collettivo”. La Corte richiama inoltre il dettato dell’art. 52 DPR 349/1999,
evidenziando che associazioni quali le odierne ricorrenti “devono essere qualificate dallo
svolgimento di “attività a favore degli stranieri immigrati” e dallo “svolgimento di attività per
favorire l’integrazione sociale degli stranieri (non quindi testualmente in relazione alla razza o
all’etnia)”. Sottolinea infine la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata della
disciplina antidiscriminatoria; una diversa impostazione porterebbe alla conclusione che differenze
di trattamento processuale “verrebbero introdotte (senza ragionevole giustificazione) tra fattori di
discriminazione che godono di uguale protezione dell’ordinamento”; ciò anche alla luce dei principi
di equivalenza ed effettività della tutela valevoli in ambito comunitario.
Il secondo aspetto dedotto dal Comune di Lodi a supporto dell’eccezione di difetto di legittimazione
attiva delle ricorrenti è fondato sulla mancata individuazione diretta ed immediata delle persone lese
dalla discriminazione lamentata, ulteriore requisito richiesto dal D.L.vo 215/2003.
Si rileva in proposito che l’art. 5 u.co. D. L.vo 215/03 stabilisce che “Le associazioni e gli enti
inseriti nell’elenco di cui al comma 1 sono, altresì, legittimati ad agire ai sensi degli articoli 4 e 4-
bis nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e
immediato le persone lese dalla discriminazione”; la legittimazione è pertanto configurabile quando
il comportamento discriminatorio sia collettivo e non siano individuabili in via immediata e diretta
le vittime della discriminazione.
Nella fattispecie in esame non sono individuabili i soggetti eventualmente pregiudicati dalla
previsione regolamentare oggetto di discussione, con conseguente ammissibilità del ricorso
presentato da ASGI e NAGA.
Dall’elenco prodotto dai ricorrenti (doc. 16), proveniente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri
e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, risulta inoltre che ASGI e NAGA sono
associazioni inserite nell’elenco di cui all’art. 5 D. L.vo 215/2003.
L’eccezione sollevata da parte convenuta non può pertanto essere accolta.
Deve dunque essere trattato il merito del procedimento.
Il concetto di discriminazione trova il suo principale fondamento giuridico negli artt. 43 D. L.vo
286/1998 e 2 D. L.vo 215/2003.
L’art. 43 co. 1 D. L.vo 286/1998 prevede che “Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione
ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione,
restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le
convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di
compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti
umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro
settore della vita pubblica”. L’origine nazionale – dunque la cittadinanza – è espressamente
contemplata tra i parametri sulla base dei quali valutare se una condotta possa o meno considerarsi
discriminatoria.
Tale previsione è conforme al dettato sia dell’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce anche agli
stranieri i diritti fondamentali dell’uomo, sia dell’art. 3 Cost., che sancisce il principio di pari
dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
L’art. 2 D. L.vo 215/2003, stabilendo il principio generale in base al quale “ai fini del presente
decreto, per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione
diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica”, fa espressamente salvo il disposto di
cui all’art. 43 co. 1 e 2 D. L.vo 286/1998, ivi compresa pertanto la nozione di nazionalità.
La definizione di discriminazione, come risultante dagli artt. 43 D. L.vo 286/1998 e 2 D. L.vo
215/2003 – nella parte in cui definiscono discriminatorio il comportamento che, direttamente o
indirettamente, abbia l’effetto (solo l’effetto e quindi non anche lo scopo) di vulnerare
(distruggendolo o compromettendolo) il godimento, in condizioni di parità, dei diritti umani – porta
a ritenere che l’imputazione della responsabilità non possa essere ancorata solo al tradizionale
criterio della colpa (in questo senso la giurisprudenza comunitaria e, in particolare, la sentenza della
Corte di Giustizia, 8.11.1990, Dekker c. StichtingVormingscentrumvoor Jong Volwas-senen Plus,
causa C-177/88, in Racc., 1990, p. 3941 e la giurisprudenza nazionale in tema di comportamento
antisindacale, Cass. 26.2.2004 n. 3917). Secondo la disposizione legislativa, infatti, costituisce
condotta discriminatoria anche quella che, pur senza essere animata da uno scopo di
discriminazione, produca comunque un effetto di ingiustificata pretermissione per motivi razziali,
etnici o di altro tipo.
