Discriminazione diretta di un alunno disabile, Tribunale di Lucca, ordinanza del 8 gennaio 2021.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale di Lucca in composizione monocratica
ha pronunciato la seguente
O R D I N A N Z A
nella causa civile iscritta al n. 4078/2020 R.G. degli affari contenziosi civili
promossa da
C P, in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale nei confronti del minore ………, con l’Avv. Marco Tavernese.
Contro
COMUNE DI ……………, con l’Avv. Walter Bianculli.
Oggetto: Ricorso ex art. 700 c.p.c.
§ § §
In fatto ed in diritto
Il Tribunale,
letti gli atti,
sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 5.1.2021;
rilevato che con ricorso ex art. 700 c.p.c. C P, in qualità di genitore del minore………, nato a ….. il ….., ha chiesto al Tribunale di Lucca ordinarsi la cessazione della condotta illecita e discriminatoria perpetrata nei confronti del figlio dagli enti convenuti e ordinarsi l’assegnazione per l’anno scolastico 2020/2021 di un assistente specialistico A.E.C. e di un tecnico informatico per un numero di ore pari a quelle previste dal PEI;
rilevato che per resistere al ricorso e chiederne il rigetto si è costituito il Comune di ………;
O S S E R V A
Preliminarmente, occorre precisare che il presente ricorso, salvi ininfluenti scostamenti, ricalca pedissequamente quello già deciso da questo Giudice con ordinanza del 6.4.2020, relativo all’anno scolastico 2019/2020 (doc. 7 fasc. ricorrente).
Precipuamente, la ricorrente lamenta in questa sede che al figlio, affetto da handicap grave accertato ai sensi dell’art. 3, comma 3°, L. 104/1992, iscritto per il corrente anno scolastico alla II^ classe, sez. D, presso la scuola secondaria di primo grado di ……….., sia stato destinato un assistente per l’autonomia e la comunicazione personale per 18 ore settimanali e negata la presenza di un tecnico informatico, sebbene nel piano educativo individualizzato (PEI) fossero rispettivamente previste 30 ore settimanali per l’assistente AEC e 15 ore settimanali per il tecnico informatico (doc. 2 fasc. ricorrente).
La pretesa sostanziale azionata in giudizio, che, per quanto si dirà di qui ad un momento, assurge a rango di diritto soggettivo perfetto incomprimibile, in relazione al quale l’amministrazione non gode di alcun potere discrezionale (cfr. Cass. Sez. Un. sent. n. 25011/2014), reca un duplice momento di emersione.
Essa si lascia apprezzare in primo luogo nel quadro normativo, interno e sovranazionale, che costituisce il presidio del diritto all’istruzione, il quale si iscrive a pieno titolo nel catalogo dei diritti fondamentali della persona (Corte cost. sent. n. 275/2016; n. 80/2010; n. 215/1987).
In linea generale, nel diritto internazionale convenzionale, il diritto all’istruzione trova riconoscimento e consacrazione nell’art. 26 della Dichiarazione Universale dei diritti Umani e nell’art. 2, Protocollo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il diritto all’istruzione del disabile è precipuamente proclamato dall’art. 24 della Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, resa esecutiva con legge di autorizzazione alla ratifica del 3 marzo 2009, n. 18.
La disposizione impone agli Stati contraenti di assicurare, nell’attuazione di tale diritto: che “venga fornito un accomodamento ragionevole in funzione dei bisogni di ciascuno”, (comma 2, lettera c), che “le persone con disabilità ricevano il sostegno necessario, all’interno del sistema educativo generale, al fine di agevolare la loro effettiva istruzione” (comma 2, lettera d), prevedendo altresì l’obbligo per gli Stati di garantire “efficaci misure di sostegno personalizzato in ambienti che ottimizzino il progresso scolastico e la socializzazione, conformemente all’obiettivo della piena integrazione” (comma 2, lettera e).
La Carta costituzionale, che integra l’espressione dei valori fondanti dell’ordinamento, sancisce solennemente, all’art. 34, che la “scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Tale norma, quindi, riconosce il diritto di ogni individuo all’istruzione e all’educazione come uno dei fondamenti dei rapporti etico-sociali della Repubblica.
Declinazione del principio di uguaglianza sostanziale e del diritto di ogni individuo all’istruzione e all’educazione è quanto stabilito nell’art. 38, comma 3, Cost.: “Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Per altro verso, il diritto all’istruzione e all’assistenza dei disabili è naturalmente funzionale al loro inserimento professionale e trova quindi necessario corollario logico-giuridico nel loro diritto al lavoro, anch’esso costituzionalmente garantito dall’art. 4, comma 1, della Costituzione (“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”) e dall’art. 35 della Carta costituzionale (“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”).
