Offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, titolo giornalistico, assoluzione perché il fatto non sussiste,Tribunale Ordinario di Milano, sezione penale, sentenza 18 dicembre 2017

Tribunale Ordinario di Milano
SEZIONE 7° PENALE

Dott.ssa in composizione monocratica
dott.ssa Anna Calabi — Giudice
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa penale contro
*** *** IMPUTATO
Del delitto di cui agli artt. 403 c.p. e 3, comma l L. 205/ 1993, perché, pubblicando sulla prima pagina del quotidiano “Libero” del 14 novembre 2015 un articolo recante il titolo ” Bastardi Islamici'” riferito ai fatti accaduti a Parigi il 13 novembre 2015, offendeva pubblicamente la confessione religiosa dell’lslam, mediante vilipendio di coloro che la professano. Fatto aggravato perché commesso per finalità di discriminazione e di odio
religioso.
In Milano, il 14 novembre 2015.
Conclusioni P.M.: chiede che l’imputato sia condannato a la pena di euro 8.300,00 di
multa, previa applicazione dell’aumento per la recidiva.
Conclusioni parte civile: deposita conclusioni scritte e nota spese.
Conclusioni responsabile civile: deposita conclusioni scritte per entrambe le posizioni.
Conclusioni difesa: chiede che l’imputato sia assolto perché il fatto non sussiste; in subordine, chiede l’assoluzione perché il fanno non costituisce reato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con decreto di citazione diretta a giudizio ex art. 552 c.p.p. emesso il 23.05.2016, *** *** è stato chiamato a rispondere del reato di cui agli artt. 403 c.p. e 3, comma l, della L.205/1993 per pubblica offesa alla confessione religiosa dell’lslam mediante vilipendio di coloro che la professano, fatto aggravato poiché commesso per finalità di
discriminazione e odio razziale.
Occorre dapprima illustrare sinteticamente l’iter processuale al fine di consentire di affrontare successivamente, in maniera più completa, la trattazione dei fatti e delle motivazioni di diritto. L’odierno procedimento tra origine dalla pubblicazione sul quotidiano “Libero” del 14 novembre 2015 dell’articolo titolato “Bastardi lslamici”.
All’udienza del 13 marzo 2017, in sede predibattimentale, venivano avanzate numerose richieste di costituzione di parte civile, sulle quali le parti si riservavano di interloquire, chiedendo che l’udienza fosse rinviata. Il Tribunale acconsentiva alla richiesta e fissava la successiva udienza in data 15 maggio 2017.

In tale frangente, il Tribunale, a scioglimento della riserva, ammetteva unicamente la costituzione di parte civile
presentata dal CAIM – Coordinamento delle Associazioni lslamiche di Milano Monza e Brianza – ritenuta la legittimazione e l’interesse a costituirsi di tale ente esponenziale valutata alla stregua della specificità delle finalità statutarie e del perseguimento dei beni giuridici asseritamente lesi dal reato per cui si procede. Per contro, il giudice rigettava le restanti richieste di costituzione (ordinanza del 15.05.2017 agli atti).
L’avv. ***, difensore della parte civile CAIM, avanzava istanza dì citazione in giudizio
del responsabile civile Editoriale Libero S.r.l. e Società Finanziaria Tosinvest S.p.A. L’avv. ***, a difesa
dell’imputato, chiedeva il rigetto della citazione della Finanziaria Tosinvent, rimettendosi con riferimento
all’Editoriale Libero S.r.l.
In data 5 giugno 2017, il Tribunale citava i predetti responsabili civili, come da decreto
letto in udienza.
All’udienza del 17 luglio 2017 l’avv. ***, difensore del responsabile civile Finanziaria Tosinvest S.p.A.,
depositava richiesta di esclusione del responsabile civile Società Editoriale Libero S.r.l.
Il 24 luglio 2017, esaminate le note depositate dalle parti in merito alla richiesta di esclusione del responsabile civile, affermava la sussistenza dei presupposti per mantenere la posizione della Società Finanziaria Tosinvest S.p.A nel processo, alla luce della previsione ex art. 11 legge 47/1948, e pertanto rigettava la predetta richiesta.
Veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie. Le difese dell’imputato e dei responsabili civili chiedevano il rigetto della lista testi di parte civile poiché intempestiva e sovrabbondante. Sul punto, il Tribunale, rilevava che dal verbale del 13.03.2017 risultava che vi erano richieste di costituzione diparte civile sulle quali la difesa ed il P.M. avevano chiesto di interloquire e tale richiesta
induceva a ritenere che la lista testi non fosse stata depositata tempestivamente.
