Personale docente a tempo determinato, Corte di Cassazione, sentenza 15 ottobre 2019

SENTENZA

sul ricorso 2220-2017 proposto da:

MINISTERO   DELL’ISTRUZIONE,    DELL ‘ UNIVERSITÀ ‘ E DELLA RICERCA , in persona del Ministro pro  tempo r e, rappresentato  e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE    DELLO STATO   presso i cui Uffici domicilia ex lege in ………..

ricorrente

contro

XXXXX   domiciliata ex lege in  …………

PIAZZA  CAVOUR   presso  la        Cancelleria      della CORTE DI CASSAZIONE , rappresentata    e difesa dagli   Avvocati   WALTER   MICELI   e      NICOLA ZAMPIERI;

controricorrente

nonchè contro

FEDERAZIONE   GILDA  –  UNA MS,  in      persona  del legale rappresentante pro tempo r e, elettivamente domiciliata    in   ……….  presso    lo    studio dell’Avvocato SERGIO    GALLEANO, che rappresenta    e          difende    unitamente    agli Avvocati  TOMMASO   DE  GRANDIS  e  VINCENZO   DE MICHELE;

 

FEDERAZIONE   CISL      SCUOLA   UNIVERSITA’ RICERCA – FSUR (EX CISL SCUOLA), in  persona del   legale   rappresentante    pro      tempor e elettivamente  domiciliata  in ………….   presso   lo  studio dell’Avvocato MAURIZIO    RIOMMI , che    la rappresenta e difende;

FLC  CGIL  –  FEDERAZIONE   LAVORATORI   DELLA CONOSCENZA,

in    persona del     legale rappresentante   pro tempore,   elett ivamente domiciliata in  ……… presso lo           studio      dell’Avvocato           ISETTA MAUCERI  BARSANTI,         che  la  rappresenta e difende  unitamente  all’Avvocato         FRANCESCO AMERICO;
UIL  SCUOLA   NAZIONALE,  in  persona   del legale     rappresentante    pro    tempore, elett ivamente domiciliata in …………. presso lo studio dell’Avvocato DOMENICO NASO, che la rappresenta e difende;

resistenti con mandato

avverso la sentenza n . 24 6/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata 1 ‘ 08 / 07 / 201 6 R.G.N. 98 / 201 6 ;

udita la relazione della causa svolta  nella pubblica    udienza   del    15/10/2019

dal  Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.  ALESSANDRO CIMMINO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati PAOLA DE NUNTIS e  GIOVANNI GRECO (per Avvocatura dello Stato);

uditi  gli  Avvocati WALTER      MICELI,       NICOLA ZAMPIERI;

uditi gli Avvocati SERGIO GALLEANO, TOMMASO DE GRANDIS;
udito l’Avvocato MAORIZIO RIOMMI anche                    per delega verbale degli Avvocati DOMENICO NASO, MAOCERI BARSANTI, FRANCESCO AMERICO.

FATTI DI CAUSA

 La Corte d’Appello di Genova ha rigettato l’appello del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca avverso la sentenza  del Tribunale  della stessa sede che aveva  accolto   il ricorso di  XXXX docente di ruolo dal 1997 della scuola secondaria di secondo grado, e, dichiarato il diritto della stessa alla «progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato in ragione  dei contratti di lavoro a termine di cui agli atti», aveva  condannato    il Ministero al pagamento delle differenze retributive come da conteggio allegato al   ricorso.

La Corte territoriale ha premesso che l’originaria ricorrente aveva domandato il riconoscimento di 10 anni di servizio di insegnamento preruolo prestato a far tempo dall’anno scolastico 1986/1987 e la domanda era stata solo parzialmente accolta dall’Ufficio  scolastico,  che con decreto del 16/1/2008 aveva riconosciuto 9 anni di  servizio  a  fini  giuridici  ed  economici, inquadrando la docente nella terza, anziché nella quarta, posizione stipendiale del CCNL 8.1996.

Il giudice d’appello ha escluso che fosse giustificato da ragioni obiettive l’abbatti mento previsto dall’art. 485 d.lgs. 297 /1994 e conseguentemente ha disapplicato la disposizione, perché in contrasto con la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Ha precisato al riguardo che quest’ultima può essere invocata anche dai lavoratori a tempo indeterminato che rivendicano il riconoscimento, ai fini dell’anzianità, del servizio prestato sulla base di contratti a termine ed ha ritenuto non rilevante che le annualità si riferissero ad anni antecedenti l’entrata  in  vigore  della  direttiva,  atteso  che  nella  specie  si  discuteva  di ricostruzione di  carriera richiesta nell’anno 2008.