L’art. 18 TFUE vieta inoltre ogni discriminazione fondata sulla nazionalità e l’art. 14 della CEDU
si riferisce, espressamente, all’origine nazionale; inoltre, la Corte Costituzionale, con sentenza
187/2010, ha fatto riferimento proprio all’art. 14 della CEDU per censurare la discriminazione dello
straniero con riferimento alle prestazioni sociali.
La protezione dalla discriminazione per motivi di nazionalità, pertanto, trova ampia tutela nel dato
normativo sia nazionale, sia sovranazionale, con riferimento all’ipotesi di diversità di trattamento,
in senso più svantaggioso, dello straniero quale effetto della sua appartenenza ad una nazionalità
diversa da quella italiana.
I ricorrenti deducono la natura discriminatoria delle disposizioni contenute negli artt. 8 co. 4 e 5,
17 co. 4 del Regolamento del Comune di Lodi, così come risultanti a seguito dell’approvazione
della delibera consiliare n. 28/2017.
Deve essere esaminato il quadro normativo complessivo di riferimento, avuto riguardo sia alle
norme di rango primario, sia a quelle di rango secondario.
L’art. 2 D. L.vo 286/98 prevede che “Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il
cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti
con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti
dalla legge”.
La norma pertanto:
– afferma il principio generale della parità di trattamento tra cittadino italiano e straniero nei
rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi;
– specifica che ciò deve avvenire nei limiti e nei modi previsti dalla legge;
– non prevede pertanto che la Pubblica Amministrazione abbia il potere di introdurre discipline in
deroga a quanto stabilito dalle norme di rango primario;
– il D. L.vo 286/98 definisce inoltre l’ambito di applicazione della disciplina sull’immigrazione
come rivolta “ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi, di seguito
indicati come stranieri”.
Il D.P.R. 445/2000 è il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa”. Si rileva in proposito che:
– tale definizione evidenzia la duplice natura del testo unico, contenente previsioni di natura sia
legislativa che regolamentare;
– per quanto interessa in questa sede, l’art. 3 – cioè la norma che disciplina a quali soggetti il testo
unico si applichi – è espressamente indicato con la lettera R e ha pertanto natura regolamentare.
Il D.P.C.M. 159/2013 è il “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione
e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”. Tale
decreto:
– nelle premesse indica “la necessità di definire … al fine di una migliore integrazione con le
modalità di determinazione dell’ISEE, anche le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei
controlli dell’ISEE”, da adottare – peraltro – con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche
Sociali; già in termini programmatici, dunque, le modalità con cui vengono eventualmente
determinati più penetranti sistemi di controllo sono di competenza ministeriale;
– individua le “Prestazioni sociali agevolate” quali “prestazioni sociali non destinate alla generalità
dei soggetti, ma limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica”;
– l’art. 2 co. 6 prevede che l’ISEE sia calcolato sulla base in primo luogo “delle informazioni
raccolte con il modello di DSU di cui all’articolo 10” e, inoltre, “delle altre informazioni
disponibili negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate”; tali sono, pertanto, le fonti sulle
quali si basa il calcolo dell’ISEE, che a sua volta è “lo strumento di valutazione, attraverso criteri
unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate” (art. 2
- 1);
– coerentemente, l’art. 11 co. 2 prevede che le informazioni necessarie per il calcolo dell’ISEE, non
ricomprese nell’elenco dei dati autodichiarati “e già presenti nel sistema informativo dell’anagrafe
tributaria” sono trasmesse dall’Agenzia delle Entrate all’INPS; il sistema di controllo, nel caso in
