Licenziamento lavoratore disabile, obbligo di adottare i ragionevoli accomodamenti, Tribunale di Verona, sentenza del 6 agosto 2020.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Verona – Sezione Lavoro,
nella persona del Giudice dott. Antonio Gesumunno, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di lavoro promossa con ricorso depositato in data 13.06.2019
DA
F V , in persona del legale rappresentante pro tempore, comparsa in causa a mezzo degli avv. Gianluca Spolverato e Francesca Marchesan per mandato inserito nel fascicolo telematico ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli stessi in Padova, Via Rismondo n. 2/e
CONTRO
R Q, comparso in causa a mezzo degli avv.ti Gianfranco Magalini ed Elisa Favè, per mandato inserito nel fascicolo telematico ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Verona, Lungadige Capuleti n. 1/a
OGGETTO: opposizione a ordinanza c.d. Legge Fornero
UDIENZA DI DISCUSSIONE: 09.06.2020
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE:
Piaccia al Tribunale di Verona – Sezione lavoro, ogni contraria domanda e istanza respinta,
– riformare e/o annullare l’ordinanza del Tribunale di Verona, Sezione Lavoro, pubblicata in data 13 maggio 2019, adottata nel procedimento R.G. n. 781/2018 e, in accoglimento della proposta opposizione
– in via principale, accertare e dichiarare per le ragioni indicate in ricorso, la legittimità del licenziamento impugnato e, comunque, rigettare le domande proposte dal sig. R Q perché infondate in fatto e in diritto;
– in via subordinata: nella denegata ipotesi in cui venisse accertata l’illegittimità del licenziamento, a) applicare l’art. 18, comma 9, Statuto Lavoratori e, in via ulteriormente subordinata, l’art. 18, comma 7, Statuto Lavoratori; b) detrarre dalla somma riconosciuta l’aliunde perceptum aut percipiendum per altre attività lavorative, nella misura che emergerà in corso di causa.
Con vittoria di spese, diritti e onorari, oltre spese generali, c.p.a. e IVA.
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA:
In via principale
– Per tutti i motivi di cui al ricorso, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 18, commi 1 e 2, L. n. 300/70, dichiararsi ed accertarsi la nullità del licenziamento nella presente sede impugnato in quanto discriminatorio ed ordinarsi alla società convenuta F V , in persona del legale rappresentante pro tempore, la reintegrazione del ricorrente sig. R Q nel posto di lavoro.
– Condannarsi, per l’effetto, la società convenuta F V , in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno subito dal ricorrente stabilendo un’indennità in misura pari all’ultima retribuzione globale di fatto, pari ad € 2.324,55, oltre rateo di Tfr di € 172,18 (oltre ad aumenti contrattuali) maturata dal giorno del licenziamento, 27/06/2017, sino a quello dell’effettiva reintegrazione nonché, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
In subordine, a conferma dell’ordinanza reclamata
– Per tutti i motivi di cui al ricorso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, commi 4 e 7, L. n. 300/70, annullarsi il licenziamento comminato dalla società convenuta al ricorrente e confermarsi la condanna della società convenuta F V in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.
– Confermarsi la condanna, per l’effetto, della convenuta F V in persona del legale rappresentante pro tempore a corrispondere al ricorrente un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, pari
ad € 2.324,55, oltre rateo di Tfr di € 172,18, dal giorno del licenziamento, 27/06/2017, sino a quello dell’effettiva reintegrazione, sino ad un massimo di dodici mensilità per il periodo precedente l’ordinanza reclamata, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati di interessi nella misura legale
In ogni caso
– Con maggiorazione di interessi e rivalutazione monetaria ex art. 429 co. 3, cpc,
– Con integrale rifusione di spese, CU e compensi di causa, oltre a contributo forfetario 15%, Iva e Cpa.
Motivi della decisione
Con ricorso depositato ai sensi dell’art. 1 comma 51 legge 92/12 F V ha convenuto in giudizio R Q e ha proposto opposizione, svolgendo le conclusioni sopra riportate, avverso l’ordinanza emessa il 13.5.2019 da questo Tribunale all’esito della fase sommaria del rito speciale.