Infine la Corte territoriale ha precisato che ai fini del calcolo dell’anzianità complessiva dovevano essere considerati anche i contratti a termine  stipulati,  ex art.  4 lett.  c)    n.  124/ 19 99,         per   sostituire personale   di          ruolo           assente.    Ha   rilevato   al  riguardo   che, contrariamente a quanto sostenuto dal Ministero, l’attività era stata pressoché continuativa ed aveva   interessato      gli    interi     anni    scolastici,    salve   brevi     e    sporadiche interruzioni prevalentemente coincidenti con le festività scolastiche.

S. Per la cassazione della sentenza  ha proposto  ricorso il  MIUR sulla  base di  un    unico motivo,  illustrato  da  memoria  ex  art.  380   bis  cod. proc. civ..                               ha  notificato tardivamente controricorso, chiedendo di essere informata  della data di  fissazione dell’udienza di discussione.

La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale dinanzi alla Sezione Sesta, è stata rimessa a questa Sezione con ordinanza del 17 aprile 2018, in ragione della novità e dell’importanza delle questioni giuridiche

Successivamente hanno notificato e depositato memoria  di  intervento  ex art. 64  lgs 165/2001 la FSUR – Federazione Cisl Scuola Università Ricerca -, la FLC CGIL – Federazione Lavoratori della Conoscenza, la UIL Scuola  Nazionale,  la  Federazione  GILDA UNAMS.

Hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. la controricorrente e le organizzazioni