L’effettiva adozione delle misure necessarie a garantire il diritto all’istruzione del disabile ed all’inserimento professionale rimuove una condizione di svantaggio di cui soffre ab origine, in tal guisa realizzando il principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2°, Cost.). La partecipazione del disabile “al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare la potenzialità dello svantaggiato al dispiegarsi cioè di quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione” (Corte cost. sent. n. 215/87).
Il risvolto di un’incompleta attuazione degli strumenti volti ad assicurare l’effettività del diritto all’istruzione del disabile e, per contraltare, il perdurare della primitiva condizione di disuguaglianza con le altre persone normodotate, concreta una condotta discriminatoria, già da reprimersi nel quadro della normativa eurounitaria. Ed infatti, gli artt. 9 e 10 del TFUE indicano quali obiettivi delle politiche comunitarie la promozione di un elevato livello di istruzione e la lotta contro ogni tipo di discriminazione, compresa quella fondata sulla disabilità, mentre l’art. 19 dello stesso trattato riafferma l’esigenza di contrastare attivamente ogni forma di discriminazione, tra cui quella che sorge dalla condizione di disabilità. Nella cornice dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza – alla quale, dall’art. 6 del TUE, è attribuito un valore pari a quello dei Trattati – l’art. 14 proclama il diritto all’istruzione; l’art. 20 il diritto di uguaglianza; l’art. 21 il divieto di discriminazione, con particolare riguardo alla condizione di disabilità; l’art. 26 il riconoscimento dell’Unione del diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale, e la partecipazione alla vita della comunità.
L’armonizzazione dell’ordinamento con tali principi trova riscontro nella L. 1 marzo 2006, n. 67, icasticamente rubricata “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni” che, all’art. 2, enuclea la nozione di discriminazione indiretta, per tale dovendosi intendere “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”.
Orbene, nella legislazione ordinaria il diritto all’istruzione del disabile trova un’esplicita declinazione nell’art. 12 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, che “garantisce il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie” (comma 2°). “L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione” (comma 3°).
L’art. 13, comma 3°, L. 104/92, concretizzando tali prescrizioni, stabilisce che “nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l’obbligo per gli enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati”. E ciò nel quadro e nella misura indicati dal piano educativo individualizzato di cui all’art. 12, comma 5°, L. 104/92.
L’obbligo di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale incombe sui Comuni. Ed infatti, l’art. 42 del D.P.R. 616/1977 specifica che “Le funzioni amministrative relative alla materia “assistenza scolastica” concernono tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private, anche se adulti, l’assolvimento dell’obbligo scolastico nonché, per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, la prosecuzione degli studi”, mentre l’art. 45 puntualizza che le funzioni amministrative di cui all’art. 42 sono attribuite ai Comuni.
Nella stessa direzione si muove l’art. 139, comma 1°, lett. c), del D.L.vo 112/98, richiamato dall’art. 6, comma 2°, L. 328/2000, che attribuisce ai Comuni, per tutti gli istituti di istruzioni diversi dalle scuole di istruzione secondaria superiore, “i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”.
Il concreto contenuto del diritto del disabile all’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale è stato inteso nel senso che “mentre all’insegnante di sostegno spetta una contitolarità nell’insegnamento, essendo egli un insegnante di tutta la classe chiamato a garantire un’adeguata integrazione scolastica – che deve, pertanto, essere inquadrato a tutti gli effetti nei ruoli del personale insegnante – diversamente l’assistente educatore svolge un’attività di supporto materiale individualizzato, estranea all’attività didattica propriamente intesa, ma che è finalizzata ad assicurare la piena integrazione nei plessi scolastici di appartenenza e nelle classi, principalmente attraverso lo svolgimento di attività di assistenza diretta agli alunni affetti da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali in tutte le necessità ai fini di una loro piena partecipazione alle attività scolastiche e formative” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV – 2 aprile 2008, n. 794).
Tanto precisato, occorre porre in rilievo che il minore …………. è stato riconosciuto portatore di handicap in condizione di gravità, ai sensi dell’art. 3, comma 3°, L. 104/92, a motivo di encefalopatite epilettogena farmaco resistente con componente spastico-distonica discinetica, ritardo nello sviluppo cognitivo, ipoacusia monolaterale centrale (doc. 1 fasc. ricorrente). In ragione di tale grave forma di invalidità gli era stato riconosciuto nel PEI un numero di 30 ore settimanali di presenza dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione personale ed un numero di 18 ore di presenza del tecnico informatico (doc. 2 fasc. ricorrente), il secondo rimasto integralmente negletto, il primo effettivamente riconosciuto per sole 15 ore.
L’obbligo di approntare le misure a tanto necessarie incombeva sull’ente territoriale intimato – il Comune di ……… – essendo l’attività amministrativa al riguardo del tutto vincolata per l’attuazione di un diritto soggettivo non degradabile del disabile.