Si è costituito nel giudizio di opposizione il lavoratore R Q ed ha svolto le conclusioni in epigrafe.
Il Giudice ritenuto che la causa di opposizione non richiedeva nuovi approfondimenti istruttori rispetto alle prove testimoniali e documentali acquisite nella fase sommaria, ed esperito senza esito il tentativo di conciliazione, fissava l’udienza di discussione all’esito della quale tratteneva la causa per la decisione ai sensi dell’art. 1 comma 57 L. 92/12.
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L’opposizione svolta dalla F V è infondata e deve essere disattesa integralmente. Si richiamano e si confermano le motivazioni, di seguito riportate, dell’ordinanza emessa da questo Giudice all’esito della fase sommaria:
Il Giudice, a scioglimento della riserva assunta all’udienza 05/02/2019 osserva quanto segue
Con ricorso proposto ai sensi dell’articolo 1 comma 48 legge 92/12 R Q conveniva in giudizio la società F V. esponendo: che la convenuta era azienda siderurgica con centinaia di dipendenti; di essere stato assunto il 01/08/2005; di avere sempre svolto prestazione presso la sede legale e produttiva della società convenuta, con inquadramento da ultimo al quarto livello del C.C.N.L. metalmeccanica; di avere svolto sino al gennaio 2009 mansioni di addetto al carro ponte; di essere stato giudicato inidoneo a tale mansione e pertanto di essere stato adibito alla officina meccanica, con le limitazioni prescritte dal medico competente; di essere stato sottoposto nel dicembre 2009 ad un intervento chirurgico per l’impianto di un defibrillatore sottocutaneo; di essere stato riconosciuto all’esito della visita in data 08/07/2009 invalido civile all’80% in situazione di handicap grave ai sensi della legge 104/92, con riduzione della capacità lavorativa oltre 45% ai sensi dell’articolo 1 n. 68/99; che al rientro in azienda nel gennaio 2010 il medico competente aveva sottoposto il ricorrente a visita di accertamento di idoneità alla mansione anche lo scopo di valutare la possibilità di interferenze con campi magnetici dei magneti presenti in officina e sulle gru; che pertanto la società convenuta, esaminati i valori di esposizione a campi magnetici nella postazione di lavoro del ricorrente e nelle altre possibili destinazioni, tenuto conto della prescrizione del cardiologo e delle indicazioni del produttore del defibrillatore, aveva individuato, a partire dal gennaio 2010, nel laboratorio qualità e nella mansione di addetto alle prove fisiche la postazione lavorativa e la mansione compatibile con le condizioni di salute; che nelle successive visite mediche periodiche il ricorrente, ininterrottamente addetto al laboratorio qualità, era stato dichiarato idoneo allo svolgimento delle mansioni ivi assegnate; di essere stato addetto all’interno del laboratorio all’uso del pendolo, registrando i dati ottenuti su apposito file, e della macchina broccatrice; che nel dicembre 2017 la società convenuta aveva inserito nel laboratorio qualità un nuovo macchinario, denominato smagnetizzatore, utilizzato per smagnetizzare i campioni utilizzati per le prove; che si trattava di un macchinario di dimensioni ridotte e facilmente trasportabile in altro luogo dello stabilimento; che l’utilizzo di tale macchinario impegnava non più di 10 minuti al giorno; che per lo specifico dispositivo impiantato al ricorrente le linee guida del produttore indicavano in 1mT il valore di esposizione a interferenze elettromagnetiche, oltre il quale dispositivo avrebbe potuto non funzionare correttamente; che sulla base delle prove effettuate in data 20/01/2017 il superamento di tale valore era stato misurato solamente in prossimità del centro della “bocca” dello smagnetizzatore, mentre nell’area circostante erano stati misurati valori di molto inferiori; che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione aveva trasmesso a mezzo e-mail il rapporto della prova ai dirigenti aziendali ed al medico competente, con il suo personale parere di incompatibilità dei portatori di defibrillatore nella mansione di addetto al laboratorio prove