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Con l’ unico motivo di ricorso il Ministero denuncia «violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/ CE e dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato ivi allegato, in particolare dell’art. 2 della Direttiva e della clausola 4  dell’allegato  Accordo,  degli   485 e 489 del d.lgs. n. 297/1994, dell’art . 11 Disposizioni sulla Legge, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.» . Rileva che nella specie la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere inapplicabile la direttiva, venendo in rilievo rapporti a termine instaurati fra le parti in data antecedente il 10 luglio 2001, termine assegnato agli Stati Membri per il recepimento della direttiva stessa. Aggiunge che anche l’immissione in ruolo era già avvenuta al momento della scadenza di detto termine e richiama i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 22552/2016 in tema di utilizzo abusivo degli incarichi a termine. Assume che, in ogni caso, non poteva nella specie essere ravvisata una discriminazione, in  quanto  la  disciplina  dettata  in tema di ricostruzione della carriera dall’art. 485 d.lgs. n. 297/1994 è giustificata da ragioni oggettive, essendo evidente la diversità fra l’attività prestata  dal  docente  a  tempo indeterminato e quella richiesta all’insegnante incaricato della sostituzione per pochi  giorni  o pochi mesi. Rileva, inoltre, che la norma sopra citata  va letta in combinato disposto  con  l’art .  11,  comma  14,  della  legge  n.  124/1999,  che  equipara  il  servizio  non  di  ruolo  prestato per almeno 180 giorni oppure ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio a quello riguardante l’intero anno scolastico e, pertanto, il trattamento complessivo riservato agli assunti a tempo determinato non può essere ritenuto di minor favore rispetto a quello del quale godono i docenti di ruolo.
  1. Devono essere dichiarati inammissibili gli atti di intervento notificati in date 30.11.2018 (quanto alla Federazione GILDA-UNAMS) e 27.2019 (quanto alla Federazione CISL – Scuola Università e Ricerca – FSUR, alla FLC CGIL – Federazione Lavoratori della Conoscenza – ed alla UIL Scuola Nazionale), non potendo trovare applicazione nella fattispecie l’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001, invocato dalle organizzazioni intervenienti. La norma in parola disciplina la procedura di «accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi», che negli intenti del legislatore avrebbe dovuto  assicurare  un  contenimento  del  contenzioso,  specie  di  quello a carattere seriale,  attraverso la sollecitazione ad opera del giudice del potere di interpretazione autentica dei contratti collettivi nazionali del settore pubblico, riconosciuto all’ARAN ed alle organizzazioni firmatarie, e, in mancanza dell’esercizio di detto potere, per mezzo dell’anticipazione della funzione nomofilattica attribuita alla Corte dì Cassazione (Cass. S.U. n.   22427/2006). La Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 199/2003) ha evidenziato che il procedimento, finalizzato alla rimozione erga omnes della situazione di incertezza interpretativa posta in evidenza dalla controversia, tiene conto delle peculiarità del contratto collettivo nel pubblico impiego «funzionale all’interesse pubblico di cui  all’art. 97 Cost.»  e «inderogabile  sia in  pejus che in melius», peculiarità che giustificano la prima fase,  comportante  un  diretto  coinvolgimento degli agenti negoziali,  i quali possono pervenire ad una soluzione chiarificatrice   o anche ad una modifica della disposizione contrattuale  dubbia. E’ in ragione del ruolo fondamentale assegnato alle parti collettive nel procedimento che si giustifica la previsione, contenuta nel comma 5 della norma In commento, di un potere di intervento nel processo dell’ARAN e delle organizzazioni sindacali, alle quali è anche consentito, seppure non intervenute, di «presentare memorie nel giudizio di merito ed in quello di cassazione», con la finalità di fornire, di propria iniziativa, le informazioni che nel giudizio ordinario possono essere date dalle stesse associazioni su sollecitazione della parte  e  del giudice ex art. 425 cod. proc.  civ.. Si tratta, quindi, di un potere strettamente correlato alla peculiare natura e struttura del procedimento, sicché è da escludere che il comma 5 dell’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001 possa essere invocato dalle organizzazioni firmatarie del contratto a prescindere dall’attivazione del meccanismo processuale, pacificamente non avvenuta nella  fattispecie. Ne  discende  che  l’intervento  della cui ammissibilità       qui  si  discute  resta regolato dalle norme del codice di rito e, pertanto, trova applicazione l’orientamento consolidato della giurisprudenza  di  questa  Corte  secondo  cui       «non  è  consentito  nel  giudizio  di  legittimità l’intervento volontario del terzo, mancando una espressa previsione normativa, indispensabile  nella disciplina di una fase processuale autonoma, e riferendosi l’art . 105 cod. proc. civ., esclusivamente al giudizio di cognizione di primo grado, senza che, peraltro, possa configurarsi una questione di legittimità costituzionale  della  norma  disciplinante  l’intervento  volontario,  come sopra interpretata, con riferimento all’art. 24 Cast., giacché la legitt imità della  norma limitativa di tale mezzo di tutela giurisdizionale discende dalla particolare natura strutturale e funzionale del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione» ( Cass. n.  10813/2011 che richiama Cass. S.U. n. 1254/2004; cfr. anche Cass. S.U. n.   11387/2016).
  2.  Il Collegio è chiamato a pronunciare sulla conformità al  diritto  dell’Unione  della  disciplina interna relativa alla ricostruzione della  carriera del  personale  docente  della scuola, nei casi in cui l’immissione  in ruolo sia stata preceduta  da rapporti a  termine.  La questione si pone in quanto la disciplina dettata per gli assunti a tempo indeterminato, dapprima dal legislatore e poi dalla contrattazione collettiva, fa discendere effetti giuridici ed economici dall’anzianità di servizio, che condiziona sia la progressione stipendiale sia,  in genere, lo svolgimento del rapporto. Nel settore scolastico, infatti, l’anzianità svolge un ruolo di particolare rilievo ogniqualvolta  vengano in gioco valutazioni comparative  dei  docenti. Ciò spiega perché il legislatore sin da tempo risalente ha ritenuto necessario dettare una disciplina specifica dell’istituto del riconoscimento del servizio ai fini della carriera, che costituisce un unicum rispetto ad altri settore dell’impiego pubblico e che si giustifica in ragione della  peculiarità  del  sistema  scolastico,  nel  quale,  pur   nella  diversità   delle   forme    di reclutamento succedutesi nel tempo, l’immissione  definitiva  nei ruoli dell’amministrazione  è sempre stata preceduta, per ragioni diverse, da periodi più o meno lunghi di rapporti a tempo determinato.
