Sistema di profilazione dei rider, natura discriminatoria, Tribunale di Bologna, ordinanza del 31 dicembre 2020
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
Sezione Lavoro
Nella causa iscritta al n. r.g. 2949/2019 promossa da:
FILCAMS CGIL BOLOGNA
NIDIL CGIL BOLOGNA
FILT CGIL BOLOGNA
RICORRENTI
contro
D I SRL
RESISTENTE
Il Giudice dott. Chiara Zompì,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 27.11.2020;
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Con ricorso proposto, in data 16.12.2019, ai sensi dell’art. 5, 2° co D. Lgs. 9 luglio 2003 n. 216, la Federazione Italiana Lavoratori dei Trasporti – Filt Cgil di Bologna, la Filcams Cgil di Bologna e la Nidil Cgil Bologna convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna in funzione di giudice del lavoro, la società D I SRL, per l’accertamento della natura discriminatoria delle condizioni di accesso alle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale della convenuta.
In particolare le ricorrenti, premesso di essere associazioni sindacali territoriali di categoria, maggiormente rappresentative, con sede in Bologna, operanti rispettivamente nel settore dei trasporti e logistica, della ristorazione e servizi e nell’ambito dei rapporti di lavoro atipici, di avere iscritti nel territorio nazionale e svolgere da decenni una significativa attività sindacale, di aderire alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro, associazione sindacale confederale maggiormente rappresentativa componente del CNEL e firmataria della Carta dei diritti dei riders di Bologna e di avere tra i propri iscritti lavoratori che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano con l’ausilio di biciclette o ciclomotori tramite piattaforme digitali, esponevano:
– che D I SRL. è una azienda multinazionale operante in Italia dal 2015 nel settore delle consegne del cibo a domicilio che si avvale per lo svolgimento delle proprie attività di un modello organizzativo basato su una rete di riders, qualificati dalla società come parasubordinati;
– che la distribuzione del lavoro tra i riders avviene attraverso una piattaforma digitale che provvede, tramite un complesso sistema di pianificazione, alla distribuzione e gestione dei flussi di lavoro tra coloro che si sono resi preventivamente disponibili prenotando sessioni di lavoro;
– che dette sessioni di lavoro sono costituite da fasce orarie (cd “slots”), che sono rese disponibili ai riders dalla piattaforma digitale entro il limite del fabbisogno dalla stessa pianificato;
– che al fine di svolgere la propria attività i riders devono installare sul proprio smarthphone un software (c.d. “app”) fornito dalla società, che genera un profilo personalizzato tramite il quale gli stessi possono registrarsi e accedere alla piattaforma digitale della convenuta, mediante un sistema selettivo di prenotazione delle sessioni di lavoro;
– che il sistema di prenotazione delle sezioni di lavoro è basato su un punteggio, attribuito dall’algoritmo a ciascun rider ed elaborato su due parametri: affidabilità e partecipazione;
– che ciascun rider viene quindi periodicamente profilato tramite “statistiche” elaborate dalla società che valutano il tasso di rispetto delle ultime 14 giornate di sessioni di lavoro dallo stesso prenotate e non cancellate nel termine di 24 ore previsto dal regolamento di D I SRL;
– che il rider, una volta prenotata una sessione di lavoro correlata ad una determinata zona di consegna, ove non cancelli la prenotazione nelle 24 ore antecedenti, è tenuto obbligatoriamente a recarsi all’interno del perimetro della zona di lavoro prenotata al fine di connettersi (id est “loggarsi”) entro un lasso temporale massimo di 15 minuti, giacché in caso contrario la mancata connessione entro tale termine determina una perdita di punteggio;
– che, secondo le condizioni di impiego rese pubbliche da D I SRL, qualsiasi “cancellazione”, ovvero annullamento della prenotazione della sessione con un preavviso inferiore alle 24 ore determina per il rider una penalizzazione delle sue statistiche;
– che detto sistema di prenotazione delle fasce di lavoro per priorità in ragione delle statistiche assegnate al rider è stato introdotto dalla convenuta come misura organizzativa in coincidenza con le prime iniziative di astensione dal lavoro attuate dai riders autorganizzati negli anni 2017/2018;
– che l’algoritmo, imponendo il rispetto della sessione di lavoro prenotata e la connessione entro 15 minuti dall’inizio della sessione nella zona di lavoro, di fatto penalizza l’adesione del rider a forme di autotutela collettiva e, in particolare, ad astensioni totali dal lavoro coincidenti con la sessione prenotata;
– che tale penalizzazione deriva dal fatto che il sistema di prenotazione settimanale consente ai riders con maggior punteggio di prenotare con priorità le sessioni di lavoro (i turni o slots) che man mano si saturano divenendo non disponibili per i riders con minore priorità;
– che, in particolare, tutti i riders iscritti nella piattaforma ricevono ogni domenica pomeriggio una notifica sul proprio smartphone che li informa, in ragione del ranking posseduto, della fascia oraria in cui potranno prenotare, a decorrere dal lunedì successivo, le sessioni di lavoro per la settimana entrante;
– che le fasce orarie di prenotazione si suddividono in tre blocchi: alla prima fascia delle 11:00, il cui accesso è consentito ai riders con ranking reputazionale migliore, segue la seconda fascia e la terza fascia, rispettivamente alle 15,00 e alle 17:00, attribuite a riders con ranking reputazionale inferiore;
– che pertanto le sessioni disponibili si riducono man mano nel tempo cosicché i riders che possono prenotare solo nelle fasce successive (15,00 e 17,00) alla prima (11,00) hanno sempre più ridotte occasioni di lavoro.
Su tali premesse, le OOSS ricorrenti lamentavano che l’algoritmo della società convenuta, nel sanzionare con perdita di punteggio i riders che non rispettavano le sessioni di lavoro, penalizzava, quindi, tutte le forme lecite di astensione dal lavoro in quanto determinava la retrocessione nella fascia di prenotazione limitando le future occasioni di lavoro.
Proseguivano esponendo che i due parametri punivano, quindi, il rider che non provvedeva a “loggarsi” recandosi nell’area di consegna durante le sue sessioni di attività per aver aderito ad iniziative di autotutela collettiva coincidenti con il suo turno ovvero nelle ulteriori ipotesi in cui l’astensione dalla sessione dipendeva da altre cause legittime (malattia, esigenze legate ad un figlio minore ecc.).
Concludevano pertanto chiedendo:
“1. – Accertare e dichiarare il carattere discriminatorio delle condizioni di accesso alle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale della convenuta e in particolare dei parametri di elaborazione del ranking c.d. reputazionale che incidono sulla priorità di scelta delle sessioni di lavoro senza considerare la causa che ha dato luogo al mancato rispetto della sessione prenotata per i motivi di cui al ricorso.
- – Accertare e dichiarare, anche ai sensi delle direttive comunitarie, il carattere discriminatorio della condotta e della prassi aziendale di D I SRL descritte nel presente atto.
- – Ordinare a D I SRL ai sensi dell’art. 28, 5 co. del d.lgs 1 settembre 2011 n. 150 l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni ovvero delle prassi che ostacolano l’esercizio dei diritti dei soggetti lesi conformemente al ricorso, sentite le organizzazioni sindacali ricorrenti ed in ogni caso:
- – Ordinare alla convenuta di modificare le condizioni di accesso alle sessioni di lavoro e comunque di prenotazione delle stesse ed in particolare i parametri di elaborazione del ranking reputazionale che assicurano la priorità nella scelta delle sessioni di lavoro attraverso l’adozione di modifiche al sistema che impediscano gli effetti discriminatori sul diritto di sciopero, sullo stato di malattia legata handicap e condizioni familiari indicati nel ricorso.
- – Ordinare di divulgare l’emanando provvedimento nelle condizioni di contratto e nell’area “domande frequenti” contenute nella piattaforma e comunque disporre che venga comunicato il provvedimento tramite informative indirizzate a tutti i riders registrati che prestano attività in Italia.
- – Ordinare alla convenuta la pubblicazione a proprie spese del provvedimento richiesto su almeno cinque quotidiani nazionali con il formato piena pagina o altro di giustizia e, in ogni caso, la sua pubblicazione per un periodo ritenuto congruo sulla pagina iniziale del sito della società.
- – Condannare D I SRL in favore delle organizzazioni sindacali ricorrenti al risarcimento del danno non patrimoniale causato dalla descritta condotta discriminatoria, in misura adeguata, proporzionata e dissuasiva da determinarsi in via equitativa.
- – Disporre in ogni caso ogni opportuno provvedimento al fine di rimuovere gli effetti della dichiarata condotta discriminatoria”.
Il tutto con vittoria di spese.