qualità; che il medico competente a seguito di visita del 30/01/2017 aveva ritenuto che il ricorrente non potesse accedere per la sua sicurezza all’area presa in considerazione, tenuto conto dell’impossibilità di modificare l’organizzazione del lavoro e della impossibilità di isolare il rischio all’interno del laboratorio vista la presenza di due macchinari, smagnetizzatore e spettrometro-scintilligrafo, che possono dare interferenze elettromagnetiche; di avere impugnato il giudizio medico competente ai sensi dell’articolo 41 dlg 81/2008; che la competente commissione medica, acquisita la relazione di visita specialistica ed il parere degli ingegneri della ditta costruttrice del dispositivo impiantato al ricorrente, aveva modificato il parere del medico competente ritenendo il lavoratore idoneo alla mansione di addetto al controllo qualità nel laboratorio di analisi fisiche, purché venisse adibito a mansioni e utilizzo di macchinari che comportassero esposizione a valori di campo magnetico statico e dinamico inferiori a 1mT, rimettendo al datore di lavoro l’individuazione in concreto di mansioni compatibili; che il RSSP aveva espresso parere di inesistenza di compiti assegnabili al ricorrente e compatibili con le sue condizioni di salute; che la società convenuta con lettera del 01/06/2017 aveva comunicato ai sensi dell’articolo 7 legge 604/66 la propria determinazione di procedere al licenziamento del ricorrente; dopo il mancato raggiungimento un accordo tra le parti, la società convenuta aveva comunicato con lettera del 22/06/2017 il licenziamento “a fronte della accertata ridotta idoneità della mansione di addetto al laboratorio qualità e dell’inesistenza-anche alla luce della perizia effettuata dal ns RSSP -di altre posizioni anche di livello inferiore all’interno dell’azienda in cui Lei possa essere utilmente collocato”; che la società convenuta aveva ritenuto, sulla base della relazione del responsabile RSPP del 30/05/2017, che non esistessero mansioni idonee a garantire un’esposizione a valori di campo magnetico inferiori a quelli indicati dalla commissione della ULSS9; di avere impugnato il licenziamento con lettera del 09/08/2017.
Il ricorrente deduceva la nullità del licenziamento per violazione della normativa antidiscriminatoria per regione di handicap, con particolare riferimento al decreto legislativo 216/2003, con il quale era stata data attuazione alla direttiva 2000/78/CE, che disciplina la parità di trattamento in materia di occupazione di condizioni di lavoro, individuando tra i fattori di rischio anche la condizione di handicap fisico. Il ricorrente sosteneva infatti che la scelta organizzativa di introdurre un nuovo macchinario, cioè lo smagnetizzatore, e di collocarlo proprio nella postazione lavorativa del ricorrente, aveva avuto l’effetto di introdurre una “barriera” che aveva precluso la partecipazione lavorativa del disabile in condizioni di parità con gli altri lavoratori. Infatti sino all’introduzione dello smagnetizzatore il ricorrente era stato perfettamente idoneo allo svolgimento della mansione affidata, tenuto conto anche dei valori di magnetismo dei macchinari presenti sino ad allora nel laboratorio qualità. Il ricorrente sosteneva che lo smagnetizzatore poteva essere collocato in ambiente diverso in quanto confinato in una delle stanze presenti all’interno del laboratorio. In ogni caso, tenuto conto del fatto che il superamento dei valori limite era stato misurato solamente a pochi centimetri di distanza dallo smagnetizzatore, il fattore di rischio poteva essere eliminato semplicemente affidando l’uso di tale macchinario a un lavoratore diverso. Pertanto il ricorrente chiedeva che fosse accertata la nullità del licenziamento per violazione del divieto di discriminazione previsto dall’articolo 3 comma tre bis DLG 216/2003e che fosse applicata la tutela prevista dal comma 1 dell’articolo 18 legge 300/70.
In via subordinata la parte ricorrente chiedeva che il licenziamento fosse annullato e che fosse applicata la tutela prevista dall’articolo 18 commi 4 e 7 legge 300/70.