    4. Tralasciando, perché non rilevante ai fini di causa, la disciplina antecedente agli anni 70, va detto che già con il d.l. n. 370/1970, convertito con modificazioni dalla 576/1970, il legislatore aveva previsto, all’art. 3, che «Al personale insegnante il servizio di cui ai precedenti articoli viene riconosciuto agli effetti giuridici ed economici per intero e fino ad un massimo di quattro anni, purché prestato con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. Il servizio eccedente i quattro anni viene valutato in aggiunta a quello di cui al precedente comma agli stessi effetti nella misura di un terzo, e ai soli fini economici per i restanti due terzi. I diritti economici derivanti dagli ultimi due terzi di servizio previsti dal comma precedente, saranno conservati e valutati anche in tutte le classi successive di stipendio.».Tralasciando, perché non rilevante ai fini di causa, la disciplina antecedente agli anni 70, va detto che già con il d.l. n. 370/1970, convertito con modificazioni dalla 576/1970, il legislatore aveva previsto, all’art. 3, che «Al personale insegnante il servizio di cui ai precedenti articoli viene riconosciuto agli effetti giuridici ed economici per intero e fino ad un massimo di quattro anni, purché prestato con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. Il servizio eccedente i quattro anni viene valutato in aggiunta a quello di cui al precedente comma agli stessi effetti nella misura di un terzo, e ai soli fini economici per i restanti due terzi. I diritti economici derivanti dagli ultimi due terzi di servizio previsti dal comma precedente, saranno conservati e valutati anche in tutte le classi successive di stipendio.» L’art. 4 aggiungeva che « Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli, il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero, se ha avuto la durata prevista, agli effetti della validità dell’anno, dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. I periodi di congedo retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del calcolo del periodo richiesto per il riconoscimento.».
  3. 1 Con il lgs n. 297/1994 di «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e  grado»  le  richiamate  disposizioni sono confluite, con modificazioni e integrazioni, nell’art. 485 secondo cui «1.AI personale docente delle scuole di istruzione secondaria  ed artistica, il servizio  prestato  presso  le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché  ai  soli  fini  economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e  valutati in  tutte le classi di  stipendio successive a quella attribuita  al momento   del  riconoscimento medesimo. 2. Agli stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di ruolo e non di ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei predetti educandati e  quelle  a/l’estero, nonché nelle scuole popolari, sussidiate o  sussidiarie. Al personale docente delle scuole elementari è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti fissati dal comma 1, il servizio prestato in qualità di docente non di ruolo nelle scuole elementari statali o degli educandati femminili statali, o parificate, nelle scuole secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non di  ruolo prestati nelle scuole materne statali o   comunali.». A sua volta l’art . 489 ripete la  formulazione  dell’art .  4  del  ci.I. 370/1970,  stabilendo  che «Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell’anno dall’ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. 2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento.». La norma, peraltro, deve essere letta in combinato disposto con l’art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999 secondo cui « Il comma 1 dell’art.  489 del testo unico  è da intendere  nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a  decorrere  dall’anno scolastico  1974 -1975  è  considerato  come anno scolastico  intero se ha avuto  la  durata  di  almeno   180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1 ° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio  finale.». Il legislatore del Testo Unico, nel disciplinare gli effetti del d.lgs. n. 297/1994 sulla normativa previgente, ha dettato, all’art . 676, una disposizione di carattere generale prevedendo che «Le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate.». Dalla chiara formulazione della norma, pertanto, si evince  che,  a  partire  dalla  pubblicazione del decreto legislativo, le norme antecedenti sono confluite nel testo unico e continuano  ad applicarsi nei limiti sopra  indicati.  In questo  contesto  si  è  inserita,  a  seguito  della  contrattualizzazione   dell’impiego  pubblico, la contrattazione collettiva che nell’ambito scolastico, quanto ai rapporti con la legge, non sfugge all’applicazione dei principi dettati dagli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001, nelle  diverse versioni succedutesi nel tempo, fatte salve le disposizioni  speciali  contenute  nello  stesso decreto.
    Con il CCNL 4 agosto 1995 le parti stipulanti sono intervenute anche in tema di ricostruzione della carriera e hanno previsto, all’art. 66, comma 6, che « Restano confermate, al fine del riconoscimento dei servizi di ruolo e non di ruolo eventualmente prestati anteriormente alla nomina in ruolo e alla conseguente stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, le norme di cui al D.L. 19 giugno 1970, n. 370, convertito, con modificazioni dalla legge 26 luglio 1970, n. 576, e successive modificazioni e integrazioni, nonché le relative disposizioni di  applicazione,  cos; come definite dall’art.  4 del D.P.R.   23 agosto 1988, n. 399».Il successivo CCNL 26.5.1999 ha stabilito, all’art. 18, che «Le norme legislative, amministrative o contrattuali non esplicitamente abrogate o disapplicate dal presente CCNL, restano in vigore in quanto compatibm.».Di seguito il CCNL 24 .7 . 2003, all’art . 142, comma 1, n. 8 ha espressamente previsto che dovesse continuare a trovare applicazione «l’art . 66, commi 6 e 7, del CCNL 4.08.95 (riconoscimento servizi non di ruolo e insegnanti di religione)» ed analoga disposizione è stata inserita nell’art. 146  ( lett. g n. 8) del CCNL 29.11.2007.Per effetto delle richiamate disposizioni contrattuali, quindi, si deve escludere che gli articoli del T.U. riguardanti la ricostruzione della carriera siano stati disapplicati dalla contrattazione, perché, al contrario, gli stessi devono riteners i espressamente richiamati, sia  pure attraverso la tecnica del rinvio, anziché direttamente al T.U., alla disciplina originaria nello stesso trasfusa.L’art. 66 del CCNL 1995, infatti, va interpretato tenendo conto della disposizione dettata dall’art. 676 del d.lgs. n. 297/1994 e, pertanto, il richiamo della normativa di cui al d. l. n. 370/1970 “e successive modificazioni e integrazioni”, ricomprende in sé il rinvio agli artt. 485 e seguenti del T.U., che non a caso non figurano fra le norme del decreto legislativo espressamente  disapplicate dalla contrattazione.