Si costituiva in giudizio la D I SRL Italia srl eccependo, in via preliminare, la carenza di legittimazione ad agire delle OOSS ricorrenti; nel merito, contestando la fondatezza, in fatto e in diritto, del ricorso. In particolare la resistente esponeva:
- che il sistema di prenotazione («SSB») delle sessioni era una opzione per il rider e non la condizione «di accesso alle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale», giacché il rider ben poteva accedere al sistema e ricevere proposte anche senza utilizzare il sistema di prenotazione descritto in ricorso;
- che la consegna (o meno) anche di un solo ordine non era l’obbligazione del rider assunta con la firma del contratto, contratto che non prevedeva né l’obbligo di rendere servizi né quello, corrispettivo, di essa società di proporne;
- che la cancellazione delle prenotazioni, addirittura fino all’inizio della sessione, non aveva alcun impatto sulle statistiche del rider;
- che, diversamente da quanto dedotto da controparte, l’«algoritmo della società convenuta, denominato Frank» era totalmente estraneo al sistema di prenotazione opzionale delle sessioni, essendo Frank un algoritmo di assegnazione, che nulla aveva a che fare con le statistiche;
- che il rider poteva astenersi dal lavoro sempre, non esistendo ipotesi in cui il sistema penalizzava chi si astiene, e che il sistema permetteva ai rider di gestire in autonomia il proprio tempo per esigenze di vita e di attività (anche sindacale).
Concludeva pertanto chiedendo il rigetto del ricorso, spese rifuse.
La causa veniva istruita con l’escussione degli informatori indotti dalle parti.
All’esito del deposito telematico di note conclusive scritte, all’udienza del 27.11.2020 il giudice, udite le parti, riservava la decisione.
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- Deve preliminarmente darsi atto che, nelle note conclusive autorizzate depositate in data 10.11.2020, D I SRL Italia srl ha allegato che “Il sistema (opzionale) di prenotazione per cui è causa («SSB» con accessi scaglionati nel tempo secondo i parametri più volte ricordati) non esiste più. Dal 2 novembre 2020 l’accesso differenziato alle fasce di prenotazione del lunedì in base alle statistiche dei rider non avviene né può avvenire: le prenotazioni stesse scompaiono e le statistiche non hanno più alcun impatto sull’accesso alle prenotazioni che, se presenti, sono sempre accessibili a qualsiasi rider nel medesimo modo a prescindere da qualunque parametro” , producendo, a supporto del proprio assunto, il comunicato pubblicato sul sito della piattaforma rivolto a tutti i rider ove, fra le altre cose, si legge: “a partire dall’accesso al Calendario del 2 novembre, le statistiche non avranno più alcun impatto. (…) Le tue statistiche non avranno alcun effetto e non influenzeranno l’orario in cui puoi accedere al Calendario” (doc. 11 res.).
La società resistente ha quindi chiesto pronunciarsi la cessazione della materia del contendere, sul rilievo che “il sistema che controparte chiede di dichiarare discriminatorio, infatti, non esiste più e, pertanto, i provvedimenti richiesti da parte ricorrente non sarebbero più di alcuna utilità”.
Sul punto tuttavia si osserva che, diversamente da quanto vorrebbe parte resistente, la circostanza dedotta, consistente nella rimozione del sistema delle prenotazioni (SSB) con accessi scaglionati nel tempo, non integra un’ipotesi di sopravvenuta integrale cessazione della materia del contendere.
Ciò in quanto l’azione esperita dalle OOSS ricorrenti è volta ad ottenere non solo la condanna della società resistente a modificare il predetto meccanismo di accesso alle sessioni di lavoro, ma anche, ancor prima, ad accertare il carattere discriminatorio del meccanismo stesso, nonché a risarcire il danno conseguenziale.
Pertanto, sia la domanda di accertamento sia quella risarcitoria non appaiono in alcun modo superate dai fatti sopravvenuti in corso di causa, che possono incidere unicamente sull’interesse a coltivare le domande inibitorie originariamente introdotte dalle parti ricorrenti.
D’altro canto, com’è noto, la cessazione della materia del contendere va dichiarata, anche d’ufficio, in ogni caso in cui risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale dedotto e che conseguentemente non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto (cfr. Cass. n.2267 del 19/03/1990; Cass. n.12844 del 03/09/2003; Cass. n.4505 del 28/03/2001; Cass. n.1442 del 16/03/1981). Ne consegue che “Non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere quando il riconoscimento che il convenuto abbia fatto della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio dall’attore sia subordinato all’accertamento di un diverso assetto dei rapporti tra le medesime parti, sia pure con riguardo ad un distinto periodo di tempo, dovendo in tal caso il giudice, anche se ritenga che tale ultimo accertamento sia estraneo a quanto forma oggetto della causa, pronunciare sul merito della domanda dell’attore” (Cass. n.10553 del 09/10/1995); ovvero quando una delle parti abbia “… dato atto che successivamente all’introduzione della lite si sono verificati fatti astrattamente idonei a privarla di interesse alla prosecuzione del giudizio, quando nelle rispettive conclusioni ciascuno dei litiganti abbia insistito nelle rispettive originarie richieste così dimostrando il proprio interesse alla decisione della controversia” (Cass. n.622 del 22/01/1997; Cass. n.6395 del 01/04/2004; Cass. n.27460 del 22/12/2006); o ancora quando, pur essendo sopravvenuta nel corso del processo una situazione astrattamente idonea ad eliminare completamente la posizione di contrasto fra le parti in causa, facendo venir meno la necessità della decisione, persista comunque l’interesse di una di esse ad un accertamento giudiziale del diritto azionato (Cass. n.14144 del 16/12/1999) o sussista comunque opposizione di una delle parti (Cass. n.1950 del 10/02/2003). In definitiva “La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso. In mancanza di tale accordo, l’allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere da una sola parte, dev’essere valutata dal giudice” (Cass. n.16150 del 08/07/2010).
Ebbene, nel caso di specie non risulta né è stato dedotto che D I SRL abbia modificato le proprie condizioni di accesso alle sessioni di lavoro allo scopo di rimuovere la previa condotta asseritamente discriminatoria, ossia che abbia riconosciuto anche solo per fatti concludenti la fondatezza delle pretese di controparte; al contrario, la società ha espressamente e reiteratamente contestato, anche in sede di note conclusive autorizzate e di discussione, la fondatezza del ricorso.
Dal canto suo, parte ricorrente ha negato recisamente che la materia del contendere sia cessata, insistendo nelle proprie originarie conclusioni.
Non può pertanto essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, permanendo il contrasto tra le parti sulla natura discriminatoria della condotta per cui è causa, di tal che deve pervenirsi ad una pronuncia sul punto.
- Ciò premesso, nulla quaestio sulla applicabilità della normativa antidiscriminatoria invocata dalle OOSS ricorrenti anche ai riders.
Sul punto infatti anzitutto si osserva che l’art. 2 del D.lgs. n. 81/2015, come novellato dal decreto legge 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, nella legge 2 novembre 2019, n. 128, dispone che “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
La Suprema Corte, nel recente arresto n. 1663/2020, ha chiarito che, con la norma sopra citata – nel testo previgente, applicabile ratione temporis alla fattispecie portata all’attenzione della Corte – il legislatore ha inteso, in una ottica sia di prevenzione sia “rimediale”, selezionare “taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori” e “in ogni caso ha, poi, stabilito che quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato” . La Cassazione ha inoltre osservato che si tratta “di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di “debolezza” economica, operanti in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea” aggiungendo che l’intento protettivo del legislatore appare confermato dalla novella del 2019, “la quale va certamente nel senso di rendere più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza – per l’applicabilità della norma – di prestazioni “prevalentemente” e non più “esclusivamente” personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all’elemento della “etero-organizzazione”, eliminando le parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così mostrando chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione”.
Pertanto, alla luce della recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di tutela dei riders, non pare oggi potersi dubitare della necessità di estendere anche a tali lavoratori, a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro, l’intera disciplina della subordinazione e, in particolare, per quanto qui interessa, la disciplina a tutela del lavoratore da ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro.
Ogni ulteriore approfondimento sul punto e sulla vexata quaestio della qualificazione del rapporto di lavoro tra riders e piattaforma in termini di subordinazione o autonomia, appare del tutto superfluo ove si consideri poi che, per quanto qui interessa, esiste una specifica norma di legge, e cioè art. 47 quinquies d.lgs 81/15, introdotto dal DL 3 settembre 2019, n. 101 convertito con modificazioni dalla L. 2 novembre 2019, n. 128, che espressamente dispone, al comma 1, che “Ai lavoratori di cui all’articolo 47-bis”, ossia a “i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali”, “si applicano la disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità del lavoratore previste per i lavoratori subordinati, ivi compreso l’accesso alla piattaforma”.