Si costituiva in giudizio la società convenuta e chiedeva l’integrale rigetto delle domande di parte ricorrente esponendo che lo smagnetizzatore era stato introdotto poiché era stata verificata una imprevedibile ed anomala magnetizzazione del pendolo di Charpy, utilizzato giornalmente anche dal ricorrente. Il RSSP aveva ritenuto che nel laboratorio qualità vi erano superiori ai LA nelle immediate vicinanze dello smagnetizzatore e che vi erano livelli inferiori ai LA anche in vari punti interno dei locali del laboratorio che quindi non si poteva escludere che i lavoratori addetti al laboratorio portatori di AIMD potessero anche per distrazione o errore sostare in zone pericolose. Il RSSP aveva evidenziato che, in base alla normativa contenuta nelle direttive europee sulla sicurezza e salute in materia di esposizione del lavoratore al rischio derivante da agenti fisici, dovevano essere adottate, per i lavoratori con stimolatori cardiaci, adeguate precauzioni misure anche in presenza di livelli inferiori rispetto ai LA (livelli di azione). La società convenuta valorizzava la relazione specialistica acquisita dalla commissione investita del riesame del giudizio di idoneità del medico competente, nella quale si evidenziava che vi erano rischi non trascurabili di interferenze elettromagnetiche, che potevano comportare il non corretto funzionamento del dispositivo medicale. Inoltre la convenuta evidenziava il fatto che il rischio non era determinato soltanto dalla possibilità che il ricorrente si avvicinasse in maniera imprudente o per distrazione al smagnetizzatore o dallo scintillografo, infatti, nel laboratorio qualità vi erano rischi imprevisti come in particolare dimostrato dalla magnetizzazione del pendolo per effetto dei campioni proveniente dall’officina qualità. Inoltre i campi magnetici erano prodotti anche dagli stessi materiali ferrosi trattati. La società convenuta esponeva che non era possibile spostare lo smagnetizzatore in altro luogo dello stabilimento e che non vi erano altre mansioni compatibili con l’inquadramento del ricorrente e la sua professionalità disponibili in azienda; la società convenuta esponeva inoltre che era stato proposto al ricorrente un reimpiego presso la società che aveva l’appalto del servizio di pulizia per gli uffici, ma tale ricollocazione non era stata accettata dalla parte ricorrente. La convenuta sosteneva inoltre che nel caso in questione non poteva essere configurata una discriminazione del lavoratore disabile, poiché doveva trovare applicazione la prima eccezione prevista al comma 2 dell’articolo 2 della direttiva 2000/78, il quale prevede che vada esclusa la ricorrenza di un’ipotesi di discriminazione indiretta qualora la disposizione, criterio o prassi sia oggettivamente giustificato da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Nel caso in esame la finalità legittima quella della protezione della vita del ricorrente. In via subordinata, la società convenuta chiedeva l’applicazione dell’articolo 18 comma 7, con la tutela prevista dall’articolo 18 comma quarto.
La causa è stata istruita mediante l’assunzione delle prove testimoniali dedotte dalle parti. È stata fissata udienza di discussione con termine per note difensive, all’esito della quale il giudice si riservava la decisione.
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Le domande di parte ricorrente sono in parte fondate devono essere accolte nei termini di seguito precisati.
Nella lettera di licenziamento la società convenuta ha preso atto del giudizio espresso dalla commissione medica a seguito del ricorso proposto al lavoratore avverso il giudizio di inidoneità espresso dal medico competente in data 30/01/2017. La commissione aveva infatti ritenuto il lavoratori idoneo alla mansione di addetto al controllo di qualità nel laboratorio di analisi fisica “purché il lavoratore venga adibito a mansioni di utilizzo di macchinari che comportino esposizione a valori di campo magnetico statico e dinamico inferiori a 1 mt”.
La società convenuta nella comunicazione di recesso ha richiamato la relazione del responsabile di servizio sicurezza in data 30/05/2017 secondo la quale “all’interno del laboratorio qualità-né comunque in altre postazioni aziendali-non esistono mansioni che possono garantire un’esposizione a valori di campo magnetico inferiori a quelli indicati dalla commissione ULSS9”.