cui sorga la necessità di verifica in ordine alla veridicità delle autodichiarazioni, prevede un
meccanismo fondato su controlli che si basano sui dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate e
dell’INPS; tali dati – per quanto documentalmente risultante dagli atti di causa – non potrebbero
dunque avere ad oggetto l’eventuale disponibilità di immobili in sedi estere di difficile o
sostanzialmente impossibile verifica; ciò tanto per i cittadini italiani, quanto per quelli appartenenti
alla UE, quanto per gli altri; l’ulteriore potere di controllo attribuito dall’art. 11 co. 3 all’INPS, in
relazione a dati sui quali l’Agenzia delle Entrate non dispone di informazioni utili, è previsto “per i
dati autodichiarati” e non riguarda dunque situazioni quali quelle che potrebbero interessare in
questa sede; a conferma di quanto sopra esposto, l’art. 11 co. 4 prevede che “L’INPS determina
l’ISEE sulla base delle componenti autodichiarate dal dichiarante, degli elementi acquisiti
dall’Agenzia delle entrate e di quelli presenti nei propri archivi amministrativi”;
– la suindicata DSU (Dichiarazione sostitutiva unica) è regolata al successivo art. 10, che stabilisce
che essa è unica per il nucleo familiare del richiedente, contiene le informazioni necessarie per la
determinazione dell’ISEE ed è presentata ai sensi del D.P.R. 445/2000;
– il modello tipo di DSU è approvato con provvedimento del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali; non è prevista una possibilità di integrazione, tanto meno di deroga, da parte dei Comuni;
ciò in modo conforme a quanto indicato nelle premesse già richiamate, che indicano l’autorità (il
Ministero del Lavoro e delle politiche sociali) competente a definire il rafforzamento del sistema di
controllo;
– ai fini della presentazione della DSU sono autodichiarate dall’interessato (per quanto interessa in
questa sede) la composizione del nucleo familiare e varie componenti reddituali;
– l’art. 10 co. 9 prevede che l’elenco delle informazioni, necessarie per il calcolo dell’ISEE, di cui
si chiede l’autodichiarazione possa essere modificato e che possa essere integrato il modello tipo di
DSU, “anche in relazione alle esigenze di controllo dei dati autodichiarati”, con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e
di concerto con il Ministro dell’economia, sentiti l’INPS, l’Agenzia delle Entrate e il Garante per
la protezione dei dati personali; ogni modifica o integrazione al modello tipo di DSU, dunque, che
sia finalizzata al controllo dei dati autodichiarati, passa attraverso una procedura a livello statale e
non locale;
– l’art. 11 co. 6 attribuisce agli enti che erogano le prestazioni sociali agevolate il potere di eseguire
i controlli ritenuti necessari, diversi da quelli già indicati, avvalendosi degli archivi in proprio
possesso, ovvero utilizzando i poteri di cui all’art. 71 D.P.R. 445/2000 che, a sua volta, consente la
verifica della veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del medesimo decreto
“consultando direttamente gli archivi dell’amministrazione certificante ovvero richiedendo alla
medesima … conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei
registri da questa custoditi”; anche sotto questo profilo, nessun rilievo può avere questa previsione
al fine di introdurre un elemento di ragionevolezza nella distinzione tra cittadini italiani o della UE
e soggetti diversi, non potendo tali dati supplire alla carenza informativa in merito a eventuali
titolarità di immobili all’estero, in ipotesi non dichiarati dal singolo interessato.
A fronte di tale quadro normativo, deve essere esaminato il contenuto delle norme del
“Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali” del Comune di Lodi, con particolare
riferimento agli artt. 8 co. 4 e 8 co. 5, così come modificati dalla delibera n. 28/17 adottata dal
Consiglio Comunale.