Inoltre, anche il D.lgs. n. 216/03, recante le disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall’età e dall’orientamento sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, prevede espressamente che la disciplina antiscriminatoria si applica “a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione”.
Quanto poi alla possibilità di includere nell’espressione “convinzioni personali”, di cui all’art. 1 D. Lgs.n.216/2003, la discriminazione per motivi sindacali, si richiama la recente pronuncia della Suprema Corte n. 1/2020 che ha affermato i seguenti principi: “Accedendosi ad una interpretazione delle norme coerente con la ratio della norma comunitaria letta alla luce dei principi fondamentali del Trattato, nel caso specifico può senz’altro ritenersi che la direttiva 2000/78/CE, tutelando le convinzioni personali avverso le discriminazioni, abbia dato ingresso nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento (seppure nel solo ambito della regolazione dei rapporti di lavoro) della libertà ideologica il cui ampio contenuto materiale può essere stabilito anche facendo riferimento all’art. 6 del 1 0 TUE e, quindi, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infatti, se il legislatore comunitario avesse voluto comprendere nelle convinzioni personali solo quelle assimilabili al carattere religioso, non avrebbe avuto alcun bisogno di differenziare le ipotesi di discriminazione per motivi religiosi da quelle per convinzioni per motivi diversi. Il contenuto dell’espressione “convinzioni personali” richiamato dall’art. 4 d.lgs. 216/03 non può perciò che essere interpretato nel contesto del sistema normativo speciale in cui è inserito, restando del tutto irrilevante che in altri testi normativi l’espressione “convinzioni personali” possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o sindacali. Sicuramente l’affiliazione sindacale rappresenta la professione pragmatica di una ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati. 9.5. Nella giurisprudenza di questa Corte non si rinvengono precedenti specifici, tuttavia in alcune pronunce di legittimità, sia pure in fattispecie aventi diverso oggetto, incidenter tantum, l’espressione convinzioni personali è stata qualificata come professione di un’ideologia di altra natura rispetto a quella religiosa (in tal senso Cass. 10179/04 e, da ultimo, Cass. 3821/2011, che definisce la discriminazione per convinzioni personali come quella fondata su ragioni di appartenenza ad un determinato credo ideologico). 9.6. Pertanto, nell’ambito della categoria generale delle convinzioni personali, caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, può essere ricompresa, diversamente da quanto sostiene la società, anche la discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente divieto di atti o comportamenti idonei a realizzare una diversità di trattamento o un pregiudizio in ragione dell’affiliazione o della partecipazione del lavoratore ad attività sindacali.”.
Sulla scorta del citato arresto, da cui questo giudice non ha motivo di discostarsi, non può dubitarsi della piena sussumibilità della discriminazione per motivi sindacali nell’ambito di operatività della normativa antidiscriminatoria invocata dalle sigle ricorrenti.
- Sempre in via preliminare deve essere ora esaminata l’eccezione della società resistente, di difetto di legittimazione attiva di Filt Cgil Bologna, Filcams Cgil Bologna e Nidil Cgil Bologna.
Sul punto anzitutto si osserva che ricorrenti fondano la propria legittimazione attiva sulla norma dell’art. 5, co. 2, d.lgs. 216/2003, che così dispone: “I soggetti di cui al comma 1 sono altresì legittimati ad agire nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione”; laddove al comma 1 il medesimo articolo stabilisce che “Le organizzazioni sindacali, le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, in forza di delega, rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata, a pena di nullità, sono legittimate ad agire ai sensi dell’articolo 4, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l’atto discriminatorio”.
L’art. 5, comma 2, del d. Igs. 216/2003 prevede quindi l’azione delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso qualora si intenda far valere una discriminazione collettiva a danno di un gruppo di lavoratori identificati dall’appartenenza sindacale e, dunque, non individuati nominativamente in modo diretto e immediato quali persone lese dalla discriminazione (cfr. Cass. 20.7. 2018 n. 19443).
Peraltro, l’attuale formulazione dell’art. 5 deriva dalle modifiche ad esso apportate prima dall’art. 2, d.lgs. 256/2004 e successivamente dall’art. 8-septies, d.l. 59/2008 che, rispetto alla normativa previgente, hanno ampliato l’area dei soggetti legittimati ad agire ex art. 4, d.lgs. 216/2003. In particolare, in precedenza, la legittimazione attiva era prevista esclusivamente a favore delle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Attualmente, invece, la medesima legittimazione attiva spetta alle organizzazioni sindacali, alle associazioni ed alle organizzazioni sindacali “rappresentative del diritto o dell’interesse leso”.
Quanto a tale ultima nozione, giova richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nella recente pronuncia n. 20 luglio 2018, n.19443, ove si legge:
“Sulla base della direttiva n. 2000/78/CE, come pure della legge nazionale, non tutte le associazioni possono agire per conto altrui oppure vantare una posizione giuridica soggettiva propria: ma soltanto quelle in capo alle quali, sotto il primo profilo, sussista un potere delegato dal titolare del diritto soggettivo, o, sotto il secondo profilo, sia riconoscibile un “interesse legittimo a garantire che le disposizioni della presente direttiva siano rispettate” o, ai sensi della terminologia interna, siano ‘rappresentative del diritto o dell’interesse leso’. La tutela, predisposta dalla direttiva e dal provvedimento di attuazione, contro le condotte discriminatorie sul lavoro appartiene dunque al soggetto che le subisca e non alla collettività, non ponendosi come interesse diffuso, onde il primo è l’unico legittimato a farla valere, alla stregua delle regole generali. Tuttavia, nel caso in cui la discriminazione risulti attuata verso un’intera categoria di soggetti coinvolti fra quelle cui la disciplina intende offrire tutela, che non sia possibile nominatim individuare dunque verso una ‘collettività’ – subentra l’autonoma fattispecie legittimante ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 216 del 2003. In tal modo la norma, dopo aver contemplato, al primo comma, la figura ordinaria della delega conferita all’associazione perché rappresenti in giudizio l’interesse di un soggetto determinato, ha attribuito ad essa, nel secondo comma, la rappresentanza ex lege per conto di una collettività indeterminata, postulandone la natura esponenziale degli interessi contro la discriminazione, in tale fattispecie rivolta ad una pluralità di soggetti aventi analoghe caratteristiche.
Il legislatore non ha prescelto di individuare con chiarezza inequivoca – ad esempio, mediante l’iscrizione in un registro o albo o elenco – le associazioni rappresentative di dati interessi, sulla base di precisi requisiti: come, invece, ha fatto in altri settori, legittimando all’azione o all’intervento a tutela di interessi collettivi solo le associazioni iscritte in apposito albo (cfr. elenco ex art. 5 d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215, di attuazione della direttiva direttiva 2000/43/CE, con riguardo alla discriminazione a causa della razza; art. 52, comma 1, lett. a), d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, in tema di registro delle associazioni, degli enti e degli altri organismi privati che svolgono le attività a favore degli stranieri immigrati; artt. 137 e 139 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, in merito al quale Cass., sez. un., 16 novembre 2016, n. 23304, ha negato all’associazione di consumatori priva del requisito dell’iscrizione nell’elenco ministeriale la legittimazione attiva) oppure formalmente individuate dalla pubblica amministrazione (v., in materia di danno ambientale, gli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, Istituzione del Ministero dell’ambiente, secondo cui le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni, individuate con decreto del Ministro dell’ambiente, possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa).
Nell’ipotesi di associazione privata, occorre, in generale, distinguere il caso in cui l’associazione agisca facendo valere un diritto altrui in forza di una delega dell’interessato, dal caso in cui operi quale portatrice di un interesse collettivo che alla stessa faccia direttamente capo, quale c.d. ente esponenziale, non costituente ex ante una posizione soggettiva in capo ai singoli, ma nato come posizione sostanziale direttamente e solo in capo all’ente, dunque sorta di ‘derivazione’ dell’interesse diffuso, per sua natura adespota.
L’esigenza di un interesse qualificato risponde a criteri di selezione razionale dei soggetti che possano far valere un diritto in giudizio, per evitare l’espansione eccessiva dei legittimati, pur quando il fine primario sia propriamente altro, rispetto a quello di farsi portatori di un interesse prima diffuso. (…)
Mancando, nella specie, un sicuro criterio formale di attribuzione della legittimazione attiva, essa va individuata volta per volta.
L’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 216 del 2003 prevede una doppia indagine, richiedendo di accertare: a) l’impossibilità di individuare il soggetto o i soggetti singolarmente discriminati; b) la rappresentatività dell’associazione rispetto all’interesse collettivo in questione.
Una volta operato il duplice accertamento, ne deriva la titolarità ex lege della legittimazione ad agire (…).
Il requisito sub a) postula che la discriminazione, in quanto in violazione della parità di trattamento sul lavoro, abbia colpito una categoria indeterminata di soggetti, rientrante nel disposto dell’art. 2 d.lgs. n. 216 del 2003.