L’indicazione a verbale ” fatti salvi i diritti di prima udienza”, inoltre, non poteva essere riferita alla possibilità di prorogare il termine per il deposito della lista testi e, in considerazione di ciò, rigettava la lista testi presentata dalla parte civile.
Il P.M. e il difensore della parte civile si opponevano all’ammissione dei testimoni indicati ai punti 14) e 15) della lista della difesa dell’imputato, quali consulenti tecnici ex art. 220 c.p.p.; non si opponeva, per contro, alla loro ammissione in qualità di testimoni, a condizione che la loro escussione vertesse su circostanze precise e concrete. Il giudice, a fronte di tale istanza, osservava che i suddetti consulenti non avrebbero apportato
alcuna informazione tecnica utile, prevista ai sensi dell’art. 220 c.p.p. Di conseguenza,
accoglieva le richieste del P.M. e della difesa di parte civile.
La difesa dell’imputato ha prodotto un cospicuo numero di documenti, in particolare estratti da dizionari relativi alle voci “bastardo”, “lslam”, “islamico” e “islamismo”; estratti relativi all’uso e al significato degli aggettivi qualificativi e degli aggettivi di relazione, relativi alla posizione dell’aggettivo; estratto dal sito internet www.accademiadellacrusca.it riguardante la risposta al quesito sull’uso da parte dei media della parola “islamista” in luogo di “islamico”; copia dell’articolo pubblicato il 9.4.2007 sul sito internet “Girodivite”, intitolato “Dizionario Ragionato sulla civiltà arabica e islamica. Capire per capire e farsi capire … “; copie di articoli pubblicati su
testate giornalistiche titolati in modo affine a quello in oggetto; copia dell’articolo pubblicato in data 15.11.2015 sulla prima pagina della testata giornalistica “Libero” intitolato “Bersaglio Libero” a firma dell’odierno imputato; lettere di solidarietà inviate a *** *** a seguito delle polemiche relative alla pubblicazione del titolo “Bastardi lslamici”, apparse sull’edizione di “Libero” del 16.11.2015; copia dell’articolo pubblicato in data 1.3.2017 sulla testata giornalistica “Il Fatto Quotidiano”, intitolato “Istigazione all’odio razziale: Belpietro a processo (da solo)” a firma di Pietrangelo Buttafuoco; copia dell’articolo pubblicato il 4.3.2017 sulla testata giornalistica “Il Fatto Quotidiano”, intitolato “Un ‘titolaccio’ che non merita una condanna” a firma di Giovanni Valentini; estratto del libro “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” di Piergiorgio Odifredi; copia di copertine ed articoli pubblicati dal 1981 contenenti epiteti ed espressioni indirizzati a confessioni religiose e ai rappresentanti delle medesime; copia della copertina del libro intitolato ” l bastardi di Pizzofalcone” di Maurizio De
Giovanni, edito da Giulio Einaudi Editore S.p.A.
Venivano acquisiti, inoltre, i documenti prodotti dal difensore della parte civile, consistenti in una serie cospicua di titoli estratti dal quotidiano “Libero” attestanti l’uso del termine “islamico” in funzione di sostantivo; estratti del dizionario on line de “Il corriere della sera” e della “Treccani” afferenti la voce “bastardo”; estratto on line del sito
dell’Accademia della Crusca relativo alle regole sulla posizione degli aggettivi qualificativi nella lingua italiana; copia della prima pagina del “Corriere della Sera” dell’ll settembre 2001.
Nel corso dell’udienza del 2.10.2017 si procedeva all’escussione dei testi richiesti dal P.M. *** ***. ***, coordinatore del CAIM, ha fornito un inquadramento dell’organizzazione citata. Il CAIM, coordinamento delle realtà islamiche che insistono sul territorio di Milano, Monza Brianza e provincia, svolge varie attività di sostegno e supporto
nell’attività delle ventisei associazioni aderenti, nonché un lavoro di consulenza dal punto di vista fiscale, giuridico, amministrativo ed edilizio. Fungeva, inoltre, da rappresentante degli enti aderenti nei confronti delle istituzioni e nelle relazioni con i terzi. La sua peculiare finalità consisteva nel favorire l’integrazione della comunità musulmana sul territorio italiano, nel perseguire un obiettivo di formazione civica dei cittadini di fede islamica, nel contribuire al loro pieno inserimento nel tessuto sociale.