L’art. 8 co. 4 stabilisce che “Ai fini dell’accoglimento della domanda finalizzata all’accesso agli
interventi ed ai servizi disciplinati dal presente Regolamento, vengono considerati anche i redditi
ed i beni immobili o mobili registrati disciplinati dall’art. 816 Codice civile, eventualmente
posseduti all’estero e non dichiarati in Italia ai sensi della vigente normativa fiscale nel tempo
vigente”; tale norma richiama in parte il contenuto delle disposizioni di cui al DPCM 159/2013,
prendendo in considerazione quali parametri per la valutazione del reddito utile per l’accesso alle
prestazioni agevolate anche i beni posseduti all’estero.
L’art. 4 co. 5 stabilisce che “Ai fini di quanto stabilito al precedente comma 4, contestualmente
alla presentazione della domanda finalizzata all’accesso agli interventi ed ai servizi disciplinati
dal presente Regolamento, i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea devono
produrre – anche in caso di assenza di redditi o beni immobili o mobili registrati – la
certificazione rilascia dalla competente autorità dello Stato esterno – corredata di traduzione in
italiano legalizzata dall’Autorità consolare italiana che ne attesti la conformità – resa in
conformità a quanto disposto dall’art. 3 del DPR n. 445/2000 e dall’art. 2 del DPR n. 394/1999 e
successive modifiche in integrazioni nel tempo vigenti. Con le medesime modalità deve essere
comprovata anche la composizione del nucleo familiare del richiedente”.
Deve essere valutata la compatibilità dell’art. 4 co. 5 con la normativa di riferimento
precedentemente richiamata. Si rileva in proposito che:
– la norma richiede che la certificazione rilasciata dalla competente autorità statale debba essere
resa in conformità a quanto disposto dall’art. 3 DPR n. 445/2000; esso prevede un differente
regime tra cittadini italiani e dell’Unione Europea da un lato e cittadini di Stati non appartenenti
all’Unione regolarmente soggiornanti in Italia dall’altro; questi ultimi, infatti, possono utilizzare le
dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del medesimo DPR “limitatamente agli stati, alle
qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani”; al di
fuori di tale ipotesi e di quella in cui vi sia una convenzione tra l’Italia e il Paese di provenienza
dell’interessato l’interessato, per attestare la sussistenza dei medesimi elementi, deve munirsi di
attestazione rilasciata “dalla competente Autorità dello Stato estero”;
– l’art. 3 DPR 445/2000, come già evidenziato, ha natura meramente regolamentare; non è pertanto
decisivo, sul punto, il fatto che la delibera consiliare richiami e faccia propria una indicazione già
fornita dal legislatore nazionale, posto che la natura della norma richiamata non è di rango
primario e come tale deve essere valutata;
– nulla aggiunge l’altra disposizione richiamata dall’art. 4 co. 5, cioè l’art. 2 D.P.R. 394/1999, sia
perché si limita a riprodurre sul punto quanto già statuito dall’art. 3 DPR 445/2000, sia perché si
tratta di mera disposizione regolamentare ed attuativa di quest’ultimo.
Il primo dato normativo che si ricava, pertanto, è che entrambi i principi ai quali si richiama la
delibera comunale 28/17 e, tramite la stessa, il Regolamento comunale, trovano la loro fonte nella
normativa di carattere secondario.
Deve pertanto essere valutato il rapporto tra norme di pari rango, cioè tra le previsioni di cui al
DPCM 159/2013 e al DPR 445/2000 (rispetto al quale il DPR 394/99 si pone come mero
strumento attuativo). A tale proposito si osserva che il DPCM 159/2013 ha ad oggetto la revisione
delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE; definisce specificamente le
prestazioni sociali agevolate e i criteri di accesso alle stesse. La sua disciplina è pertanto speciale
rispetto a quella del DPR 445/2000, che è più in generale dedicato a regolare la materia della
documentazione amministrativa. Si può pertanto concludere che il DPCM assume natura di
normativa speciale (oltre che cronologicamente successiva) rispetto a quella generale introdotta
con il DPR e, dunque, prevale rispetto ad essa nella disciplina della materia in questa sede in
esame.