Il requisito sub b) va verificato sulla base dell’esame dello statuto associativo, il quale dovrà univocamente contemplare la tutela dell’interesse collettivo assunto a scopo dell’ente, che di esso si ponga quale esponenziale: deve, dunque, trattarsi di un interesse proprio dell’associazione, perché in connessione immediata con il fine statutario, cosicché la produzione degli effetti del comportamento controverso si risolva in una lesione diretta dello scopo istituzionale dell’ente, il quale contempli e persegua un fine ed un interesse, assunti nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione, come tale oggetto di un diritto dell’ente stesso.”
I principi sopra affermati dalla Suprema Corte trovano conferma anche nella recente decisione della Grand Chambre della Corte di Giustizia del 23 aprile 2020 C- 507/18, citata anche da parte ricorrente, la quale, al paragrafo 60, afferma: “Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni e altre persone giuridiche che, conformemente ai criteri stabiliti dalle rispettive legislazioni nazionali, abbiano un legittimo interesse a garantire che le disposizioni di tale direttiva siano rispettate, il diritto di avviare, in via giurisdizionale o amministrativa, per conto o a sostegno di una persona che si ritenga lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all’esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva suddetta”.
In tale ottica, di conseguenza, al fine di affermare la sussistenza della legittimazione attiva in capo all’ente ricorrente, la Corte di Giustizia ritiene che sia sufficiente che l’organo giudicante accerti che tali associazioni abbiano un legittimo interesse a garantire che le disposizioni della direttiva n. 2000/78/CE siano rispettate.
Ebbene, venendo al caso di specie, occorre rilevare che le OOSS ricorrenti, come dalle stesse allegato, nei rispettivi statuti si propongono, in generale, lo scopo di contrastare ogni forma di discriminazione nelle condizioni di lavoro e assicurare la rappresentanza ad ogni forma contrattuale di lavoro
In particolare, nello Statuto Filt Cgil si legge cha detto ente: “Promuove la lotta contro ogni forma di discriminazione, la libera associazione e l’autotutela solidale e collettiva delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti o eterodiretti, di quelli occupati in forme cooperative e autogestite, degli autonomi non imprenditori e senza dipendenti, dei disoccupati”. (doc. 2 ric.).
Inoltre, trattandosi di organizzazioni sindacali, è in re ipsa la titolarità di un interesse proprio ad agire giudizialmente a tutela del diritto di sciopero, tipica espressione dell’attività sindacale, da ogni forma di discriminazione diretta e indiretta conseguente all’esercizio di tale diritto.
Le organizzazioni sindacali, espressamente indicate tra i soggetti legittimati dall’art. 5 co. 2, rientrano quindi sicuramente tra quei soggetti collettivi che operano sul territorio nazionale a difesa dell’effettività del principio di non discriminazione e che, appunto, si prefiggono di spiegare la loro azione (quantomeno) con riferimento ad uno dei fattori possibile fonte di discriminazione, individuato nella partecipazione ad azioni sindacali.
Sussiste poi l’ulteriore presupposto richiesto dalla norma invocato in quanto la asserita discriminazione, in violazione della parità di trattamento sul lavoro, colpirebbe una categoria indeterminata di soggetti, ossia tutti i rider partecipanti o intenzionati a partecipare a forme di astensione collettiva dal lavoro.
Non paiono invece cogliere nel segno le censure della società resistente, secondo cui le OOSS ricorrenti “avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di rider iscritti alle loro organizzazioni e darne prova (ad es. a mezzo delle deleghe o delle iscrizioni)” e ciò non hanno fatto.
Ed invero, la giurisprudenza sia nazionale sia comunitaria sopra richiamata afferma che, al fine di ritenere sussistente la legittimazione attiva degli enti esponenziali, non è necessario che i soggetti portatori degli interessi lesi siano effettivamente parte delle associazioni che agiscono in giudizio, purché queste ultime abbiano come scopo precipuo quello di tutelare giudizialmente proprio tali interessi.
Neppure occorre a tal fine che parte ricorrente alleghi casi concreti di discriminazione relativi a soggetti specifici, anche perché l’autonoma fattispecie di legittimazione attiva prevista dal comma 2 dell’art. 5 è applicabile proprio quando è impossibile individuare in maniera diretta e specifica il soggetto o i soggetti portatori dell’interesse leso.
Deve pertanto ritenersi sussistente la legittimazione attiva delle OOSS ricorrenti.
- Venendo quindi al merito, va premesso che la nozione di discriminazione sia diretta che indiretta è stabilita dall’art. 2 del D. Lgs. 216/2003, che definisce la prima come riferita alle ipotesi in cui “per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento ai casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
E’ stato osservato che, mentre nel caso di discriminazione diretta è la condotta, il comportamento tenuto, che determina la disparità di trattamento, nel caso di discriminazione indiretta la disparità vietata è l’effetto di un atto, di un patto di una disposizione di una prassi in sé legittima; di un comportamento che è corretto in astratto e che, in quanto destinato a produrre i suoi effetti nei confronti di un soggetto con particolari caratteristiche, che costituiscono il fattore di rischio della discriminazione, determina invece una situazione di disparità che l’ordinamento sanziona (Cass. 25/07/2019, n. 20204). Allo stesso modo, la Corte EDU ha affermato che «una differenza di trattamento può consistere nell’effetto sproporzionatamente pregiudizievole di una politica o di una misura generale che, se pur formulata in termini neutri, produce una discriminazione nei confronti di un determinato gruppo» (Cedu, sentenza 13 novembre 2007, D.H. e a. c. Repubblica ceca [GC] (n. 57325/00), punto 184; Cedu, sentenza 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia (n. 33401/02), punto 183. Cedu, sentenza 20 giugno 2006, Zarb Adami c. Malta (n. 17209/02), punto 80).
E’ stato altresì chiarito che la discriminazione opera obiettivamente ovvero in ragione dei mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta, e a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro (cfr Cass. 5 aprile 2016 n. 6575).
Inoltre, il d.lgs. 216/03, nel definire la discriminazione diretta (“una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga”) introduce sia una comparazione attuale, che una meramente ipotetica. Come chiarito dalla Corte di Giustizia, «l’esistenza di una discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 non presuppone che sia identificabile un denunciante che asserisca di essere stato vittima di tale discriminazione» (così, par. 36 causa C-81/12 Associatia Accept, nonché par. 23 causa C-54/07). Ciò significa che è atta ad integrare discriminazione anche una condotta che, solo sul piano astratto, impedisce o rende maggiormente difficoltoso l’accesso all’occupazione, come nei casi analoghi sottoposti all’esame della Corte di Giustizia (causa C-81/12 Associatia Accept, nonché causa C-54/07).
Va poi rammentato, in punto di distribuzione dell’onere della prova, che ai sensi dell’art. 28, co.4, del D. Lgs 150 del 2011, nelle controversie in materia di discriminazione, fra cui quelle di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione.”
Ne discende che nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio l’attore ha soltanto l’onere di fornire elementi di fatto, anche di carattere statistico, idonei a far presumere l’esistenza di una discriminazione: qualora il dato statistico fornito dal ricorrente indichi una condizione di svantaggio per un gruppo di lavoratori, è onere del datore di lavoro dimostrare che le scelte sono state invece effettuate secondo criteri oggettivi e non discriminatori.
Quanto all’agevolazione probatoria in favore del soggetto che lamenta la discriminazione è stato evidenziato (cfr. Cass. 27.9.2018 n. 23338, Cass. 12.10.2018 n. 25543) che le direttive in materia (n. 2000/78, così come le nn. 2006/54 e 2000/43), come interpretate della Corte di Giustizia, ed i decreti legislativi di recepimento impongono l’introduzione di un meccanismo di agevolazione probatoria o alleggerimento del carico probatorio gravante sull’attore “prevedendo che questi alleghi e dimostri circostanze di fatto dalle quali possa desumersi per inferenza che la discriminazione abbia avuto luogo, per far scattare l’onere per il datore di lavoro di dimostrare l’insussistenza della discriminazione” (cfr. Cass. n. 14206 del 2013, in materia di discriminazione di genere). Ciò consente di ritenere, quindi, che, nel regime speciale applicabile nei giudizi antidiscriminatori, si configuri un’inversione, seppure parziale, dell’onere probatorio.
Tanto premesso e venendo al caso che occupa, ritiene il giudicante che siano emersi elementi sufficienti a far presumere, sia pure nei limiti della sommaria cognitio che caratterizza il presente procedimento, la discriminatorietà del sistema di accesso alle fasce di prenotazione delle sessioni di lavoro adottato da D I SRL.