Il RSSP E ha redatto la relazione in questione (DOC 21 di parte ricorrente) sulla base di quanto indicato dalla commissione, la quale ha demandato al datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente e con il responsabile del servizio di prevenzione protezione, di provvedere ad individuare compiti compatibili con lo stato di salute del ricorrente, tenuto conto della inidoneità a mansioni che comportino esposizione a valori di campo magnetico statico e dinamico superiori a 1 mT
Il RSSP ha esposto le possibili fonti di campi magnetici all’interno dell’azienda e in particolare ha evidenziato la presenza di campi magnetici nei materiali metallici che venivano utilizzati per effettuare le prove fisiche nell’ambito del laboratorio a cui era addetto il ricorrente. Tali valori di campo magnetico statico possono avere valori vicini o superiori al limite individuato dalla commissione della Ulss9.
La necessità di smagnetizzare sia le barre di prova che la stessa macchina per prove di resilienza (pendolo), secondo l’autore della relazione, sarebbe “la prova lampante che tale fenomeno esiste maniera significativa e non è percepibile se non attraverso apposite particolari misurazioni”. Il RSSP suggeriva pertanto adottare il principio della “massima precauzione possibile” allo scopo di prevenire qualsiasi rischio di interferenza tra il defibrillatore del ricorrente e i campi magnetici.
La parte ricorrente, in particolare nelle note difensive autorizzate, ha correttamente evidenziato che gli accertamenti che hanno portato alla valutazione di inidoneità da parte del medico competente e alla successiva modifica di tale giudizio da parte della commissione medica su ricorso del lavoratore, sono stati determinati dalla introduzione nel laboratorio dello smagnetizzatore.
Infatti, come stato confermato anche dai testi S ed E, il cosiddetto pendolo, in sede di misurazione dei limiti di esposizione a campi elettromagnetici nell’ambiente di lavoro, non aveva mai fornito valori anomali. La magnetizzazione residua del pendolo è stata causata dal fatto che i campioni metallici vengono preparati da una macchina a controllo numerico che si trova nell’officina qualità e che genera un magnetismo residuo elevato. Verificata l’impossibilità di procedere alla smagnetizzazione della macchina a controllo numerico, si era deciso di procedere dapprima alla smagnetizzazione del pendolo e poi all’utilizzo di un’apposita macchina denominata smagnetizzatore per potere trattare le “provette” prima di utilizzarle per le prove di resilienza con il pendolo (teste S).
Il sig. S aveva comunicato all’azienda con Mail del 24.11.2016 che l’utilizzo dello smagnetizzatore avrebbe risolto maniera definitiva il problema della magnetizzazione del pendolo poiché l’apparecchiatura in questione produceva una “perfetta smagnetizzazione” delle provette” (DOC 4 convenuta).
Il teste E ha riferito che “lo smagnetizzatore tuttavia non elimina del tutto il magnetismo dei campioni e quindi il pendolo subisce comunque una magnetizzazione quindi periodicamente viene chiamata una ditta esterna specializzata che provvede alla bonifica” “per quanto riguarda il pendolo il problema è potenziale e non facilmente riscontrabile perché l’emissione di campi magnetici è variabile e non facilmente predeterminabile”
Il sig. S, sentito come teste ha precisato “il problema dei campi magnetici dipende comunque anche dal pendolo che tende a magnetizzarsi in maniera non esattamente misurabile e prevedibile, anche se non in maniera esagerata tenuto conto dell’utilizzo dello smagnetizzatore. Periodicamente misuriamo il magnetismo del pendolo ogni due settimane per effettuare le prove. Ci sono dei limiti se vengono superati si sospende la prova”.
La commissione medica non ha ritenuto idoneo il ricorrente al lavoro in assenza di qualunque campo elettromagnetico ma soltanto nel caso in cui l’esposizione superi il valore limite di 1mT. È pacifico che lo smagnetizzatore sia stato introdotto proprio per ridurre al minimo l’involontaria magnetizzazione del pendolo utilizzato per le prove di resilienza, con la precisazione che la magnetizzazione in questione stata rilevata sul pendolo, poiché essa comportava anomalie nei risultati delle prove e non per valutare l’esposizione campi magnetici degli addetti al laboratorio.