    Occorre  ancora  evidenziare  che l’art. 66, nel rinviare  alle disposizioni  di  applicazione   del d.l. n. 370/1970, richiama espressamente anche l’art . 4 del d.P.R. n. 399/1988 che, per quel che rileva in questa sede, prevede che «Al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle accademie, l’anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali».

  4. Anticipando considerazioni che verranno riprese nel prosieguo della motivazione,  osserva il Collegio che dal complesso delle disposizioni sopra richiamata e si evince, dunque,  che nel settore scolastico, in relazione al personale docente, la disciplina generale ed astratta del riconoscimento del servizio preruolo risulta dalla commistione di elementi che, nella comparazione con il trattamento riservato ai docenti sin dall’origine assunti con contratti a tempo indeterminato, possono essere ritenuti solo in parte di sfavore, perché se, da un lato, la norma è chiara nel prevedere un abbattimento dell’anzianità sul periodo eccedente i primi quattro anni di servizio; dall’altro il legislatore ha ritenuto di dovere equiparare ad un intero anno di attività l’insegnamento svolto per almeno 180 giorni, o continuativamente dal 1° febbraio sino al termine delle operazioni di scrutinio, ed ha anche previsto Il riconoscimento del servizio prestato presso scuole di un diverso grado, consentendo all’insegnante della scuola di istruzione secondaria di giovarsi dell’insegnamento nelle scuole elementari ed ai docenti di queste ultime di far valere il servizio preruolo prestato nelle scuole materne statali o comunali.5.2. E’ poi utile sottolineare che l’abbattimento opera solo sulla quota eccedente i primi quattro anni di anzianità, oggetto di riconoscimento integrale con i benefici di  cui  sopra  si è detto, e pertanto risulta evidente che il meccanismo finisce per penalizzare i precari  di  lunga data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite massimo  per  il  quale opera il principio della totale valorizzazione del  servizio.La norma non poteva dirsi priva di ragionevolezza in relazione ad un sistema di reclutamento, che questa Corte ha analizzato con la sentenza n. 22552/2016 (alla quale hanno fatto seguito numerose pronunce dello stesso tenore), basato sulla regola del cosiddetto “doppio canale” che, oltre a prevedere l’immissione in ruolo periodica dei docenti attingendo per il 50% dalle graduatorie dei concorsi per titoli ed esami e per il restante 50% dalle graduatorie per soli titoli, prima, e poi dalle graduatorie permanenti, stabiliva anche, all’esito delle modifiche apportate all’art. 400 dalla legge n. 124/1999, la cadenza triennale dei concorsi. In quel contesto, infatti, l’abbattimento oltre il primo quadriennio si giustificava in relazione al criterio meritocratico, perché quel sistema, per come pensato dal legislatore, avrebbe dovuto consentire ai più meritevoli di ottenere la tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica.E’ noto,  però,  e  della  circostanza  si  è  dato  atto  nelle  plurime  pronunce  della  Corte  di Giustizia, della Corte Costituzionale e di questa Corte che hanno riguardato la legittimità della reiterazione dei contratti a termine, che le immissioni in ruolo non  sono avvenute in  passato  con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha determinato,  quale conseguenza, che i docenti “stabilizzati”, per effetto sia della legge n. 107/2015 sia degli  interventi normativi che in precedenza avevano previsto piani straordinari di reclutamento sia, ancora, nel rispetto delle norme dettate dal T.U., la cui efficacia non è mai stata  del  tutto sospesa,  si sono trovati  per la maggior  parte a vantare,  al  momento  dell’immissione in   ruolo,  un’anzianità di servizio di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità al diritto dell’Unione qui  si discute.
  5. Occorre dire subito che l’applicabilità alla fattispecie della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE non può essere esclusa per il fatto che il rapporto dedotto in giudizio abbia ormai acquisito stabilità attraverso la definitiva immissione in ruolo, perché la Corte di Giustizia ha da tempo chiarito che la disposizione non cessa di spiegare effetti una volta che il lavoratore abbia acquistato lo status di dipendente a tempo della clausola 4, infatti, non può essere fornita un’interpretazione restrittiva poiché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato  viene in rilievo anche qualora  il rapporto   a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio ( cfr. Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa c- 177/10 Rosado Santana punto 43; Corte di Giust izia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto 36). Ciò premesso va evidenziato che, come ha rimarcato la stessa Corte di Giustizia nelle pronunce più recenti ( Corte di Giustizia 20.6.2019, causa c-  72/18  Ustariz  Arostegui; 11.4.2019, causa C- 29/18, Cobra Servizios Auxiliares; 21.11.2018,  causa  e- 619/17,  De  Diego Porras; 5.6.2018, causa C –  677/16, Montero Mateos), la clausola 4 dell’Accordo   Quadro è stata più volte oggetto di interpretazione da parte  del  giudice  eurounitario,  che  anche  in dette pronunce ha ribadito i principi già In precedenza  affermati, sulla base dei quali questa  Corte ha poi risolto la questione, simile ma non coincidente con quella oggetto di causa, del riconoscimento dell’anzianità di servizio ai fini della progressione stipendiale in pendenza di rapporti a termine (cfr. Cass. 22558 e 23868 del 2016 e le successive sentenze conformi fra le quali si segnalano, fra le più recenti, Cass. nn. 28635, 26356, 26353, 6323 del 2018 e Cass. n. 20918/2019 quest’ultima relativa al personale ATA) nonché agli effetti della ricostruzione della carriera dei  ricercatori  stabilizzati  dagli  enti  di  ricerca  (  Cass.  n.  27950/2017,  Cass.  n. 7112/ 2018, Cass. nn.  3473 e 6146 del 2019).