Non è decisivo il fatto (messo in evidenza da parte convenuta) che l’art. 10 co. 1 DPCM 159/2013
contenga un espresso richiamo al DPR 445/2000; alla luce delle osservazioni già svolte e della
natura normativa speciale del DPCM il richiamo non può che essere inteso nel senso che le norme
del DPR, che involgono plurimi aspetti inerenti la materia della documentazione amministrativa,
siano applicabili in quanto compatibili con la normativa di settore.
L’altro profilo oggetto di valutazione è se il DPCM 159/2013 presenti o meno dei profili di
contrasto con norme di rango primario ed eventualmente con quali.
L’art. 2 D. L.vo 286/98, come già si è rilevato, riconosce allo straniero (inteso come cittadino di
Stato non appartenente all’Unione europea o apolide) parità di trattamento con il cittadino nei
rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi. Tale disposizione:
– è contenuta in un corpo normativo di rango primario;
– contiene un principio espressamente ritenuto come non derogabile da fonti diverse dalla legge;
– è specificamente dedicato alla tutela e alla regolamentazione della posizione del cittadino non
appartenente all’Unione Europea;
– esprime un principio (la parità di trattamento) disatteso dalla disciplina introdotta con la delibera
consiliare oggetto di discussione.
Il DPCM 159/2013 si pone in termini di continuità rispetto ai principi enunciati dal D. L.vo
286/98, posto che:
– la suindicata DSU (Dichiarazione sostitutiva unica) è unica per il nucleo familiare del richiedente
e contiene le informazioni necessarie per la determinazione dell’ISEE;
– si fonda su autodichiarazioni del richiedente;
– non contiene discipline differenziate tra cittadini appartenenti all’UE e altri soggetti.
Si deve pertanto tenere conto, da un lato, dell’esistenza di un principio di parità tra tutti i potenziali
interessati all’accesso alle prestazioni sociali agevolate, dall’altro della possibilità riservata
esclusivamente ad organi statali di meglio determinare le modalità di controllo sul reale possesso
da parte dei richiedenti dei requisiti per il godimento delle prestazioni stesse.
Il Comune di Lodi rileva che la riserva di legge contenuta del D. L.vo 286/1998 non può
considerarsi assoluta, richiamando a sostegno dell’assunto la disposizione di cui all’art. 7 L.
8.3.1999, n. 50 (“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi –
Legge di semplificazione 1998”). Sul punto si osserva che:
– la norma prevede che il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri, adotti il programma di riordino delle norme legislative e regolamentari che disciplinano
le fattispecie previste e le materie elencate, tra l’altro, “nell’articolo 16 delle disposizioni sulla
legge in generale, in riferimento all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286”;
– l’art. 2 co. 2 D. L.vo 286/98, richiamato dalla citata disposizione, stabilisce a sua volta che “Lo
straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile
attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia e il
presente testo unico dispongano diversamente. Nei casi in cui il presente testo unico o le
convenzioni internazionali prevedano la condizione di reciprocità, essa è accertata secondo i
criteri e le modalità previste dal regolamento di attuazione, salvo che le convenzioni
internazionali in vigore per l’Italia e il presente testo unico dispongano diversamente”;
– l’art. 7 L. 50/99 si limita pertanto a prevedere in generale il riordino di norme legislative e
regolamentari che disciplinano alcune materie specificamente elencate; tra esse vi è l’art. 16 delle
disposizioni sulla legge in generale, che dispone che “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti
civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi
speciali”; il richiamo di cui all’art. 7 L. 50/99 è inoltre espressamente riferito all’art. 16 delle
preleggi con riferimento all’art. 2 co. 2 D. L.vo 286/1998, che a sua volta ribadisce il principio
della parità tra cittadini italiani e non, limitandosi a richiamare l’eventuale diversa disciplina
applicabile nei casi in cui intervenga il principio di reciprocità, del tutto estraneo alla situazione
esaminata in questa sede;
– non è dunque intervenuta alcuna delegificazione nella materia sottoposta al presente giudizio nei
termini indicati da parte convenuta.