Giova anzitutto ricostruire brevemente detto sistema, sulla scorta delle allegazioni delle parti e dalle testimonianze assunte, che appaiono su molti aspetti sostanzialmente concordi.
Il rapporto tra ciascun rider e la piattaforma inizia con la conclusione di un contratto (vedasi contratto-tipo, doc. 2 res.), che deve essere restituito sottoscritto alla società resistente via e-mail.
Il predetto contratto-tipo, per quanto qui interessa, alla clausola 3.4 così recita: “D I SRL fornisce un servizio flessibile di prenotazione self-service (“SSB”) che può essere liberamente usato per loggarsi o per prenotare sessioni in cui il Rider vuole ricevere Proposte di Servizio. La prenotazione tramite lo strumento SSB è interamente opzionale, ma ove usata e confermata, al Rider sarà garantito l’accesso per ricevere proposte di Servizio nelle sessioni prenotate. La disponibilità durante le sessioni prenotate, se non cancellate in anticipo dal rider, e l’attività durante momenti di particolare traffico potranno essere elemento di preferenza per la prenotazione di sessioni successive” (sottolineatura dell’estensore).
Una volta sottoscritto il contratto quadro, il rider riceve delle credenziali (log-in e password) per accedere all’applicazione (app) scaricata sul proprio smartphone.
Ogni volta che è disponibile a ricevere ordini, il rider accede alla app, inserendo le proprie credenziali; quando il rider è “loggato” nella app, può decidere liberamente se accettare o rifiutare qualunque proposta di servizi (così punto 3.5 del contratto – doc. 2 res).
Per ricevere proposte di servizio, il rider ha – rectius, aveva prima del 2 novembre u.s. – due canali alternativi: può prenotare le sessioni in anticipo, utilizzando il “servizio flessibile di prenotazione self-service”, anche denominato “SSB” (self-service booking), di cui all’estratto del contratto sopra riportato; oppure può loggarsi in tempo reale con il sistema denominato “free log-in”.
Il sistema di prenotazione «SSB» (Self-Service Booking), sul quale si appuntano le censure delle OOSS ricorrenti, prevede la possibilità per i riders, ogni lunedì, di accedere al Calendario della settimana successiva e “prenotare” le sessioni di lavoro (cd slot) in cui intendono ricevere proposte di servizi.
Nell’effettuare la prenotazione, il rider può scegliere, tra quelli disponili, gli slot orari e l’area o le aree in cui effettuare la sua opera di consegna (la piattaforma suddivide discrezionalmente il territorio nazionale in zone di lavoro, che talvolta coincidono con il perimetro del Comune di riferimento, talvolta no, ben potendosi ripartire il perimetro comunale in più aree, come avviene ad esempio nel caso delle grandi città, che sono divise in più di una zona).
Com’è pacifico, i rider non hanno accesso al Calendario delle prenotazioni tutti nello stesso momento, bensì in tre orari diversi: a partire dalle ore 11:00 del lunedì, a partire dalle ore 15:00 oppure a partire dalle ore 17:00 dello stesso giorno.
La possibilità per il rider di accedere al sistema di prenotazione SSB in uno piuttosto che nell’altro orario dipende da due “indici” di prenotazione, di cui vi è sintetica indicazione anche nel contratto tipo predisposto da D I SRL: trattasi dell’indice di affidabilità e di quello di partecipazione nei picchi.
Secondo quanto allegato anche dalla resistente (vedasi pag.12 della comparsa), i valori dei due indici sono determinati, rispettivamente:
- dal numero delle occasioni in cui il rider, pur avendo prenotato una sessione, non ha partecipato, dove «partecipare» significa loggarsi entro i primi 15 minuti dall’inizio della sessione (indice di affidabilità);
- dal numero di volte in cui ci si rende disponibili per gli orari (dalle ore 20 alle ore 22 dal venerdì alla domenica) più rilevanti per il consumo di cibo a domicilio (indice di partecipazione nei picchi).
I valori dei due indici di cui sopra determinano le “statistiche” di ogni rider, ossia una sorta di “punteggio” (che le OOSS definiscono “ranking reputazionale”) funzionale alla possibilità di accedere al sistema di prenotazione SSB collocandosi in una delle tre diverse fasce di accesso alle prenotazioni.
In particolare, a partire dalle ore 11,00 accede al calendario il 15% dei riders che ha le statistiche migliori; a partire dalle ore 15.00 accede il 25 % dei riders che ha le statistiche progressivamente inferiori; alle 17.00 accedono tutti gli altri riders (vedasi, sul punto, deposizione del teste M M).
Com’è pacifico tra le parti, le sessioni di lavoro (slot) disponibili per le prenotazioni si riducono progressivamente nel tempo, nel senso che i riders che accedono ad ore 11.00 del lunedì hanno a disposizione tutte le sessioni libere della settimana successiva, che via via prenotano, occupandole; i riders che accedono dalle 15.00 hanno a disposizione le sessioni di lavoro non prenotate dai riders che hanno avuto accesso dalle ore 11.00, ed infine i riders che accedono dalle ore 17.00 hanno a disposizione solo gli slot lasciati liberi dai colleghi che hanno avuto accesso alle ore 11.00 e alle ore 15.00.
E’ pertanto evidente che i riders che hanno accesso al sistema SSB solo nelle fasce orarie (15,00 e 17,00) successive alla prima (11,00) hanno sempre più ridotte occasioni di lavoro.
Tanto emerge dalle pagine dello stesso sito ufficiale della resistente, ove si legge che “ se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una possibilità maggiore di ottenere una conferma sulle tue richieste settimanali” e “se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una possibilità maggiore di ricevere una notifica prima degli altri riders” (doc. 13 ric.).
La rilevanza per il rider, in termini di potenziali occasioni di lavoro, dell’inserimento nella prima, piuttosto che nella seconda o nella terza fascia è stata peraltro concordemente confermata dai testi escussi.
In particolare, l’informatore indotto da parte ricorrente P A, sotto l’impegno di rito, sul punto ha riferito: “per avere accesso agli slot ci sono tre fasce: la prima alle 11 del mattino del lunedì’, che ha più slot disponibili; poi c’è la fascia delle 15 del lunedì che vede disponibili tutti gli slot che residuano dopo le scelte delle 11; e infine c’è l’ultima fascia delle 17 che vede disponibili i posti residui dopo le scelte delle 11 e quelle delle 15, praticamente si è fortunati se si fanno 2 ore. Io attualmente sono nella fascia delle 17, ma sono stato anche in prima e in seconda fascia. Posso dire che, mediamente, secondo la mia esperienza, in prima fascia si possono prenotare anche 40 ore, in seconda tra le 13 e le 17 ore e in terza fascia si possono prendere una o due ore. Mi è anche capitato, trovandomi in terza fascia, di non riuscire a prenotare nessuno slot. Quando ero in seconda fascia riuscivo sempre a trovare qualcosa, almeno sabato sera a domenica sera. In prima fascia si trova quasi tutta la settimana, ovviamente conviene scegliere immediatamente dopo le 11”.
Anche il teste indotto dalla società resistente, M M, sul punto ha dichiarato: “Far parte della prima fascia è incentivante, perché si ha accesso prima alle prenotazioni quindi si hanno più possibilità di scelta degli slot.”
Così tratteggiato il sistema di accesso alle prenotazioni, si osserva che i sindacati ricorrenti ne lamentano la natura discriminatoria con riguardo allo specifico profilo dell’accesso al lavoro, sul rilievo che dette condizioni di impiego di fatto impediscono “la legittima condotta del rider volta aderire ad una iniziativa sindacale di sciopero in quanto lo espongono inesorabilmente alla perdita di occasioni di lavoro future, emarginandolo nella scelta dei turni”.
In particolare, le OOSS deducono che la valutazione della affidabilità del rider “in stretta correlazione con le priorità nella scelta delle sessioni di lavoro, inibisce il diritto di sciopero in quanto, ogni eventuale partecipazione ad “azioni collettive” – a fortiori se intervenute nelle sessioni di maggiore interesse per l’azienda (venerdì, sabato e domenica) – produce per il “worker” una drastica riduzione del suo punteggio che si ripercuote sulle possibili future occasioni di lavoro facendolo retrocedere nelle fasce di priorità”.
L’assunto ha trovato adeguato riscontro nella documentazione in atti e nell’istruttoria svolta.
E’ pacifico, infatti, ed è stato confermato dai testi che la mancata partecipazione del rider alla sessione prenotata – e non previamente cancellata – incide negativamente sulle statistiche del rider e in particolare sul parametro della affidabilità.
Ed invero, è la stessa società convenuta a riferire che il rider può cancellare liberamente la sessione prenotata fino al momento del suo inizio e può “non loggarsi fino a 14 minuti e 59 secondi dopo l’inizio della sessione” senza che ciò impatti negativamente sulle sue statistiche, con ciò implicitamente ma chiaramente ammettendo che, al contrario, il mancato log-in oltre i 15 minuti dall’inizio della sessione prenotata incide negativamente sul parametro della affidabilità.