L’attività svolta da CAIM coinvolgeva l’area territoriale di Milano, Monza Brianza e provincia, divenendo un punto di riferimento nazionale per la comunità musulmana, essendo Milano la città maggiormente rappresentativa in Italia per quanto concerne i cittadini musulmani (circa 180 mila). In Lombardia si contano circa 400 mila musulmani, 1’80 per cento dei quali riconosceva nel CAIM un punto di riferimento.
A fronte dell’attentato di Parigi, la reazione collettiva manifestata dalla comunità Musulmana era di disgusto, di dispiacere, di orrore, di condanna univoca nei confronti di simili azioni. Egli rimarcava come gli attentati terroristici non trovassero alcuna giustificazione nella religione musulmana, aggiungendo che la predetta associazione si era incaricata di organizzare plurime manifestazioni volte alla sensibilizzazione dei cittadini al riguardo ed interventi di dissociazione dagli attacchi terroristici; precisava che non si trattava di una percezione personale, bensì di una sensibilità diffusa. Durante i sermoni, ossia nel momento di massimo raccoglimento e di massima confluenza degli aderenti alla comunità musulmana, si ravvisava una condanna unanime da parte dei
fedeli nei confronti dei terroristi ed una sensazione di affaticamento da parte dei fedeli islamici, che si vedevano additati alla stregua di terroristi.
Dopo la pubblicazione del titolo ” Bastardi lslamici” su “Libero”, gli aderenti al CAIM
manifestavano sdegno, lui in prima persona si sentiva ferito, offeso dall’accostamento dell’attributo “bastardo”
alla propria appartenenza religiosa: “il termine bastardo è un termine offensivo, in qualsiasi contesto lo si voglia usare, è un termine che accostato a un aggettivo che descrive parte della mia personalità, lo ritengo particolarmente offensivo”. Aggiungeva che quel tipo di linguaggio era atto a provocare un pericoloso accostamento del termine bastardo ai cittadini di fede musulmana. Leggendo il titolo dell’articolo in questione, il teste escludeva
automaticamente che lo stesso potesse riferirsi esclusivamente agli autori dell’attentato, avendo la chiara percezione, estensibile alla generalità dei fedeli, che si trattasse di un attacco specificamente rivolto a tutti i musulmani. Ribadiva che tale sentore era assolutamente condiviso nell’ambito della comunità.
l rappresentanti del CAIM non organizzavano iniziative o manifestazioni che potessero pubblicizzare ulteriormente il giornale, preferendo agire per via legale.
Controesame parte civile: il CAIM stava istituendo un osservatorio contro l’islamofobia, dal momento che la terminologia utilizzata dall’articolo dava adito ad un fenomeno di ritorsione e di disprezzo nei confronti della comunità musulmana. Il giorno in cui veniva pubblicato tale articolo il teste entrava all’interno di un bar ove, a suo dire, tutti parlavano male dei musulmani, manifestando consensi nei confronti delle idee espresse
dal giornale.
Dopo la pubblicazione di tale articolo, notava nell’ambito della comunità territoriale una sorta di recrudescenza e un clima di tensione; alcuni appartenenti alla comunità segnalavano violenze verbali e una
certa aggressività nel contesto sociale, a fronte della quale sorgeva un senso di frustrazione nella comunità,
che si sentiva bersaglio degli attacchi mossi dalla cittadinanza.
Il teste *** ***, aderente all’associazione dei Giovani Musulmani di Ferrara, che svolgeva attività volta a favorire l’integrazione degli immigrati islamici, organizzava corsi di lingua italiana, araba e promuoveva varie iniziative contro il razzismo.
Reazione agli attentati che hanno immediatamente preceduto l’articolo in parola: si sentiva moralmente offeso dagli attentati rivendicati dall’lsis, ripudiati dallo stesso e assolutamente interdetti dalla religione da lui professata. Sosteneva si trattasse di un sentire diffuso, condiviso, a suo dire, dalla comunità. Si sentiva offeso dal titolo in
questione, lo percepiva come un insulto mosso contro di lui e contro tutti i fedeli musulmani, non ha mai sospettato che fosse riferito esclusivamente ai terroristi.
Un suo ex collega di università, il giorno successivo all’attentato de quo, gli domandava come mai avessero commesso l’attentato, incolpava lui e i musulmani in genere dell’accaduto, gli palesava l’articolo di “Libero” intitolato “Bastardi lslamici”. Poteva dire “bastardi terroristi, bastardi jihadisti”, se avesse intitolato così la pubblicazione allora poteva intendersi come chiaramente riferito ai terroristi.