Dall’analisi normativa che precede, dunque, può evincersi come non esistano principi ricavabili da
norme di rango primario che consentano al Comune di introdurre, attraverso lo strumento del
Regolamento, diverse modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate, con particolare
riferimento alla previsione di specifiche e più gravose procedure poste a carico dei cittadini di Stati
non appartenenti all’Unione Europea, così come indicate all’art. 8 co. 5 del “Regolamento per
l’accesso alle prestazioni sociali agevolate” nella versione introdotta con la delibera consiliare n.
28/2017.
Tale previsione è specificamente riferita solo ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione
europea e impone agli stessi di produrre “la certificazione rilasciata dalla competente autorità
dello Stato esterno”, non essendo sufficiente l’autocertificazione. Si tratta pertanto di
discriminazione diretta, essendo trattati diversamente soggetti nelle medesime condizioni di
partenza e aspiranti alla stessa prestazione sociale agevolata.
Non si versa nell’ipotesi di discriminazione indiretta, ricorrente quando una disposizione, un
criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono porre
alcuni soggetti in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altri. Non vi è nel caso di
specie una disposizione apparentemente di contenuto neutro, che in realtà determina condizioni
particolarmente gravose per alcuni soggetti, ma una diretta imposizione di uno specifico
adempimento aggiuntivo – dunque una oggettiva disparità di trattamento – ad alcuni soggetti
rispetto ad altri.
È significativo inoltre richiamare brevemente il contenuto di parte della sentenza della Corte
Costituzionale n. 166/2018, nei termini che seguono:
– essa affronta il diverso argomento della concessione di contributi integrativi per il pagamento dei
canoni di locazione, da erogarsi a soggetti che si trovino in una situazione di indigenza qualificata,
nonché dei criteri scelti per individuare i requisiti minimi necessari per ottenere tale beneficio;
– tali criteri, inizialmente fondati su base reddituale, sono stati successivamente integrati con il
D.L. 112/2008, poi convertito nella L. 133/2008, con la previsione di ulteriori requisiti – richiesti
soltanto ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi – attinenti alla
durata della residenza nel territorio nazionale e di quella nel territorio di una regione;
– per quanto interessa in questa sede, la Corte ha osservato che “il legislatore può legittimamente
circoscrivere la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali in ragione della limitatezza delle
risorse destinate al loro finanziamento (sentenza n. 133 del 2013). Tuttavia, la scelta legislativa
non è esente da vincoli di ordine costituzionale”;
– tra essi vi è il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; la Corte osserva che “tale
principio può ritenersi rispettato solo qualora esista una «causa normativa» della
differenziazione, che sia «giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è
subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il
riconoscimento e ne definiscono la ratio» (sentenza n. 107 del 2018)”; il concetto viene
ulteriormente precisato, stabilendo che “occorre pur sempre che sussista una ragionevole
correlazione tra la richiesta e le situazioni di bisogno o di disagio, in vista delle quali le singole
prestazioni sono state previste”;
– si deve in primo luogo rilevare come i principi esposti dalla Corte Costituzionale si risolvano in
limitazioni già all’esplicazione della potestà legislativa, prima ancora di quella attuativa
eventualmente svolta dai Ministeri competenti per materia; di ciò si deve tenere conto, atteso che
nella fattispecie in esame le limitazioni vengono imposte non dal legislatore, non da un organo
statale, ma da un Comune;
– in ogni caso, il principio di ragionevolezza richiamato dalla Corte impone di ancorare a un
canone di necessaria correlazione gli adempimenti richiesti a chi aspira a fruire di una prestazione
sociale agevolata e le situazioni di bisogno per le quali le prestazioni sono previste;
– sotto tale aspetto, difetta nel caso di specie qualunque elemento che consenta di individuare una
ragionevole differenziazione tra la posizione di chi appartiene e quella di chi non appartiene
all’Unione Europea; l’immobile eventualmente posseduto all’estero e non dichiarato in Italia pone
sullo stesso piano le due categorie di soggetti considerati, con riferimento – come precedentemente
esposto – sia alle fonti utilizzabili per gli accertamenti espressamente indicate nel DPCM
159/2013, sia alla concreta possibilità di avvalersi di diverse forme di accertamento all’estero,
analoghe per ogni soggetto.