A tale riguardo, sia pur con riferimento all’attività degli insegnanti di sostegno, la più recente giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che “la predisposizione di un piano educativo individualizzato, elaborato con il concorso di insegnanti della scuola di accoglienza e di operatori della sanità pubblica, che abbia indicato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, priva l’amministrazione scolastica del potere discrezionale di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura del supporto integrativo come individuato dal detto piano. L’Amministrazione ha, di conseguenza, il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno interessato, del personale docente specializzato, anche ricorrendo all’attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti-alunni. Ove si verifichi l’omissione o l’ insufficienza nell’apprestamento, da parte dell’amministrazione scolastica, della sua attività doverosa si configura la contrazione di un diritto fondamentale del disabile che si concretizza, ove non sia accompagnata da una equivalente contrazione dell’offerta formativa riservata agli alunni normodotati, in una discriminazione indiretta, vietata dall’art. 2, l. n. 67 del 2006, per tale intendendosi pure il comportamento omissivo della P.A. preposta all’organizzazione del servizio scolastico che metta la bambina od il bambino con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri alunni” (Cass. Sez. Un. sent. ord. n. 25101/2019).
La condotta dell’ente locale, nell’omettere di apprestare le misure atte a rimuovere la condizione di inferiorità intimamente connaturata alla patologia che integra la condizione di disabilità del minore …………, incarna pertanto anche una discriminazione indiretta a danno dell’alunno.
E’ appena il caso di precisare che sulla legittimazione passiva dell’ente resistente a nulla rileva la frequenza di un istituto scolastico ubicato nel territorio di altro Comune, poiché la competenza a provvedere persiste invariata in capo al Comune di residenza dell’alunno disabile e non spetta viceversa al Comune ove l’istituto scolastico è situato. Ciò di desume dal piano disposto dell’art. 13 D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 – Testo unico sull’ordinamento degli enti locali – ove è sancito che “spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Con la conseguenza che laddove il D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297, all’art. 315, comma 2°, dispone che “nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l’obbligo per gli enti locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati”, per ente locale ha da intendersi il Comune di residenza dell’alunno disabile.
Le difese che il Comune resistente ha agitato si riassumono nella professata non imputabilità della condotta consistita nel non aver approntato l’A.E.C. ed il tecnico informatico in favore dell’alunno disabile nell’esatta misura prevista dal PEI, poiché a ciò osterebbe la condizione di dissesto finanziario in cui l’ente territoriale versa, come certificato nella delibera n. 84 del 27.11.2019, tant’è che, nei limiti di compatibilità con i fondi di bilancio stanziati, le misure approntate in favore del C dal PEI sono state costantemente erogate.
A questa visione è tuttavia agevole replicare che le prestazioni a tutela del diritto all’istruzione del disabile, compendiate negli strumenti di cui all’art. 13 L. 104/92, diversamente dai servizi sociali integrati alla persona di cui all’art. 6 L. 328/2000 – ai quali le prime non sono riducibili, trattandosi di servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione – non conoscono restrizioni collegate all’entità delle risorse finanziarie disponibili. Per contro, va da sé che la discriminazione indiretta di cui all’art. 2 L. 67/2006, rileva obiettivamente, restando la sua configurabilità immune alla diversa intensità dell’atteggiamento psicologico dell’agente.
Guardando viceversa al fenomeno che qui rileva nella esclusiva dimensione della realizzazione del diritto all’istruzione, cui la prestazione dell’ente territoriale appare strettamente strumentale, ed intendendo discorrere di elemento soggettivo dell’illecito, la conclusione non muta, perché basterebbe a tacer d’altro porre in evidenza che la stessa condizione di dissesto finanziario in cui l’ente territoriale versa integra un autonomo motivo di rimprovero, per non aver adottato quelle precauzioni necessarie a salvaguardare le risorse del bilancio da destinarsi alla soddisfazione di servizi essenziali.
Le superiori considerazioni schiudono pertanto il fumus boni iuris delle pretesa nei confronti del Comune di …………..
Il periculum in mora viene a teorizzarsi consustanziale:
(a) sia alla natura della situazione giuridica soggettiva violata che, per indole, ha contenuto e funzione non patrimoniale, ciò implicando l’insufficienza della tutela risarcitoria per equivalente azionabile in un ordinario giudizio di cognizione a consentire una restitutio in integrum simmetrica e proporzionata alla lesione inferta;
(b) sia al tipo di lesione lamentata, poiché correlata all’anno scolastico in corso, il cui esaurimento, nelle more dell’accertamento compiuto nel giudizio di merito, frusterebbe irreparabilmente il diritto all’istruzione ed all’uguaglianza sostanziale di cui l’alunno disabile è titolare.