In questo senso anche le concordi dichiarazioni dei testi (teste M: “Il log in ai fini delle statistiche può essere effettuato in qualunque momento entro i primi 15 minuti dello slot. Se il rider che ha prenotato effettua il log in dopo i primi 15 minuti, ai fini della statistica risulta una sessione non partecipata. Quindi incide in senso peggiorativo sull’indice della affidabilità”; teste P: “Anche se uno non si riesce a connettersi entro i primi 15 minuti dell’ora, questo comporta una perdita di affidabilità”) e la produzione documentale estratta dal sito web della convenuta (vedasi ad esempio doc. 9 ric., ove si legge: “Una sessione viene conteggiata solo se fai il log in entro 15 minuti dal suo inizio. Se inizi con più di 15 minuti di ritardo potrai comunque effettuare le consegne ma la sessione verrà contata come non lavorata nel calcolo dell’affidabilità”; doc. 12 ric. ove è chiarito al rider: “per avere una affidabilità sempre al 100% ricordati di svolgere le sessioni prenotate effettuando il log in nei primi 15 minuti della sessione”).
E’ parimenti pacifico ed è emerso dall’istruttoria che, per “loggarsi”, il rider debba necessariamente trovarsi all’interno dell’area geografica (zona di lavoro) in relazione alla quale ha prenotato la sessione.
Ciò premesso, appare provato che l’adesione ad una iniziativa di astensione collettiva dal lavoro è idonea a pregiudicare le statistiche del rider, giacché il rider che aderisce ad uno sciopero, astenendosi dall’attività lavorativa – ciò in cui consiste il comportamento materiale definibile come sciopero – e dunque non partecipando ad una sessione prenotata, verrà inevitabilmente a subire una diminuzione del suo punteggio sotto il profilo della affidabilità, ed eventualmente anche sotto il profilo della partecipazione, laddove la sessione prenotata si collochi nella fascia oraria 20.00-22.00 del fine settimana.
Né può darsi rilievo, come invece vorrebbe la società resistente, al fatto che il rider che sia malato o voglia astenersi dal lavoro pur avendo prenotato una sessione possa “loggarsi e non consegnare neanche un ordine”.
Ciò in quanto, come già si è detto, per loggarsi il rider deve necessariamente recarsi all’interno della zona di lavoro ove ha prenotato una sessione, in quanto la app ne rileva la posizione geografica grazie ad un sistema di geolocalizzazione.
Dunque per evitare la penalizzazione delle proprie statistiche, il rider che voglia scioperare dovrebbe comunque recarsi all’interno della zona di lavoro entro i primi 15 minuti dall’inizio della sessione prenotata, cioè in sostanza dovrebbe necessariamente presentarsi sul luogo di lavoro, il che appare incompatibile con l’esercizio del diritto di sciopero che consiste invece nella totale astensione dall’attività lavorativa (e a maggior ragione con l’eventuale stato di malattia o con la necessità di assistere un figlio minore malato, che normalmente presuppongono l’impossibilità di allontanarsi dal proprio domicilio).
Del pari, sembra pregiudicare le statistiche del rider, e dunque le sue future occasioni di lavoro, anche la cd “late cancellation”, ossia la cancellazione della sessione prenotata con preavviso inferiore a quello (di 24 ore prima dell’inizio della sessione) richiesto dal regolamento di D I SRL.
La questione, sulla quale si sono ampiamente soffermate le difese delle parti, rappresenta uno dei pochi fatti di causa oggetto di contestazione.
Ed invero, i sindacati ricorrenti hanno dedotto che qualsiasi “cancellazione”, ovvero annullamento della prenotazione della sessione con un preavviso inferiore alle 24 ore, determinerebbe per il rider un peggioramento delle sue statistiche; la circostanza è stata invece negata da D I SRL Italia srl che, nel costituirsi in giudizio, ha espressamente escluso che la cancellazione delle prenotazioni, addirittura fino all’inizio della sessione, abbia alcun impatto sulle statistiche.
Sul punto anzitutto si osserva che la mancata allegazione e prova, da parte della società resistente, del concreto meccanismo di funzionamento dell’algoritmo che elabora le statistiche dei rider preclude in radice una più approfondita disamina della questione. Ed invero, in corso di causa la società – sulla quale evidentemente gravava l’onere della relativa prova, se non altro sulla base del generale principio di vicinanza della stessa – non ha mai chiarito quali specifici criteri di calcolo vengano adottati per determinare le statistiche di ciascuna rider, né tali specifici criteri vengono pubblicizzati sulla piattaforma, laddove si rinviene unicamente un generico riferimento agli ormai noti parametri della affidabilità e partecipazione.
In ogni caso, l’assunto difensivo di D I SRL, secondo cui la cancellazione tardiva, quantomeno in Italia, non produrrebbe alcuna conseguenza sulle statistiche, pare smentito dalla stessa documentazione proveniente dalla società.
Ed invero, già il contratto-tipo depositato da D I SRL (doc. 2 res.) alla citata clausola 3.4, prevede che la disponibilità durante le sessioni prenotate, “se non cancellate in anticipo”, potrà costituire elemento di preferenza per la prenotazione di sessioni successive, così dando espresso rilievo alle necessità di procedere alla eventuale cancellazione anticipata rispetto all’inizio della sessione.
Inoltre, nelle pagine del sito internet della resistente, si legge in più punti che “puoi cancellare una prenotazione in qualsiasi momento prima dell’inizio della sessione prenotata. Le sessioni cancellate non incidono sull’affidabilità, ma se cancelli una prenotazione con meno di 24 ore di anticipo quel giorno verrà considerato nei 14 giorni lavorati per il calcolo delle statistiche” (doc. 16 ric., allegato alle note difensive del 16.6.2020), dal che si evince che la cancellazione tardiva della sessione prenotata non è priva di conseguenze sul calcolo delle statistiche stesse.
Sempre il sito di D I SRL, nelle pagine recanti maggiori informazioni, ricorda ai rider che “prenotare una sessione e non partecipare avrà un impatto negativo sulle statistiche. Inoltre se cancellerai una prenotazione con meno di 24 ore di anticipo la giornata rientrerà nel calcolo dei 14 giorni lavorati e potrebbe causare un abbassamento delle tue statistiche” (doc. 3 allegato alle note difensive di parte ricorrente).
L’incidenza, quanto meno in termini di possibilità, della cancellazione tardiva sulle statistiche del rider è stata poi confermata dal teste di parte ricorrente P che sul tema ha riferito: “La cancellazione della sessione prenotata fatta almeno 24 ore prima non penalizza; fatta invece a meno di 24 ore penalizza, lo so perché per questo motivo a luglio sono passato dall’86 all’81% di affidabilità e questo mi ha passato dalla seconda alla terza fascia, anche perché erano sessioni del week end e quindi la cancellazione tardiva ha inciso negativamente anche sul parametro della partecipazione alle ore di alta intensità”.
La circostanza è stata confermata, seppure con molte cautele, anche dal teste M il quale, dopo aver inizialmente dichiarato che “ai fini della statistica, non fa alcuna differenza se il rider cancella oltre 24 ore prima dell’inizio della sessione prenotata, tra le 24 ore e l’inizio e entro i primi 15 minuti dall’inizio: in tutti i casi, la cancellazione non impatta sull’indice della affidabilità in alcun modo”, ha poi precisato che “per la affidabilità le 24 ore non hanno nessun impatto, quello su cui hanno impatto è che se il rider non cancella almeno 24 ore prima, quel giorno viene inserito nei 14 giorni che contribuiscono al calcolo delle statistiche”, per poi concludere che “è possibile, ma a mio avviso, non frequente che la cancellazione tardiva impatti sulle statistiche, ma non sotto il profilo della affidabilità, bensì sotto quello della partecipazione”.
Alla luce del quadro istruttorio come sopra esposto, pertanto, deve ritenersi provato che, diversamente da quanto sostenuto dalla convenuta, anche la cd “late cancellation” possa penalizzare le statistiche del rider, se non sotto il profilo della affidabilità, almeno sotto quello della partecipazione.
Ne discende logicamente che il rider che aderisca ad uno sciopero, e dunque non cancelli almeno 24 ore prima del suo inizio la sessione prenotata, può quindi subire un trattamento discriminatorio, giacché rischia di veder peggiorare le sue statistiche e di perdere la posizione eventualmente ricoperta nel gruppo prioritario, con i relativi vantaggi.