6.1 Nei precedenti citati si è evidenziato che:

a)la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto  dell’Unione e  di  tutelare  i diritti che quest’ultimo  attribuisce,  disapplicando,  se  necessario,  qualsiasi  contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C-268/06, Impact; 9.2007, causa C-307/ 05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011,  causa C-177/ 10 Rosado Santa na)

b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per  cui la riserva in  materia  di  retribuzioni contenuta  nell’art. 137 n.  5 del Trattato  (  oggi 153 n.  5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza  di retribuzione”  (  Del Cerro  Alonso, cit., punto 42)

c)le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego al sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza  di  una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C-177/14,  Regojo  Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi  richiamata);

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, né rilevano la natura pubblica  del datore di  lavoro  e la distinzione fra impiego di ruolo e non di  ruolo,  perché  la  diversità  di  trattamento  può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed  alle  caratteristiche  delle  mansioni  espletate ( Regojo Dans, , punto 55; negli stessi termi ni Corte  di  Giustizia  5.6.2018, in  causa C-677/16, Montero  Mateos, punto 57  e con  riferimento ai rapporti  non di  ruolo degli  enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10. 2012, cause C-302/11 e C-305/11, Valenza; 7.3.2013,  causa  C-393/11, Bertazzi);

e) la clausola 4 «osta ad una normativa nazionale, … la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un  lavoratore  a  tempo  determinato  alle  dipendenze  di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del  lavoratore  stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive …. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i  suddetti  periodi  di  servizio sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere» ( Corte di Giustizia 10.2012 in cause riunite  da  C-302/11 a  C- 305/11, Valenza e negli stessi termini Corte di Giustizia  4.9.2014 in causa C- 152/ 14  Bertazzi).

7 I richiamati  principi  non sono stati smentiti  dalla  sentenza  9.2018,  in  causa c- 466/17, Motter, con la quale, a seguito di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trento, la Corte di Giustizia ha statuito che la clausola 4 dell’Accordo Quadro, in linea di principio, non osta ad una normativa, quale quella dettata dall’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, che « ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione  in  base ai titoli come dipendente  pubblico  di  ruolo, tenga  conto dei periodi  di  servizio prestati nell’ambito  di contratti  di lavoro a  tempo determinato  in misura  integrale  fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza  dei due terzi >>.

E’ significativo osservare che a detta conclusione la Corte è pervenuta  dopo  avere  dichiarato espressamente di volersi porre in linea di continuità con la propria giurisprudenza, richiamata ai punti 26, 33, 37, 38, quanto alla rilevanza dell’anzianità, alla nozione di ragione oggettiva, alla non decisività delle diverse  forme  di  reclutamento  e  della natura  temporanea del rapporto, e la statuizione è stata resa valorizzando le circostanze allegate dal Governo Italiano, che aveva  fatto  leva sul criterio di  favore previsto dall’art .  489 del d.lgs. n.   297/1994, come integrato dalla legge n. 124/1999, nonché sulla necessità  di  raggiungere  «  un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato, nel rispetto dei valori di meritocrazia e delle considerazioni di imparzialità e di efficacia dell’amministrazione su cui si basano le assunzioni mediante concorso»  ( punto   51).

Particolare  rilievo assumono, dunque, per comprendere  la ratio della decisione,  i punti  47 e 48 nei quali si afferma che possono configurare una ragione oggettiva «gli obiett ivi invocati dal governo italiano, consistenti, da un lato, nel rispecchiarle differenze nell’attività lavorativa tra le due categorie di lavoratori in questione e dall’altro nell’evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia nei confronti dei dipendenti pubblici di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso generale», obiettivi che possono essere legittimamente considerati  rispondenti  a  una  reale  necessità «fatte  salve  le  verifiche  rientranti  nella competenza esclusiva del giudice del rinvio».