*** ***, consulente direzionale a livello internazionale, ha lavorato nel contesto sindacale fino al 2006 referente CISL a livello provinciale, successivamente ha costituito una società cooperativa che si occupa di integrazione dei musulmani all’interno della società.
In collaborazione con le Istituzioni ottenevano a Pordenone la realizzazione di un luogo di culto destinato alla comunità lslamica. Conservava tale incarico, essendo uno dei referenti a livello provinciale.
Sosteneva che la comunità musulmana, a livello nazionale, assumeva una posizione di totale condanna nei confronti del terrorismo. Ne era personalmente convinto e riteneva che tale sentire fosse diffuso, dato che a Pordenone venivano continuamente pubblicate segnalazioni da parte della comunità dei fedeli di ripudio nei confronti di qualsiasi forma di terrorismo. A Pordenone si stimava una comunità rappresentata da circa 2000-
3000 fedeli musulmani. Si sentiva personalmente offeso, onde stabiliva di sporgere querela nei confronti del giornale “Libero”, anche a seguito di manifestazioni islamofobiche da lui stesso percepite nella cittadinanza: “mi si fermava e mi si diceva: *** come mai condividete questa cosa?”. Sottolineava come, in un contesto alquanto
turbolento e in un clima di tensione generato da attacchi rivendicati in nome di una religione che abbraccia miliardi di persone, un’affermazione di tale sorta non poteva che incrementare quella tensione, con il rischio di propagandare una pericolosa associazione jihadisti- musulmani della quale il tessuto sociale era già intriso.
L’accostamento del termine “bastardo” alla parola “islamico” non rimanda automaticamente al soggetto terrorista, seppure verosimilmente riferibile a quest’ultimo data la pubblicazione immediatamente susseguente l’attacco di Parigi. Una interpretazione letterale del titolo, fedele al dato testuale, porta a credere che con quell’attributo si qualifichi la generalità dei fedeli islamici, ed è questo il primo significato che il titolo acquista, la lettura che più rileva, che induce a giustificare il sentimento di offesa sentito dalla comunità. Il teste continuava esponendo che tale titolo non aiuta, in un momento delicato in cui i terroristi commettono atti disumani in nome della religione islamica, che di fatto non ha nulla a che vedere con tali crimini; questa circostanza chiaramente influisce sull’attuale stato delle cose, promuovendo quella rischiosa assimilazione degli islamici ai terroristi. A maggior ragione, in un Paese caratterizzato da una percentuale di persone che non godono di livelli culturali tali da consentire un’adeguata comprensione di fenomeni talmente complessi e delicati, né lo sviluppo di un pensiero critico e indipendente.
Riferiva di aver ricevuto in prima persona degli affronti di stampo xenofobo, rivolti con frasi del tipo “andatevene a casa vostra voi che avete fatto il terrorismo a Parigi, lo dice anche “Libero”, bastardi gli lslamici!”, confermando dunque l’idea che quell’accostamento dei Musulmani ai terroristi fosse stato in qualche modo incalzato dal giornale diretto da ***.
In data 6.11.2017 veniva escusso il teste del P.M. ***, Presidente, all’epoca dei fatti di cui è processo ed attualmente, dell’Associazione Movimento degli Africani, costituita nel 2005 con l’intento di radunare tutte le associazioni africane presenti sul territorio al fine di promuoverne la cultura e l’integrazione. Secondo quanto riferito dal teste, fra gli aderenti a tale Associazione vi sono atei, cristiani e prevalentemente musulmani. Egli
affermava di essere stato profondamente toccato, nella sua qualità di  musulmano praticante, dalle parole del direttore del giornale. A seguito della pubblicazione dell’articolo, era stata indetta una riunione fra gli appartenenti
all’Associazione, nell’ambito della quale, accertata l’impossibilità di individuare una spiegazione dello stesso che non apparisse riferita alla generalità degli islamici, si era deciso a maggioranza di procedere per vie legali nei confronti del giornalista, ritenendosi il contenuto di quanto pubblicato offensivo nonché passibile di suscitare reazioni islamofobe.