Di qui l’accoglimento del ricorso.
Da ultimo, occorre provvedere sull’istanza con la quale la ricorrente ha chiesto, in applicazione dell’art. 614 bis c.p.c., di fissare la somma dovuta dal Comune per il ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento, tenuto conto che anche il provvedimento emesso con riguardo all’anno scolastico 2019/2020 è rimasto inattuato.
A tale riguardo, ha replicato l’ente territoriale resistente che all’adozione di tale misura osterebbe la previsione dello specifico rimedio del giudizio di ottemperanza di cui agli artt. 112 ss. D.Lgs. 104/2010 (C.p.a., Codice del processo amministrativo), nell’ambito del quale è consentito al tribunale amministrativo regionale all’uopo adito impartire un’analoga misura di coercizione indiretta.
Questa prospettiva non può però essere seguita.
A norma dell’art. 112, 1° comma, lett. c), C.p.a., il giudizio di ottemperanza può essere promosso per l’attuazione, tra gli altri «delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato», a tal fine prevedendo l’art. 113, 2° comma, che al cospetto di tale eventualità il ricorso vada proposto al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui e’ chiesta l’ottemperanza.
Di là dalla terminologia utilizzata – la cui riferibilità soltanto alle sentenze ed agli altri provvedimenti a queste equiparabili, cioè a dirsi aventi attitudine al giudicato sostanziale, parrebbe imposta dal dato testuale – occorre tuttavia porre in rilievo che il Codice appronta anche una specifica disciplina per l’attuazione dei provvedimenti cautelari, rinviando a tale riguardo alle forme del giudizio di ottemperanza (art. 59 C.p.a.). Sennonché, quelli suscettibili di attuazione attraverso il giudizio di ottemperanza sono soltanto i provvedimenti cautelari emanati dal giudice amministrativo, non già pronunciati dal giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione. Se quindi il legislatore ha avvertito la necessità di ammettere il ricorso al giudizio di ottemperanza per l’attuazione delle sole ordinanze cautelari pronunciate dal giudice amministrativo, in un contesto nel quale, per i provvedimenti del giudice ordinario, il rimedio è praticabile soltanto qualora gli anzidetti provvedimenti siano muniti dell’irreversibilità propria del giudicato, si è indotti a credere che l’attuazione dei provvedimenti cautelari pronunciati dal giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione sia regolata in via generale solo dall’art. 669 duodecies c.p.c. (nello stesso senso, cfr. T.A.R. Campania, sez. Salerno, 14 maggio 2018).
Ciò premesso, all’ammissibilità della misura coercitiva in caso di obbligo di facere infungibile o di non fare oggetto di provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. non osta la dicitura letterale con cui apre il primo comma dell’art. 614 bis c.p.c., inequivocabilmente riferita ad un provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro.
La finalità di coazione indiretta nel caso in cui la soddisfazione dell’interesse dell’avente diritto presupponga la cooperazione dell’obbligato si traspone immutata, infatti, anche nei provvedimenti cautelari anticipatori, per loro natura sprovvisti di attitudine al giudicato.
Tenuto conto che l’ordine da impartire all’amministrazione resistente importa un facere infungibile, avuto riguardo all’inviolabilità dell’interesse protetto e della necessità che la legalità si prontamente restaurata, pena l’irreparabilità della compromissione del diritto all’istruzione e del protrarsi ingiustificato di una situazione di ineguaglianza insorta per effetto della discriminazione, si determina in euro 1.000,00 la somma dovuta per ogni mese di ritardo nell’attuazione del presente provvedimento
Le spese di lite si liquidano in ragione della soccombenza.
Applicati i valori medi dei parametri di cui al D.M. 55/2014 per le cause di valore indeterminabile, complessità media, escluso il compenso per la fase istruttoria, si liquidano euro 4.454,00 per compenso professionale.
P.q.m.
Il Tribunale in composizione monocratica, disattesa ogni altra contraria domanda, istanza o eccezione, così provvede:
– Accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina al Comune di …….. di cessare la condotta omissiva sopra descritta nei confronti del minore …………., assegnando al medesimo per l’anno scolastico 2020/2021 un assistente per l’autonomia e la comunicazione personale nonché un tecnico informatico nella misura indicata dal PEI;
– Condanna il Comune di ……… a pagare alla ricorrente la somma di euro 1.000,00 per ogni mese di ritardo nell’attuazione del presente provvedimento;
– Condanna il Comune di ……….. alla refusione delle spese di lite in favore della ricorrente, liquidate in euro 4.454,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario 15%, IVA e CPA come per legge;
Lucca, 8 gennaio 2021
Si comunichi
IL GIUDICE
DOTT. GIAMPAOLO FABBRIZZI