Poiché, ad avviso del Collegio, la lettura della pronuncia deve essere complessiva, non possono essere svalutate, come ha fatto il Ministero ricorrente  nel  corso  della  discussione orale, le affermazioni contenute ai punti 33-34 e 37-38, quanto alla non decisività della diversa forma  di  reclutamento  ed  alla  necessità  che  la  disparità  di  trattamento  sia  giustificata    da «elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi», sicché la verifica che il giudice nazionale, nell’ambito della cooperazione istituita dall’ art . 267 TFUE, è chiamato ad effettuare riguarda tutti gli aspetti che assumono rilievo ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro, ivi compresa l’effettiva sussistenza nel caso concreto delle ragioni fatte valere dinanzi alla Corte di Lussemburgo dallo Stato Italiano per giustificare la disparità di trattamento.

8  Quanto alla comparabilità degli assunti a tempo determinato con i docenti di ruolo valgono le considerazioni già espresse da questa Corte con le sentenze richiamate al punto 6 e con l’ordinanza n. 20015/2018 che, valorizzando il principio di non discriminazione e le disposizioni   contrattuali   che  si   riferiscono   alla   funzione   docente,   ha  ritenuto   di  dovere riconoscere il diritto dei supplenti temporanei a percepire, in proporzione all’attività prestata, la retribuzione professionale docenti.

In quelle pronunce si è evidenziato, ed il principio deve essere qui ribadito, che la disparità  di trattamento non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del  rapporto di  impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad  assicurare.

Né la comparabilità  può essere esclusa per i supplenti  assunti ai sensi dell’art. 4, comma   3, della legge n. 124/1999 facendo leva sulla temporaneità dell’assunzione, perché la pretesa differenza qualitativa e quantitativa della prestazione, oltre a non trovare riscontro  nella  disciplina dettata dai CCNL succedutisi nel tempo, che non operano distinzioni quanto al contenuto della funzione docente, non appare conciliabile, come la stessa Corte di Giustizia ha rimarcato, «con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere integralmente l’anzianità maturata nei primi quattro anni di esercizio dell’attività professionale dei docenti a tempo determinato» ( punto 34 della citata sentenza Motter), ossia nel periodo  in  cui,  per  le  peculiarità del sistema di reclutamento dei supplenti, che acquisiscono punteggi in ragione del servizio prestato, solitamente si collocano più le supplenze temporanee, che quelle annuali  o  sino al  termine  delle attività didattiche.

E’, pertanto, da escludere che la disciplina  dettata  dall’art.  485  del  d.lgs.  n.  297/1994 possa dirsi giustificata dalla non piena comparabilità delle situazioni a confronto e, comunque, dalla sussistenza  di ragioni oggettive, intese nei termini indicati nei punti che precedono.

9. Più complessa è l’ulteriore verifica che la Corte di Giustizia ha demandato al giudice nazionale in relazione all’obiettivo di evitare il prodursi di discriminazioni «alla rovescia» in danno dei docenti assunti ab origine con contratti a tempo indeterminato, discriminazioni che, ad avviso del Ministero ricorrente, si produrrebbero qualora in sede di ricostruzione della carriera si prescindesse dall’abbattimento, perché in tal caso il lavoratore a termine, potendo giovarsi del criterio di cui all’art. 489 lgs. n. 297/1994, potrebbe ottenere un’anzianità pari a quella dell’assunto a tempo indeterminato, pur avendo reso rispetto a quest’ultimo una prestazione di durata temporalmente inferiore.

L’argomento non è privo di pregio, ma non può essere ritenuto decisivo per affermare tout court la conformità alla direttiva della norma  di diritto  interno, innanzitutto  perché  la verifica  non può essere condotta in astratto, bensì deve tener conto della specificità del caso concreto, nel quale, in ipotesi, potrebbe anche non venire in rilievo l’applicazione della disposizione sopra indicata,   sulla  quale  la  Corte  di  Giustizia  ha  fatto  leva  nell’affermare  che  l’abbattimento potrebbe essere ritenuto applicazione del principio del pro rata  temporis.

Si è già detto, infatti, che la clausola 4 dell’Accordo Quadro attribuisce un diritto incondizionato che può essere fatto valere dal singolo lavoratore dinanzi al giudice nazionale e non può essere paralizzato da una norma generale ed astratta. Corollario del principio è che la denunciata  discriminazione deve essere  verificata  in  relazione alla  fattispecie concreta dedotta in giudizio e pertanto, ove la norma che legittima  la  diversità  di  trattamento  si  leghi,  nell’intento del legislatore, a presupposti giustificativi non necessariamente sussistenti in relazione ai singoli rapporti, non si può escludere che la medesima  norma  possa  essere  ritenuta discriminatoria in un caso e non nell’altro, dipendendo la sua giustificazione dalla ricorrenza di condizioni che vanno verificate non in astratto bensì con riferimento al singolo rapporto.