All’udienza del 4.12.2017, *** ***, capo redattore centrale presso l’editoriale “Libero”, dichiarava che all’epoca svolgeva un lavoro di coordinamento dei servizi giornalistici della testata. Ricordava che la sera degli attentati di Parigi stavano correggendo le ultime bozze allorché giungevano in redazione le prime notizie; provvedevano ad avvisare e convocare i membri della redazione, molti dei quali erano già usciti dagli uffici. Si teneva
una riunione d’urgenza nel corso della quale la prima pagina del giornale veniva reimpostata, dedicata ai drammatici fatti di Parigi, unitamente a due pagine interne. Con particolare riferimento al titolo in questione, si era discusso per giungere ad una formula che potesse efficacemente riassumere quanto era appena accaduto. L’espressione “Bastardi islamici” rappresentava una delle prime idee proposte e aveva trovato
unanime consenso. Con tale titolo, i redattori avevano voluto descrivere gli attentati di Parigi di quella sera.
*** *** nel 2015 lavorava come vice capo servizio alla cronaca nazione per il quotidiano ” Libero” . In merito alla impaginazione del 14 novembre 2015, ricordava che all’ora in cui si collocano i fatti di Parigi l’editoriale era già stato completato. All’arrivo delle prime notizie, si trovava in redazione unitamente al collega Mottola. Avevano telefonato al vice direttore *** *** e ad altri colleghi che avevano già lasciato la sede del giornale; alloro
arrivo, avevano lavorato alle modifiche dell’impaginazione. Il *** si era occupato di preparare le pagine interne del giornale, dedicate esclusivamente agli attentati. Non aveva, invece, partecipato alla impaginazione della prima pagina e, pertanto, neppure alla redazione del titolo “Bastardi islamici”. Quella sera, il lavoro era stato svolto in modo piuttosto concitato e convulso.
Il teste *** *** nel 2015 lavorava presso il quotidiano “Libero” in qualità di vice direttore vicario del giornale. Aveva collaborato alla redazione del titolo per cui si procede e descriveva il contesto nel quale era stato elaborato: la sera del 13.11.2015, verso le ore 10.30, l’edizione era già in stampa e il teste aveva lasciato la redazione quando riceveva
una telefonata del capo redattore centrale, il quale lo avvertiva degli attentati di Parigi.
Contattava il direttore (*** ***} ed entrambi tornavano in redazione. Appresa la gravità dell’accaduto, si mettevano subito a lavoro, avendo solo un’ora per completare la nuova edizione. Il direttore si occupava dell’articolo principale, mentre *** coordinava i colleghi nella predisposizione delle pagine interne, per poi dedicarsi anch’esso alla prima pagina.
Con il titolo “Bastardi islamici” intendevano esprimere disprezzo esclusivamente nei confronti degli autori degli attentati. Nel corso di quella serata, all’interno della redazione, giungevano in continuazione aggiornamenti drammatici, l’incremento del numero delle vittime o dei feriti e dettagli sulla vicenda; tra i colleghi riecheggiava, in
particolare, l’affermazione: “Ma che bastardi … “, riferito ovviamente ai colpevoli di quella strage. Il teste rilevava come si trattasse di soggetti che si faceva fatica a definire; avevano deciso di utilizzare un’espressione di forte impatto, in grado di colpire i lettori. Avevano brevemente discusso per la scelta di un titolo. Non avevano mai preso in considerazione l’eventualità che potesse essere intesa come riferita alla generalità degli islamici. Una interpretazione simile, a suo dire, non sarebbe apparsa in linea don i dettami della sintassi italiana, in forza della quale, nella espressione “Bastardi islamici”, “bastardi” è il sostantivo e “islamici” un aggettivo.
Di fronte alla polemica che il giorno seguente si era scatenata sul titolo in parola il teste
era rimasto profondamente colpito.
*** era presidente dell’associazione delle vittime di violenza marocchine e musulmane, denominata “ACMID Donna”. L’associazione si occupava di assistere donne analfabete, di costituirsi parte civile a tutela di donne musulmane e marocchine vittime di violenza; la testimone aveva, altresì, i presupposti richiesti per ottenere la qualifica di Imam e era stata membro della consulta per l’lslam italiano nell’arco di tre legislature. Aveva, inoltre
In merito al titolo in questione, la *** dichiarava di non essersi sentita offesa dal medesimo. Aveva, inoltre, svolto attività politica nell’ambito del partito fondato da Gianfranco Fini.
La *** dichiarava che la formula ” Bastardi islamici” andava contestualizzata e interpretata come riferita esclusivamente ai terroristi che avevano agito a Parigi il 13 novembre 2015. Anche nella comunità da lei rappresentata non aveva registrato alcuna reazione di offesa o di frustrazione in relazione alla scelta del titolo citato.