I testimoni di parte convenuta hanno riferito che lo smagnetizzatore non elimina del tutto il problema della formazione di campi magnetici nelle provette quindi anche nel pendolo. Tuttavia nel corso della causa non vi sono state allegazioni o produzioni dirette a documentare l’accertamento nell’ambiente in cui opera il ricorrente di campi magnetici derivanti dal funzionamento del pendolo superiori o prossimi ai valori limite individuati dalla commissione. Il Documento di Valutazione Rischi (doc. 22 convenuta) riporta per il pendolo il valore massimo di 0,740 mT, inferiore al limite previsto dalla Commissione e comunque il pendolo non è stato individuato come fonte di campi magnetici.
La società convenuta ha allegato come documento 23 alle note difensive autorizzate per la discussione la documentazione attestante la misurazione di valori di magnetismo residuo del pendolo nel gennaio 2019. All’udienza del 05/02/2019 la difesa di parte convenuta ha eccepito l’irritualità di tale produzione, avente peraltro ad oggetto fatti sopravvenuti non solo al licenziamento del ricorrente ma anche alla instaurazione della causa. L’eccezione di parte ricorrente è fondata sia sotto il punto di vista processuale sia sotto il profilo della rilevanza probatoria. In primo luogo, pur tenendo conto della specialità del rito, non si ritiene ammissibile la produzione di un documento diretto a far emergere, fase di discussione della causa, nuovi temi di prova, che richiedono nuove difese e ulteriori approfondimenti istruttori. In secondo luogo, tenuto conto dei rispettivi oneri probatori, gravava sulla società resistente la prova dei presupposti dell’inidoneità del ricorrente alle mansioni assegnate nel laboratorio qualità nel momento in cui è stato deciso e comunicato il licenziamento.
Ciò premesso pertanto la parte ricorrente ha correttamente individuato nella introduzione dello smagnetizzatore l’elemento che ha determinato l’azienda a sollecitare il parere di idoneità del medico competente, successivamente modificato dalla commissione su ricorso del lavoratore. In particolare, la commissione ha effettuato la propria valutazione sulla base della relazione specialistica a firma della dottoressa V (DOC 19 ricorrente). Il medico specialista ha espresso le proprie valutazioni sulla base delle misure del campo statico e dinamico, esaminate anche degli ingegneri della ditta costruttrice del defibrillatore. La dottoressa V ha ritenuto che i valori di campo magnetico statico e dinamico superassero i limiti di sicurezza indicati dalle linee guida solamente in prossimità (2 cm) dello smagnetizzatore.
L’intensità del campo magnetico a distanza di 50 cm dallo smagnetizzatore veniva ritenuta di basso rischio di interferenza, sebbene il rischio tuttavia non fosse considerato trascurabile, e pertanto il medico specialista ha ritenuto che anche a tale distanza non era garantito il corretto funzionamento degli defibrillatore. Invece le restanti misurazioni fatte in altri punti della fabbrica mostrano “basso/trascurabile di rischio di IEM”.
La parte ricorrente conviene sul fatto che il posizionamento dello smagnetizzatore nel laboratorio, all’interno di un locale attualmente privo di una porta o comunque di chiusura che possa impedire un avvicinamento anche involontario del lavoratore al dispositivo, costituisca attualmente un ostacolo per la valutazione di idoneità del ricorrente alla prosecuzione dell’attività nel laboratorio qualità.
La parte ricorrente invoca la previsione contenuta nell’articolo 3 comma 3 bis del decreto legislativo n. 216/2003 secondo la quale “Al fine di garantire il rispetto del principio della parita’ di trattamento delle persone con disabilita’, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18 , nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilita’ la piena eguaglianza con gli altri lavoratori”.
Secondo la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione “ una interpretazione della L. n. 216 del 2003, costituzionalmente orientata nonchè valutata alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia Europea porta a ritenere che il diritto del lavoratore disabile all’adozione di accorgimenti che consentano l’espletamento della prestazione lavorativa trova un limite nell’organizzazione interna dell’impresa e, in particolare, nel mantenimento degli equilibri finanziari dell’impresa stessa (cfr. già Corte Cost. n. 78 del 1958, Corte Cost. n. 316 del 1990, Corte Cost. n. 356 del 1993) nonchè nel diritto degli altri lavoratori alla conservazione delle mansioni assegnate e, in ogni caso, di mansioni che ne valorizzino l’esperienza e la professionalità acquisita.