Non sono inoltre dirimenti la previsione di cui all’art. 8 co. 6 del Regolamento e le Linee Guida
approvate dal Comune in data 17.10.2018.
L’art. 8 co. 6 (introdotto dalla delibera consiliare n. 28/2017) stabilisce che la certificazione
rilasciata dallo Stato estero non è richiesta in alcune situazioni di particolare gravità, in particolare
quella di chi ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, quella in cui vi sia una diversa
previsione sulla base di una convenzione internazionale, quella in cui sia “oggettivamente
impossibile acquisire le certificazioni indicate al precedente comma 5”. Con riferimento a tale
condizione, “il Comune predisporrà l’elenco dei Paesi dove non è possibile acquisire la
documentazione necessaria per la compilazione della dichiarazione sostitutiva unica”.
Con le Linee Guida per la corretta applicazione dell’art. 8 (doc. 5 di parte convenuta) di data
17.10.2018 il Comune ha esteso il regime di favore previsto per i rifugiati anche a tutti coloro che
provengano da paesi in stato di belligeranza.
In proposito si rileva che:
– fatta eccezione per il caso del soggetto che ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato,
tutte le altre previsioni sono caratterizzate da indeterminatezza;
– non si specifica quali previsioni contenute in convenzioni internazionali (e quali convenzioni)
dovrebbero consentire al singolo interessato di accedere a un regime più favorevole;
– non si indica secondo quali criteri – e sulla base di una valutazione operata da chi – dovrebbe
risultare “oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni”; il criterio della oggettività
postula il richiamo a parametri chiari e predeterminati, che sono invece del tutto assenti nella
previsione regolamentare;
– analoghe considerazioni valgono per l’individuazione dei Paesi “in stato di belligeranza”,
richiamati dal punto 1 lett. f) delle Linee Guida;
– si tratta in ogni caso di previsioni tese a limitare, ma non a eliminare, gli effetti di un
provvedimento che introduce una disparità di trattamento emesso da un’autorità che non ha il
potere di assumere decisioni in proposito (dunque nemmeno di stabilire in che termini i loro effetti
possano essere temperati) e che non risponde a canoni di ragionevolezza, per le ragioni già
indicate.
Non è condivisibile l’assunto del Comune, secondo cui vi è carenza di interesse ad agire delle
associazioni ricorrenti, non essendo stata fornita la dimostrazione della mancata erogazione di
prestazioni sociali agevolate in conseguenza delle previsioni regolamentari oggetto di discussione.
Si rileva in proposito che le associazioni – che sono legittimate a tutelare le posizioni di soggetti
non necessariamente individuati nominativamente – si rendono portatrici dell’interesse
all’ottenimento di uno specifico provvedimento giurisdizionale (prescindendo dunque dal
perseguimento dell’interesse concreto alla definizione della posizione del singolo eventualmente
interessato), provvedimento che trova la sua ragion d’essere nell’eliminazione degli effetti di una
disposizione a contenuto immediatamente precettivo nei confronti della generalità dei potenziali
destinatari.
L’interesse ad agire sussiste con riferimento all’immediata operatività e vincolatività del
provvedimento oggetto di discussione, indipendentemente dai suoi riflessi sulla posizione del
singolo.