Nel corso dell’udienza del 6 novembre 2017 l’imputato *** *** si sottoponeva ad esame.
Egli innanzitutto riferiva in merito all’antefatto di ciò per cui oggi è processo. La sera del 13 novembre 2015 vi erano stati una serie di attentati a Parigi iniziati all’incirca alle ore 21:00. ***, che aveva già lasciato la redazione del quotidiano, veniva contatto dal vicedirettore vicario *** ***, il quale gli comunicava le prime notizie in merito agli
attacchi terroristici. Pertanto, il direttore ritornava rapidamente in direzione, in modo tale da modificare l’edizione del quotidiano in uscita il mattino seguente. L’imputato si dedicava a scrivere l’editoriale, mentre i colleghi si occupavano di confezionare le pagine concernenti gli eventi accaduti nella capitale francese. Concluso l’editoriale, occorreva individuare un titolo che, a fronte della gravità dei fatti accaduti, fosse in grado di colpire
e di rappresentare ciò che stesse accadendo. Sulla base di un’idea di un collega, cui l’imputato aderiva, la scelta del titolo veniva mutuata da quella adottata dal direttore del “San Francisco Examiner” David Burgin in occasione dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, commentando il quale il giornalista aveva titolato
“Bastards!”.
Egli esponeva, inoltre, come l’eventualità che il titolo in esame potesse essere inteso in senso espansivo, come riferito alla collettività dei fedeli non era stato oggetto di discussione. Risultava chiaro, in forza della collocazione, che l’epiteto “bastardi” era palesemente rivolto agli autori degli attentati, in quanto il termine risultava impiegato
come sostantivo, mentre la parola “islamici” era utilizzata in funzione di aggettivo di relazione, tesa a specificare l’epiteto de quo. Aggiungeva che, stando al dizionario italiano, il vocabolo “islamici”, in prima battuta, assume la valenza di attributo e non, invece, quella di sostantivo. Inoltre, l’imputato dichiarava che il reale significato
dell’espressione andava rintracciato nel senso letterale della stessa: con il termine “bastardi” si faceva riferimento a soggetti “figli illegittimi dell’lslam”. Riferiva di aver inteso formulare così il titolo citato per manifestare il disprezzo e lo sdegno nei confronti dei terroristi, di <<qualcuno che uccide o sangue freddo». Sosteneva che, anche a posteriori, l’insulto non potesse dare luogo ad equivoci ed intendersi riferito alla generalità dei
fedeli: alla luce delle regole della lingua italiana, il sostantivo in genere precede l’aggettivo di relazione e, nell’ipotesi in cui si adoperi un aggettivo derivato quale “islamico” – la regola in parola si applica in modo ancor più
rigoroso. Sul punto, ribadiva che la sintassi italiana è chiara e conduce ad un’interpretazione univoca. Inoltre, sottolineava come nessuno dei fedeli che avevano sporto querela nei suoi confronti per il fatto in esame ovvero testimoniato in aula si era dichiarato 11islamico”, bensì “musulmano”, a riprova del fatto che gli stessi prediligono
quest’ultima qualificazione. Citava, a tale proposito, un post pubblicato sulla pagina Facebook del lega le rappresentante del CAIM, il quale scriveva: “A volte sento parlare di leggi speciali per i musulmani, a volte sento opinionisti di sinistra dire velatamente che noi musulmani siamo incompatibili con le società europee, oppure sento chiamarci islamici ( … ) per me se non sai ancora chiamarci musulmani hai capito poco” – estratto della pagina web prodotta dalla difesa. Anche in virtù di tale commento, esponeva che il termine 11islamico” equivale ad un qualcosa pertinente o riconducibile all’lslam, non solo come religione, bensì più estensivamente come entità politica, sociale e culturale; pertanto, l’aggettivo predetto non poteva intendersi esclusivamente riferito al fedele musulmano.
Il difensore della Parte Civile riportava un estratto dell’articolo titolato 11Bastardi islamici” nel quale “islamici” era impiegato in funzione sostantivata, domandando poi come si conciliasse tale uso con le dichiarazioni dell’imputato. Quest’ultimo ribadiva la propria ricostruzione sintattica dell’espressione, riferendo che l’aggettivo va posposto
rispetto al sostantivo, regola linguistica che veniva correttamente applicata nel caso di specie. Affermava poi che i rappresentanti delle associazioni musulmane evitavano di discutere sulle ragioni di tali attentati, discussioni che sarebbero state, a suo dire, opportune al fine di individuarne la matrice. Accostava il termine 11islamici” al
sostantivo “bastardi” proprio per spiegare la motivazione che muoveva gli jihadisti, la ragione alla base degli attentati commessi in nome di “Allah Akbar”.