9.1 L’applicazione diretta della clausola 4 chiama il giudice nazionale a seguire un procedimento logico secondo il quale occorre: a) determinare il trattamento  spettante  al  preteso “discriminato”; b) individuare il trattamento riservato al lavoratore comparabile; c) accertare se l’eventuale  disparità sia giustificata da una ragione

Nel rispetto di queste fasi perché il docente si possa dire discriminato dall’applicazione dell’art. 485 d.lgs. n. 297/1994, che, si è già detto al punto 5,  è  la  risultante di elementi di  sfavore e di favore, deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della norma speciale sia  inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato l’insegnante comparabile, assunto con contratto a tempo indeterminato per svolgere la medesima funzione docente. Ciò implica che il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato non possa essere ritenuto discriminatorio per il solo fatto che dopo il quadriennio si operi un abbattimento, occorrendo invece verificare anche l’incidenza dello strumento di compensazione  favorevole, che pertanto, in sede di giudizio di comparazione, va eliminato dal computo complessivo dell’anzianità, da effettuarsi sull’intero periodo, atteso che, altrimenti, si verificherebbe la  paventata discriminazione alla rovescia rispetto al  docente  comparabile.

In altri termini un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 d.lgs. n. 297/1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 d.lgs. n. 297/1994, perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all’assunto a tempo indeterminato.

9.2  Nel calcolo dell’anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo  prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata  da  una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato ( congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di  un  incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da  tempo  ha  escluso  la  spettanza  del  diritto  alla  retribuzione   (Cass.    21435/2011,  Cass.  n.  3062/2012,  Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del  completamento  delle  attività  di scrutinio.

Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall’uno all’altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia.

9.3 Qualora, all’esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l’applicazione dei criteri di cui all’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, la norma di diritto interno deve essere disapplicata ed al docente va riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all’insegnante assunto a tempo indeterminato, perché l’abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell’Unione.

Come già ricordato nel punto 6.1 lett. a), la clausola  4  dell’accordo  quadro  ha  effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tute la giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell’Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusa l’interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Rosado Santana punti da 49 a   56).

Non è consentito, invece, all’assunto a tempo determinato, successivamente immesso nei ruoli, pretendere, sulla base della clausola 4, una commistione di regimi, ossia, da un lato, il criterio più favorevole dettato dal T.U. e,  dall’altro, l’eliminazione del solo abbattimento,  perché  la disapplicazione non può essere parziale né può comportare l’applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può giovarsi l’assunto a tempo indeterminato    comparabile

10. Nella fattispecie non osta all’applicazione  dei  richiamati  principi  la  circostanza  che l’or iginaria ricorrente abbia domandato il riconoscimento ai fini della  ricostruzione della carriera di rapporti a termine che si collocano temporalmente in data antecedente all’entrata  in vigore della  direttiva 1999/70/CE.

Non può essere invocato il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 22552/2016 perché in quel caso si discuteva della legittimità della reiterazione dei contratti a termine, il cui carattere abusivo non poteva essere affermato sulla base  della  normativa  europea sopravvenuta, mentre nella specie viene in rilievo la correttezza del decreto di ricostruzione della carriera adottato dall’Ufficio Scolastico nel gennaio 2008, nella vigenza della direttiva.

11. La sentenza impugnata non è conforme ai principi di diritto sopra enunciati perché, pur avendo la Corte  territoriale correttamente  richiamato  la  giurisprudenza della  Corte  di  Giustizia formatasi in relazione all’interpretazione della clausola 4, non risulta che nella quantificazione dell’anzianità riconoscibile alla Capurro abbia tenuto conto dei periodi di interruzioni dei rapporti  a termine,  che, seppure “brevi e sporadici”,  non potevano   concorrere   a determinare l’anzianità  complessiva della docente.

Il ricorso va pertanto accolto in detti limiti e la sentenza impugnata  deve essere  cassata  con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto che, sulla base di quanto osservato nei punti che precedono, di seguito si enunciano:

a) l’art. 485 del d. n. 297/1994, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato;

b) il giudice del merito per accertare la sussistenza della denunciata discriminazione dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato e ciò implica che non potranno essere valorizzate le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né potrà essere applicata la regola dell’equivalenza fissata dal  richiamato  489;

c) l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, in caso di disapplicazione dell’art. 485 del d.lgs. n.297/1994 deve essere computata sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo.

12. Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, ad eccezione di quelle relative al rapporto processuale con gli intervenienti, in relazione alle quali va disposta l’integrale compensazione in ragione della novità e della complessità della questione

Non  sussistono  le  condizioni  richieste  dall’art .   13,  comma  1  quater,  del  d.P.R.    n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso nei limiti indicati in motivazione. Cassa la sentenza Impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, quanto al rapporto processuale fra le parti principali, alla Corte d’Appello di Genova in diversa  composizione.

Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità relative agli intervenienti. Roma, così deciso nella camera di consiglio del 15 ottobre 2019