Né può sostenersi che il rider – allo scopo di evitare gli effetti pregiudizievoli della adesione allo sciopero – possa/debba semplicemente cancellare anticipatamente la sessione prenotata, perché così facendo metterebbe la piattaforma in condizioni di sostituirlo, annullando ogni effetto pratico della iniziativa di astensione collettiva e vanificando il diritto di sciopero costituzionalmente garantito anche ai lavoratori autonomi parasubordinati.
D’altro canto, la giurisprudenza ha ritenuto legittimo lo sciopero improvviso, cioè senza preavviso (Corte Cost. 62/124; Cass. 23552/2004), e ciò vale vieppiù nella fattispecie, in cui il preavviso, come si è detto, consentirebbe al datore di lavoro di sostituire agevolmente i rider scioperanti, elidendo o comunque minimizzando quel danno economico che è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso.
Le medesime considerazioni possono essere svolte in relazione alle ulteriori ipotesi di mancata partecipazione alla sessione prenotata o di cancellazione tardiva della stessa per le altre cause legittime ipotizzate in ricorso (malattia, handicap, esigenze legate alla cure di figli minori, ecc.): in tutti questi casi il rider vede penalizzate le sue statistiche indipendentemente dalla giustificazione della sua condotta e ciò per la semplice motivazione, espressamente riconosciuta da D I SRL, che la piattaforma non conosce e non vuole conoscere i motivi per cui il rider cancella la sua prenotazione o non partecipa ad una sessione prenotata e non cancellata.
Ma è proprio in questa “incoscienza” (come definita da D I SRL) e “cecità” (come definita dalle parti ricorrenti) del programma di elaborazione delle statistiche di ciascun rider che alberga la potenzialità discriminatoria dello stesso.
Perché il considerare irrilevanti i motivi della mancata partecipazione alla sessione prenotata o della cancellazione tardiva della stessa, sulla base della natura asseritamente autonoma dei lavoratori, implica necessariamente riservare lo stesso trattamento a situazioni diverse, ed è in questo che consiste tipicamente la discriminazione indiretta.
Il sistema di profilazione dei rider adottato dalla piattaforma D I SRL, basato sui due parametri della affidabilità e della partecipazione, nel trattare nello stesso modo chi non partecipa alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipa perché sta scioperando (o perché è malato, è portatore di un handicap, o assiste un soggetto portatore di handicap o un minore malato, ecc.) in concreto discrimina quest’ultimo, eventualmente emarginandolo dal gruppo prioritario e dunque riducendo significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro.
La conclusione trova conforto nella deposizione delle teste S S, dirigente sindacale di una delle sigle ricorrenti, la quale ha riferito delle difficoltà incontrate nell’indizione degli scioperi nel settore in quanto i riders sono restii a partecipare a tali forme di protesta perché detta partecipazione pregiudica le loro future occasioni di lavoro (“la mia organizzazione sindacale ha tra i suoi iscritti dei riders, all’interno dell’organizzazione e direttamente con i riders che abbiamo incontrato negli ultimi anni è stata oggetto di numerose discussioni la tematica delle statistiche. Sono state riferite delle criticità ogni qual volta noi come OOSS abbiamo proposto ai lavoratori, come modalità di protesta, quella dello sciopero: in quelle occasioni i riders ci hanno rappresentato che scioperare avrebbe comportato non solo la perdita della retribuzione per quella giornata, ma anche una forte penalizzazione nella attività lavorativa futura. Mi è stato spiegato che la problematica nasceva da quello che loro chiamano ranking reputazionale e dal sistema che c’è dietro. Questa forte penalizzazione ci è stata riferita anche rispetto a casi diversi dallo sciopero, ad esempio nel caso di malattie che hanno impedito la partecipazione alla sessione prenotata. I rider rappresentano il fatto che i due pilastri alla base del ranking, la partecipazione e la affidabilità, costituiscono un punteggio e che questo punteggio genera le possibilità di lavoro future.”).
Ma se ne trova indiretta conferma anche nella deposizione del M, unico teste indotto dalla resistente, il quale ha riferito che “gli unici due casi in cui D I SRL prende in considerazione le ragioni della mancata partecipazione alla sessione prenotata sono: se c’è stato un sinistro su turni consecutivi di cui si ha evidenza che ha di fatto impedito la prosecuzione del lavoro e se c’è stato un problema tecnico del sito che cade, cioè che non funziona più. In questi due casi si possono sistemare le statistiche mediante un apposito programma che “simula” la partecipazione alla sezione prenotata, o comunque toglie quella parte che avrebbe potuto avere un impatto negativo. In sostanza, si consente al rider di conservare le statistiche che aveva prima dell’infortunio o del crash del sistema. Questi due casi sono codificati dalle nostre procedure interne e nessun altro caso può essere preso in considerazione.”
Ebbene, la circostanza che la società resistente riservi un trattamento “particolare” alle uniche due ipotesi (quella dell’infortunio su turni consecutivi e quella del malfunzionamento del sistema) in cui evidentemente ritiene meritevole di tutela la ragione della mancata partecipazione alla sessione prenotata dimostra plasticamente come non solo sia materialmente possibile, ma sia anche concretamente attuato, un intervento correttivo sul programma che elabora le statistiche dei rider, e che la mancata adozione, in tutti gli altri casi, di tale intervento correttivo è il frutto di una scelta consapevole dell’azienda.
In sostanza, quando vuole la piattaforma può togliersi la benda che la rende “cieca” o “incosciente” rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è perché ha deliberatamente scelto di porre sullo stesso piano tutte le motivazioni – a prescindere dal fatto che siano o meno tutelate dall’ordinamento – diverse dall’infortunio sul lavoro e dalla causa imputabile ad essa datrice di lavoro (quale evidentemente è il malfunzionamento della app, che impedisce il log-in).
Il sistema di accesso alle prenotazioni (SSB) adottato dalla resistente realizza quindi non una discriminazione diretta, ma una discriminazione indiretta, dando applicazione ad una disposizione apparentemente neutra (la normativa contrattuale sulla cancellazione anticipata delle sessioni prenotate) che però mette una determinata categoria di lavoratori (quelli partecipanti ad iniziative sindacali di astensione dal lavoro) in una posizione di potenziale particolare svantaggio.
A fronte di ciò, era onere della società convenuta provare la finalità legittima e il carattere di appropriatezza e necessità dei mezzi impiegati per conseguirla (art. 3, co. 6 L. 216/2003).
Ritiene il giudicante che tale onus probandi non sia stato adeguatamente assolto.
Ed invero, sul punto la società si è limitata ad asserire che “la finalità di D I SRL nel tenere traccia delle ore prenotate ma non cancellate e durante le quali il rider ha deciso di non loggarsi, neppure nei 14 minuti e 59 secondi successivi al momento di inizio della sessione, non può che ritenersi legittima, trattandosi di un rapporto tra committente e prestatori d’opera autonomi, così come appropriati appaiono i mezzi che – come ribadito più volte – tracciano il dato della cancellazione senza impatto sulle statistiche dei rider e senza in alcun modo tenerne in considerazione i motivi, coerentemente con la natura del rapporto e degli interessi in gioco”.
Sennonché tali affermazioni, incentrate sulla pretesa qualificazione del rapporto tra rider e piattaforma in termini di lavoro autonomo – su cui la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1663/2020) e di merito (Trib. Palermo Sent. n. 3570/2020 del 24.11.2020, prodotta dalle ricorrenti all’udienza di discussione) non parrebbe pienamente allineata – nella loro astrattezza appaiono delle mere petizioni di principio, del tutto sprovviste di concreto riscontro.
Quanto poi al fatto che il sistema SSB sarebbe “un vantaggio ai rider nel loro complesso” in quanto permetterebbe ad altri rider di accedere alla sessione prima prenotata e poi cancellata, basti osservare che qui non si discute della legittimità del sistema in sé, né del fatto che sia incentivata la cancellazione preventiva delle sessioni prenotate che non si intendono più utilizzare, ma solo il fatto che l’eventuale cancellazione tardiva o la mancata partecipazione alla sessione non cancellata non possa essere giustificata dal rider sulla base di comprovate ragioni dotate di rilievo giuridico (prima fra tutte, ma non sola, l’esercizio del diritto di sciopero costituzionalmente garantito).
Né la discriminatorietà del sistema di prenotazione (SSB) può ritenersi esclusa dalla natura opzionale del sistema stesso.
Sul punto infatti si osserva che la circostanza che esista un secondo e diverso canale di accesso alle occasioni di lavoro (quello del cd free log-in) non incide sulla accertata natura discriminatoria del primo.
Inoltre, dall’istruttoria svolta è emerso che il sistema del free log-in appare verosimilmente residuale – quanto meno in alcune realtà – rispetto al sistema delle prenotazioni, giacché le prenotazioni potenzialmente “coprono” buona parte, se non la totalità, delle sessioni disponibili.