Evidenziava, da ultimo, che non era il titolo di cui si discute a scatenare eventuali reazioni islamofobe, bensì
gli attentati terroristici commessi in nome di tale confessione religiosa.
Si ritiene opportuno soffermarsi brevemente sull’evoluzione normativa subita dal reato oggetto del presente procedimento. La legge 24.4.2006 n. 85 ha modificato la normativa penale in materia di vilipendio alla religione incriminando, con la formulazione di cui all’art. 403 c.p., il vilipendio alla religione solo allorché vi sia un’aggressione a persone, cose o funzioni. La disposizione richiamata delinea, quindi, un vilipendio cd. “indiretto”,
nell’ambito del quale la persona che professa la confessione e il ministro di culto sono considerati dalla norma in quanto simboli del valore superindividuale tutelato, nella struttura della offesa. Il vilipendio del fedele o del ministro di culto, nella struttura del reato, costituisce, pertanto, un mezzo, uno strumento di offesa della religione, un passaggio obbligato per l’integrazione della fattispecie incriminatrice, che mira in ultima
istanza alla tutela di un interesse che va al di là del singolo individuo come quello della
confessione, di cui egli faccia parte.
Con la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 402 c.p. – sentenza n. 508 del 20.11.2000 – la confessione cattolica, quale religione dello Stato, è rimasta priva di tutela penale, residuando la penale responsabilità di chi pubblicamente offenda una religione, attraverso l’aggressione a cose, persone o funzioni. Pertanto, il vilipendio diretto alle persone (o ai ministri di culto) costituisce il mezzo attraverso il quale si realizza l’offesa ad una data confessione. In questa ottica, il fedele o il ministro di culto, pur vittime dirette della condotta vilipendiosa, non sono offesi nella loro dimensione individuale ma in quanto funzionalmente collegati alla religione che professano; solo quest’ultima, invero, espressione di un sentimento religioso nella sua dimensione collettiva e
superindividuale, assurge al ruolo di bene giuridico penalmente tutelato dalla norma in esame.
Occorre valutare, quindi, se il fatto di cui è processo integri o meno una condotta potenzialmente offensiva della religione islamica, a prescindere dalla circostanza per la quale il singolo sia stato o si senta direttamente leso.
Il tribunale ritiene pienamente condivisibili gli argomenti indicati dalla difesa dell’imputato che va mandato assolto dal reato perché il fatto non sussiste.
Il titolo dell’articolo era stato ideato e pubblicato in un contesto drammatico per il mondo, in un momento di tragedia e ed emozione e si riferiva a fatti di gravissima portata appena accaduti.
Si deve innanzi tutto osservare che la notizia della strage era stata divulgata molto prima dell’uscita del giornale e (la notizia) aveva già avuto una diffusione planetaria con la conseguenza che chiunque avesse letto quel titolo, di qualunque appartenenza religiosa fosse, o in gruppo politico o sociale si riconoscesse, non avrebbe avuto dubbio che le due parole incriminate erano riferite a quell’evento.
L’imputato ha spiegato come era stato ideato quel titolo e da dove avesse tratto lo spunto e si potrebbe discutere a lungo sull’utilizzo del termine “bastardo” come sostantivo e “islamico” come aggettivo e concludere aderendo alla linea difensiva che ha inteso sostenere come il termine “bastardo” fosse riferito proprio agli attentatori (a suffragio
delle proprie ragioni, in via principale, la difesa ha elaborato un’analisi sintattica che individua nel termine “bastardi” il sostantivo dell’espressione e in “islamici” il suo aggettivo di relazione) oppure si potrebbe argomentare che le due parole associate e collocate nel titolo abbiano una non equivoca valenza estensiva nei confronti di tutti gli islamici (e con questo allinearsi alla tesi dell’accusa) per cui essendo il termine “bastardi” percepito come qualificazione di disvalore degli aderenti alla religione islamica, esso non ha natura di sostantivo nel titolo in esame, rappresentando piuttosto un attributo qualificativo del sostantivo “islamici” .