Dall’istruttoria è emerso che il ricorrente può continuare ad operare con esposizione a valori di esposizione nei limiti indicati dalla Commissione all’interno del laboratorio mediante l’adozione di soluzioni organizzative ragionevoli, in quanto non comportanti eccessivi oneri di natura economica ed organizzativa. Infatti testimoni sentiti hanno riferito che lo smagnetizzatore non viene utilizzato in maniera continua durante l’intera giornata lavorativa ma soltanto per pochi minuti prima che inizino le vere propria prove mediante le apparecchiature esistenti nel laboratorio. Il teste S ha riferito che la macchina smagnetizzatrice viene utilizzata circa 20 minuti al giorno cioè “in genere la mattina dopo i dipendenti sono andati in officina ritirare campioni”.
Il teste B da ritenere maggiormente attendibile in quanto addetto proprio alle mansioni di inserimento dei campioni nello smagnetizzatore, ha parlato di un funzionamento in complesso non superiore a tre minuti. Pertanto si può ritenere che, potendo ragionevolmente determinare una durata media tra i cinque e dieci minuti al giorno, la prevenzione di rischi per la salute del ricorrente possa essere garantita efficacemente mediante una diversa modulazione dell’orario di lavoro, concordando l’inizio del lavoro del ricorrente una volta terminate le operazioni di magnetizzazione. Inoltre i testimoni hanno confermato che lo smagnetizzatore si trova in una delle quattro stanze più piccole all’interno del laboratorio qualità. I rischi di una disposizione anche involontaria del ricorrente a campi magnetici derivanti dallo smagnetizzatore possono essere adeguatamente prevenuti mediante installazione di una porta e di meccanismi di chiusura e di una regolamentazione degli accessi che comporti il divieto di ingresso da parte di soggetti portatori di dispositivi medicali soggetti ad interferenze con i campi elettromagnetici.
Il datore di lavoro pertanto non ha dimostrato la non praticabilità degli adattamenti necessari per consentire al lavoratore disabile di proseguire l’attività lavorativa all’interno dell’azienda compatibilmente con la professionalità già acquisita.
La parte ricorrente ha chiesto in via principale dichiararsi la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio nei confronti del lavoratore disabile, con l’applicazione della tutela reintegratoria piena di cui all’art. 18 primo e terzo comma L. 300/70.
Ad avviso dello scrivente non vi sono i presupposti per configurare il licenziamento discriminatorio.
Infatti, come ha condivisibilmente evidenziato parte della dottrina, il legislatore ha voluto espressamente mantenere una previsione di tutela reintegratoria attenuata per i casi in cui il licenziamento sia stato motivato da una inidoneità sopravvenuta del lavoratore, sulla base della costante giurisprudenza che ha identificato il licenziamento per inidoneità sopravvenuta con il recesso per giustificato motivo oggettivo. Diversamente ragionando, si dovrebbe concludere che la mancata prova della adozione di “accomodamenti” ragionevoli comporti automaticamente la natura discriminatoria del recesso e quindi anche la sostanziale abrogazione della norma contenuta nel comma 7 dell’art. 18 legge 300/70.
Nel caso in esame il recesso è stato motivato dall’introduzione di un macchinario che non può essere qualificato come una “barriera” che impedisce il lavoro del disabile, poiché la sua installazione è stata motivata da oggettive esigenze produttive.
Pertanto, in accoglimento delle domande svolte in via subordinata dalla parte ricorrente, il licenziamento impugnato deve essere annullato deve essere ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro del ricorrente con la condanna della società convenuta al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento, nei limiti delle 12 mensilità, la retribuzione globale di fatto è stata indicata dalla parte ricorrente in € 2324,55, oltre rateo TFR di 172,18 euro. Il quantum della retribuzione globale di fatto non è stato contestato dalla parte convenuta.
La parte convenuta allega che nel corso delle trattative successive alla valutazione di non idoneità da parte del medico competente, l’azienda aveva ottenuto da parte della società H, appaltatrice del servizio di pulizia e stabilimento, la disponibilità all’assunzione del ricorrente. Tuttavia il ricorrente non aveva accettato di firmare la lettera predisposta dalla società H, dopo essere venuto a conoscenza del provvedimento con il quale era stato modificato il giudizio di non idoneità espresso dal medico competente.
