Discriminazione e mancata nomina a sostituto del primario. Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 24 giugno 2022, n. 20384
Rilevato
– che, con sentenza del 29 ottobre 2015, la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Arezzo ed in accoglimento parziale della domanda proposta da C.C. nei confronti dell’Azienda USL n. X di (…) (ora Azienda USL (…) preso la quale operava quale dirigente medico responsabile della sezione aggregata di urologia dell’ospedale di (omissis) , avente ad oggetto la condanna di questa al risarcimento dei danni patiti in relazione al comportamento lesivo in più occasioni posto in essere dal primario della struttura cui il C. era addetto nella consapevolezza dell’Azienda datrice, confermato la condanna dell’Azienda al risarcimento del danno da inabilità assoluta e parziale, escludeva la condanna al risarcimento del danno patrimoniale da mancata qualificazione e determinava in riduzione il danno non patrimoniale;
– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto accertato il carattere discriminatorio della condotta del primario, a muovere dalla scelta come sostituto del collega più giovane ma meno esperto e professionalmente qualificato rispetto al C. , scelta definita del tutto irrazionale, e, a motivo della conoscenza di tale condizione quanto meo anomala ed alla mancata verifica delle ragioni della scelta, la piena consapevolezza dell’Azienda datrice, ma suscettibile di una determinazione in riduzione il danno non patrimoniale, tenuto conto delle tabelle d’uso opportunamente integrate dalla componente del danno c.d. morale e della unitarietà del danno non patrimoniale ed inconfigurabile, per l’assenza, in relazione alla mancata designazione come sostituto del primario, dei danni economici non previsti dall’assunzione dell’incarico ed, in relazione alla prossimità alla pensione, di futuri sviluppi di carriera, il danno patrimoniale;
– che per la cassazione di tale decisione ricorre il C. , affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l’Azienda USL (…), la quale, a sua volta, propone ricorso incidentale, articolato su cinque motivi.
Considerato
– che, con il primo motivo, il ricorrente principale, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, imputa alla Corte territoriale la mancata considerazione di quanto allegato e provato in ordine al danno patrimoniale subito ed al danno alla professionalità conseguente alla mancata qualificazione;
– che, con il secondo motivo, il ricorrente principale deduce la nullità della sentenza con riferimento al vizio di motivazione che, a suo dire, inficerebbe la statuizione relativa alla quantificazione del danno non patrimoniale;
– che, a sua volta, l’Azienda USL (…), ricorrente incidentale, con il primo motivo, nel denunciare il vizio di motivazione imputa alla Corte territoriale l’incongruità dell’iter logico-giuridico in base al quale la Corte medesima è pervenuta all’accertamento del carattere discriminatorio dei comportamenti dedotti in atti;
– che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2049,2087,2697,2727 c.c., del CCNL 8 giugno 2000, art. 18, comma 3, degli artt. 115 e 116 c.p.c., l’Azienda ricorrente incidentale lamenta l’incongruità logica e giuridica del convincimento espresso dalla Corte territoriale circa la riconducibilità dei comportamenti lamentati dal C. ad una ipotesi di mobbing non potendosi riguardare gli stessi come espressione di un unitario disegno persecutorio;
– che con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione delle medesime norme richiamate al motivo che precede nonché al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, l’Azienda ricorrente, sulla base dei rilievi sollevati con il motivo che precede, lamenta l’erroneità del convincimento maturato dalla Corte territoriale in ordine all’inerzia colpevole dell’Azienda medesima;
– che nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087,2697,2727,1223,1226,2043 e 2059 c.c., è prospettata con riguardo all’asserita erroneità della statuizione di condanna al risarcimento del danno riguardata come mera conseguenza dell’iter valutativo censurato con i motivi che precedono;
– che con il quinto motivo l’Azienda ricorrente incidentale deduce la nullità della sentenza ex artt. 159 e 195 c.p.c., per aver la Corte territoriale posto a fondamento della statuizione circa la sussistenza del nesso causale e l’entità del pregiudizio fisico le conclusioni della CTU non fatte oggetto di contraddittorio in violazione del diritto di difesa;
– che, muovendo, a motivo della sua evidente pregiudizialità logica, dall’esame del ricorso incidentale, è a dirsi come, rilevata l’inammissibilità del primo motivo risultando estremamente generica la censura relativa alla mancata esplicitazione dell’iter logico giuridico su cui è basata l’impugnata sentenza, si deve ritenere l’infondatezza dei motivi dal secondo al quarto, avendo la Corte territoriale ampiamente dato conto come, a muovere dalla mancata scelta del C. come sostituto da parte del primario, ogni comportamento da questi tenuto nei confronti del C. si sia inscritto in un contesto di concreta emarginazione inteso a dare del predetto l’immagine di un incapace persino nei confronti dei propri familiari e del mancato intervento compositivo di tale situazione, qualificata anomala ed irragionevole, da parte dell’Azienda e così dell’inerzia colpevole rispetto a comportamenti sicuramente lesivi delle prerogative personali e professionali del C. , di cui correttamente ha riconosciuto l’illiceità e la conseguente risarcibilità;
– che, quanto al quinto motivo, ne va rilevata l’inammissibilità per essere la nullità dedotta rispetto ai vizi della CTU una nullità relativa, da rilevarsi con la prima difesa utile;
– che, venendo ora all’esame del ricorso principale, deve rilevarsi l’inammissibilità del primo motivo, che, non si misura con la ratio decidendi, sia per quel che riguarda la statuizione relativa al danno patrimoniale, non dando conto dell’eventuale erroneità di quanto ritenuto indimostrato dalla Corte territoriale circa il ricollegarsi all’affidamento del ruolo di sostituto del primario di alcun vantaggio economico o professionale, sia con riguardo al danno alla professionalità che la Corte territoriale correttamente afferma essere riconducibile al danno non patrimoniale e così risarcito nella componente relativa al danno biologico;
– che di contro, infondato si rivela il secondo motivo alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 12594/2015) secondo cui il carattere unitario della liquidazione preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità dell’atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione, il che è appunto quanto correttamente ha nella specie provveduto a valutare la Corte territoriale nell’applicare le tabelle del Tribunale di Milano che includono nel punto base la componente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione subita;
– che, pertanto, tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale vanno rigettati con compensazione tra le parti delle spese di lite in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.