Ora, non si può negare che le due parole espresse e divulgate in quel contesto siano estremamente suggestive e provocatorie: il termine “bastardo” ha un connotato storicamente svalutante della persona a cui è rivolto ed è certamente vero che le parole “bastardi islamici” per quanto riferibile solo a coloro che avevano commesso la strage è espressione più ambigua di “assassini islamici” o “terroristi islamici”. D’altra parte l’imputato aveva scelto un titolo d’effetto, un titolo provocatorio, consapevole che avrebbe suscitato polemiche e conseguenze, pur argomentando l’uso corretto dal punto di vista grammaticale delle parole e la loro giusta collocazione nella sintassi.
Tuttavia, se il linguista conosce il senso dei termini usati e sa che l’uno è un sostantivo e l’altro è un aggettivo, il lettore medio non sempre coglie queste distinzioni con la conseguenza che quella linea sottile tra il distinguo grammaticale e l’espressione suggestiva può essere confusa e indurre chi legge a un pensiero diverso da quanto
l’imputato voleva o avrebbe voluto esprimere.
D’atra parte il titolo è titolo fastidioso, offensivo e pericoloso perché idoneo a creare, in un contesto ignorante e in un momento delicato, un contagio nell’immaginario collettivo e spingere ad una rischiosa equazione tra islamici e terroristi. Sul punto è di tutta evidenza che la sensazione comune immediatamente suscitata da tale espressione
corrisponda alla generalizzata imputazione dell’attentato di Parigi alla generalità dei fedeli islamici e il significato delle espressioni da un punto di vista sintattico viene superato dalla percezione che la stessa suscita a primo impatto nei lettori.
Per coloro che professano la religione islamica è, dunque, comprensibile che le parole apparse sul quotidiano abbiano suscitato disagio, che costoro si siano sentiti ingiustamente chiamati in causa come islamici accostati ai terroristi, che abbiano sollevato una discussione nelle comunità e che abbiano deciso di prendere una posizione nei confronti di quella pubblicazione e del suo autore.
Occorre tuttavia operare un rigoroso vaglio sulle conseguenze, nei termini indicati dalle parti civili, che il titolo di giornale può avere procurato nelle comunità islamiche rispetto alle conseguenze di ben diversa portata che l’atto terroristico in sé e per sé ha creato sul piano dell’integrazione sociale e del dialogo interreligioso. E non si può che rilevare che si tratta di un titolo di giornale e, pur con le dovute considerazioni prima esposte, le espressioni incriminate non possono avere avuto una risonanza pari a quella che la tragedia può avere causato per le comunità islamiche.
Fatta dunque questa premessa si deve procedere all’ulteriore passo e valutare se vi sia stato vilipendio della religione.
Come noto la religione è un sentimento che nasce da una scelta personalissima dell’individuo e si colloca nella sua sfera più intima. E il legame spirituale che unisce l’uomo all’entità superiore nella quale si riconosce, che da al credente la forza di vivere e a volte di sopravvivere alle prove più difficili della vita, che unisce intere comunità di
individui, tanto intenso può essere quel vincolo. Lo Stato tutela quel sentimento nelle forme della libertà di religione e nella repressione di condotte che violino la libertà della persona nel professare il proprio credo.
Tuttavia la religione è in sé un bene superindividuale, come già sottolineato nella ordinanza con la quale sono state escluse alcune richieste di costituzione di parte civile, e il dettato normativa di cui all’art. 403 c.p. costituisce riscontro a questo. Infatti lo Stato interviene a presidio della religione quando vi sia stata lesione mediante offesa a chi la professa ovvero al ministro di culto.
La fattispecie di reato è integrata, dunque, solo se l’offesa sia diretta a una persona che professa la religione o un ministro di culto e attraverso la condotta offensiva sia stato offeso il sentimento religioso della collettività dei fedeli. Espresso in altri termini il concetto, il vilipendio alla religione deve transitare attraverso l’offesa del singolo
individuo che diviene oggetto di tale condotta mentre non vi è vilipendio se l’offesa è rivolta alla moltitudine indifferenziata dei credenti.
Ed è su questa considerazione che l’imputato va mandato assolto perché il fatto non sussiste: egli pur utilizzando espressioni non condivisibili per il connotato intrinsecamente spregiativo delle stesse e per l’ambigua attribuzione dei termini, non ha commesso vilipendio della religione perché non ha diretto la sua
azione a un ministro di culto o al singolo individuo che la professa.

PQM

Letto l’art. 530 c.p.p.
ASSOLVE *** *** dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.
Milano, 18 dicembre 2017