D’altro canto, lo stesso sito della resistente chiarisce che il rider può effettuare il log-in in qualsiasi momento anche senza effettuare la prenotazione, ma soltanto “se in una zona c’è una sessione in corso disponibile” (doc. 11 ric.).
Lo stesso teste della resistente, M Martino, sul punto ha dichiarato: “E’ improbabile, ma non mi sento di escluderlo in assoluto, che il sistema di accesso su prenotazione saturi tutti gli slot disponibili in una data zona; un certo numero di slot residui per il free log in dovrebbe esserci sempre. Può capitare che il lunedì, nel momento in cui si libera la settimana successiva per le prenotazioni, in una data zona alcuna fasce orarie, non necessariamente quelle della sera del week end quanto quelle della mattinata che sono numericamente inferiori, vengano coperte tutte con le prenotazioni”. Il teste di parte ricorrente P ha poi riferito: “In teoria si può anche effettuare la consegna senza prima prenotazione della fascia oraria, ma di fatto io non ci sono mai riuscito perché non ho mai trovato la fascia oraria disponibile”.
E’ poi evidente dalla documentazione in atti che la stessa convenuta incentiva i suoi rider a far parte del gruppo prioritario per ottenere dei vantaggi (cfr doc. 13 ric.), sottolineando in più contesti i “privilegi” riconosciuti ai rider facenti parte di detto gruppo, con ciò evidentemente promuovendo l’utilizzo di quel sistema di prenotazione di cui in questa sede sottolinea invece la natura meramente facoltativa ed opzionale.
Sulla base delle predette motivazioni, va pertanto dichiarata la natura discriminatoria del sistema di prenotazione (“SSB”) delle sessioni di lavoro adottato dalla società convenuta, come sopra descritto.
- Passando alle pronunce consequenziali a quella di accertamento, occorre anzitutto rilevare che, trattandosi di condotta discriminatoria già conclusa, atteso che D I SRL ha allegato – e sul punto non vi è contestazione – che il sistema delle prenotazioni SSB è ormai dismesso su tutto il territorio nazionale a far data dal 2.11.2020, non può essere ordinata la cessazione del comportamento illegittimo, bensì, soltanto, la rimozione dei relativi effetti.
A tale scopo, come richiesto dalle OOSS ricorrenti, si ritiene, quale provvedimento idoneo alla rimozione degli effetti, ai sensi dell’art. 28, co. 5 D. Lgs. n.150/2011, di ordinare a D I SRL la pubblicazione della presente ordinanza sul proprio sito internet e nell’area “domande frequenti” delle piattaforma gestita dalla convenuta.
Come richiesto in ricorso, ai sensi del citato art. 28, co. 7, D. Lgs. n. 150/2011 deve altresì essere ordinata la pubblicazione di un estratto del presente provvedimento, per una sola volta e a spese della società convenuta, su un quotidiano di tiratura nazionale, individuato ne “La Repubblica”.
Quanto alla domanda risarcitoria, si osserva che l’art.28 del d.lgs.150/2011, al comma 5 dispone che il giudice con l’ordinanza che definisce il giudizio può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale, tenendo eventualmente conto del fatto che l’atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.
Come chiarito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass.16601/2017), trattasi di una delle varie fattispecie contemplate dall’attuale panorama normativo in cui, accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell’istituto del risarcimento del danno (che immancabilmente lambisce la deterrenza), ne emerge una natura polifunzionale “che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva”. Nell’occasione le Sezioni Unite hanno avuto modo di rilevare che vi è anche un riscontro a livello costituzionale della cittadinanza nell’ordinamento di una concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde soprattutto a un’esigenza di effettività (cfr. Corte Cost. 238/2014 e Cass. n. 21255/13) della tutela che in molti casi resterebbe sacrificata nell’angustia monofunzionale. Va poi segnalato che della possibilità per il legislatore nazionale di configurare “danni punitivi” come misura di contrasto della violazione del diritto eurounitario parla Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072.
Nel solco dell’autorevole arresto sopra citato, condivisibile giurisprudenza di merito (Trib Firenze Ord. del 26/06/2018) ha configurato il danno previsto dall’art. 28 d.Lgs 150/2011 come avente natura di danno comunitario, il cui risarcimento deve determinarsi in conformità ai canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità, dissuasività (Cass. sez. L sent. n. 27481/2014; Cass. Sez L sent. n. 13655/2015), quale danno presunto e con valenza sanzionatoria (Cass. SS.UU. sent. n. 5072/2016).
Anche la Corte di Giustizia UE non ha mancato di pronunciarsi sulla dissuasività e proporzionalità del risarcimento, per esempio nella sentenza 2.4.2013, causa C-81/12, Asociaţia Accept c. Consiliul Naţional pentru Combaterea Discriminării, in tema di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, precisando in relazione ai principi della direttiva 2000/78 che, per tutte le misure che il diritto nazionale deve contemplare ex art. 17 (e dunque ciò vale anche per il rimedio risarcitorio), “una sanzione meramente simbolica non può essere considerata compatibile con un’attuazione corretta ed efficace della direttiva”.
A favore della autonoma azionabilità della domanda risarcitoria da parte dell’ente collettivo va poi ricordata la già citata Cass. n. 20 luglio 2018, n.19443 ove si specifica che, nell’ipotesi di ricorso promosso ai sensi dell’art. 5 co. 2 D. Lgs 261/2003, l’azione proposta dal sindacato è a diretta tutela dell’interesse collettivo proprio dell’ente esponenziale, legittimato a farne valere la lesione: onde il medesimo avrà, altresì, la facoltà di richiedere il risarcimento del danno in proprio favore (art. 17 direttiva n. 2000/78/CE; art. 4, comma 5, d.lgs. n. 216 del 2003; art. 28, comma 5, d.lgs. n. 150 del 2011). In questo senso anche la sentenza della Corte d’Appello di Brescia, sent. n. 328/2019, citata in atti, che ha accordato la tutela risarcitoria alla organizzazione sindacale ricorrente in un giudizio antidiscriminatorio argomentando che “la sanzione deve essere oltre che dissuasiva, efficace e proporzionata, ed è indubbio che la parte convenuta, quale soggetto collettivo esponente degli interessi dei lavoratori che intendano avere un’attività sindacale, abbia subito un pregiudizio (non patrimoniale) per effetto del comportamento – pubblico e ripetuto – della società appellante, in termini di lesione di un diritto, legalmente tutelato, alla parità di trattamento nell’accesso al lavoro e nel corso del rapporto di lavoro, nonostante l’attivismo sindacale, diritto propugnato e tutelato dallo stesso sindacato”.
Ciò premesso si ritiene che, anche nel caso di specie, a fronte di una platea di riders non identificati né identificabili che hanno subito un pregiudizio per effetto della prassi discriminatoria adottata dalla piattaforma resistente, deve potersi dispiegare l’azione autonoma del Sindacato non solo ai fini del piano di rimozione (problema che, nel caso di specie, è stato superato dai fatti sopravvenuti in corso di causa), ma anche del risarcimento del danno subito dall’organizzazione legittimata jure proprio, a fronte di condotte che oltre ad incidere sulla sfera soggettiva di ciascuna vittima, sono, come quella in discorso, idonee ad inficiare la capacità rappresentativa dell’Ente in relazione all’interesse protetto e dunque ad indebolirne l’efficacia di azione a scapito dell’intera collettività.
Deve pertanto trovare accoglimento anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale causato dalla condotta discriminatoria che si quantifica, in via equitativa, tenuto conto della diffusione su tutto il territorio nazionale della condotta, delle sistematicità della sua attuazione e della pubblicità della stessa, in €.50.000,00, oltre interessi nella misura di legge dalla presente pronuncia al saldo effettivo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al DM 55/2014, valori medi per ogni fase.
P.Q.M.
Il Giudice del Tribunale del Lavoro, ogni altra istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, in accoglimento del ricorso:
– Accerta e dichiara la discriminatorietà della condotta di D I SRL in relazione alle condizioni di accesso alla prenotazione delle sessioni di lavoro tramite la piattaforma digitale, come descritta in atti;
– condanna la società convenuta a rimuovere gli effetti della condotta discriminatoria mediante la pubblicazione del presente provvedimento sul proprio sito internet e nell’area “domande frequenti” della propria piattaforma;
– ordina la pubblicazione di un estratto del presente provvedimento, per una sola volta, a cure e spese della società convenuta, su un quotidiano di tiratura nazionale, individuato ne “La Repubblica”;
– condanna la società convenuta al pagamento a favore delle parti ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno, della somma di €. 50.000,00 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo;
– condanna la società convenuta alla rifusione in favore delle parti ricorrenti delle spese di lite che liquida in €. 7.254,00 per compensi professionali oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge.
Si comunichi.
Bologna, 31/12/2020
Il Giudice
dott. Chiara Zompì