La condotta tenuta dal ricorrente non può sicuramente essere qualificata come colpevole rifiuto di in una occasione lavorativa idonea a ridurre il danno derivante da licenziamento. In primo luogo, l’offerta è stata formulata prima che la società convenuta comunicasse l’intenzione di procedere al licenziamento, in secondo luogo le condizioni lavorative offerte erano palesemente difformi rispetto a quelle del rapporto di lavoro con la convenuta (veniva offerto un contratto di lavoro a tempo determinato per un periodo di sei mesi e con orario di lavoro a part-time 52, 5% in mansioni di addetto al servizio mensa e lavaggio); in terzo luogo il lavoratore aveva già ottenuto la modifica da parte dello S del giudizio di inidoneità formulato dal medico competente.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo applicando in via analogica i valori medi dei compensi previsti dai parametri vigenti per i procedimenti cautelari di valore indeterminabile e complessità bassa (fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale)
Il parziale accoglimento del ricorso giustifica la parziale compensazione delle spese di lite nella misura di un terzo
P.Q.M.
1) in parziale accoglimento del ricorso, annulla il licenziamento comunicato al ricorrente con lettera del 22.6.2017 e condanna la società convenuta a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto (€ 2324,55 oltre rateo TFR 172,18 mensili) dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione e nei limiti delle dodici mensilità, oltre agli interessi sulle somme rivalutate annualmente dalla maturazione dei crediti sino al saldo ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento sino alla reintegrazione;
2) dichiara compensate nella misura di un terzo le spese di lite, che liquida per l’intero in € 5.535 per compensi e € 259 per contributo unificato, oltre Iva Cpa e rimb. forf. 15% e condanna la parte convenuta a rifondere la quota residua
Verona,12/05/2019
Nella fase sommaria la decisione sulla legittimità del licenziamento è stata adottata sulla base di una approfondita istruttoria sia documentale che testimoniale e le parti hanno potuto sviluppare le proprie argomentazioni in fatto e diritto nella fase di discussione anche mediante deposito di note scritte. Nella presente fase a cognizione piena la F V non ha allegato prove documentali o testimoniali idonee a mutare il quadro probatorio già delineato compiutamente nella fase sommaria. Le nuove deduzioni riguardano fatti ed accertamenti tecnici che sono successivi al licenziamento e che quindi non possono essere valutati in quanto estranei alla motivazione del recesso.
La parte ricorrente insiste invece nelle domande svolte in via principale, dirette ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento per discriminatorietà ai danni di una lavoratore disabile, con la conseguente applicazione della tutela reintegratoria “piena” prevista dall’art. 18 primo comma legge 300/70.
L’ordinanza deve essere confermata anche su questo punto. Infatti la giurisprudenza di legittimità che si è pronunciata sui casi regolati dall’art. 18 nel testo modificato dalla Legge Fornero, ha ritenuto che anche nell’ipotesi di licenziamenti del disabile intimati senza la previa verifica degli “accomodamenti ragionevoli”, si applichi la tutela reintegratoria attenuata prevista dal quarto comma dell’art. 18 quarto comma (cfr. Cass. n. 26675/2028; n. 32158/2018). Deve infatti essere valorizzato il dato letterale costituito dalla previsione contenuta nell’art. 2 comma 1 D.Lgs. 7 marzo 2015, n. 23. Per i contratti stipulati dal 7.3.2015 il legislatore ha ritenuto infatti di contemplare espressamente la tutela reintegratoria piena nell’ipotesi di “difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore”.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo applicando i minimi previsti dai parametri vigenti (causa indeterminabile di media complessità) e con adeguata riduzione dei compensi per la limitata fase di trattazione/istruttoria.
P.Q.M.
Il Tribunale di Verona in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata
1) rigetta l’opposizione e conferma l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria;
2) condanna la società opponente F V. a rifondere le spese della fase di opposizione liquidate in € 5000 per compensi oltre Iva Cpa e rimb. forf. 15%.
Verona, 6.8.2020
IL GIUDICE
dott. Antonio Gesumunno