Affermata la natura discriminatoria della previsione contenuta nel Regolamento comunale,
introdotta dalla delibera consiliare n. 28/17, deve essere affrontato il tema relativo al
provvedimento che ne consegue.
I ricorrenti chiedono in via principale l’emissione dell’ordine di modifica del Regolamento e di
quello di riesame delle domande già presentate da cittadini stranieri e respinte per carenza di
motivazione sul punto oggetto di discussione in questa sede.
Si rileva in proposito che nessun provvedimento può essere assunto con riferimento al riesame di
eventuali domande già rigettate dal Comune, non essendo stato documentato nulla sul punto da
parte dei ricorrenti e non essendovi un concreto riscontro in ordine al fatto che la motivazione di
eventuali dinieghi di accesso a prestazioni sociali agevolate sia attinente all’assenza della
documentazione richiesta con il nuovo art. 8 co. 5 del Regolamento.
Deve invece essere ordinato all’Amministrazione comunale di modificare il predetto Regolamento
in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’UE di presentare la domanda di accesso a
prestazioni sociali agevolate mediante la presentazione dell’ISEE alle stesse condizioni previste
per i cittadini italiani e UE in generale.
I ricorrenti chiedono infine di ordinare all’Amministrazione convenuta di dare adeguata pubblicità
alla decisione giudiziale mediante la sua pubblicazione sulla home page del sito del Comune
nonché, al fine di informare gli interessati ed evitare il reiterarsi della discriminazione, su un
quotidiano locale. La misura richiesta, però, da un lato non è espressamente prevista (con
riferimento a entrambe le richieste avanzate) nei termini indicati, dall’altro non è proporzionata al
provvedimento concretamente emesso, che già impone al Comune di adottare tutti gli adempimenti
necessari per regolarizzare le modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate.
Dalle considerazioni che precedono, che assorbono gli ulteriori profili dedotti in giudizio dalle
parti, deriva l’accoglimento del ricorso proposto da ASGI e NAGA.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa:
1) Accerta la condotta discriminatoria del Comune di Lodi consistente nella modifica del
“Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate” con la delibera del Consiglio
Comunale n. 28/2017, con riferimento all’introduzione delle previsioni di cui agli artt. 8 co.
5, 17 co. 4, nella parte in cui stabiliscono:
– che i cittadini non appartenenti all’Unione Europea, per accedere a prestazioni sociali
agevolate, debbano produrre la certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato
esterno, corredata di traduzione in italiano legalizzata dall’Autorità consolare italiana che ne
attesti la conformità, resa in conformità a quanto disposto dall’art. 3 DPR 445/2000 e
dall’art. 2 DPR 394/1999,
– che con le medesime modalità debba essere comprovata anche la composizione del nucleo
familiare del richiedente,
– che la dichiarazione sostitutiva unica (DSU) ai fini ISEE di cui al DPCM 159/2013 debba
essere resa in conformità a quanto disposto dall’art. 3 DPR 445/2000 e dall’art. 2 DPR
394/1999.
2) Ordina al Comune di Lodi di modificare il predetto “Regolamento per l’accesso alle
prestazioni sociali agevolate” in modo da consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione
Europea di presentare la domanda di accesso a prestazioni sociali agevolate mediante la
presentazione dell’ISEE alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e dell’Unione
Europea in generale.
3) Condanna il Comune di Lodi alla rifusione delle spese processuali in favore di ASGI –
Associazione degli Studi Giuridici sull’Immigrazione e NAGA – Associazione Volontaria di
assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti, liquidate in €
5.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del
15%; IVA e CPA come per legge; spese da distrarsi in favore degli Avv.ti Alberto Guariso e
Livio Neri, dichiaratisi antistatari.
Si comunichi.
Milano li 12/12/2018
Il Giudice
Dott. Nicola Di Plotti