Mancata proroga del contratto a termine alla lavoratrice somministrata in gravidanza, discriminazione diretta, Tribunale di Milano, sentenza del 12 giugno 2023

Il Giudice, dott.ssa Paola Ghinoy

nel procedimento promosso da:

……….. rappresentata e difesa dagli Avv.ti NERI LIVIO,

BERGONZI DANIELE, GUARISO ALBERTO e RUSSO CAMILLA

CONTRO

T M spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata

e difesa dall’Avv. CAVALLERI LUIGI LUCA

a scioglimento della formulata riserva formulata all’udienza del 7.6.2023, osserva:

1…….. ha proposto ricorso ex art. 38 D.Lgs. 198/2006 ed ha premesso di essere stata assunta alle dipendenze di T M spa. in data 24.03.2020 con contratto di lavoro somministrato a tempo parziale (36 ore settimanali) e determinato, in forza del quale ha lavorato per l’utilizzatrice Gemini S.r.l. quale addetta all’appalto del servizio di pulizia della sede A…….. di Milano, via ………….., con qualifica di operaia, inquadramento nel 2° livello del CCNL Pulizia – Industria e mansioni di “addetta alle pulizia di interni” (cfr. doc.3). Il contratto, con scadenza inizialmente fissata al 31.03.2020, veniva via via prorogato dapprima sino al 30.04.2020, successivamente in data 29.04.2020 sino al 31.07.2020, ancora in data 30.07.2020 sino al 30.09.2020 e infine in data 29.09.2020 sino al 31.01.2021 (cfr. doc.3). Presso il medesimo appalto e con le medesime modalità lavoravano i signori/e , tutti assunti dalla convenuta con contratto di lavoro somministrato a termine e inquadrati nel 2° livello del CCNL Pulizia Industria; dal settembre 2020 veniva assunta l’ulteriore lavoratrice Ha riferito che con mail del 27.10.2020 comunicava a T M spa. l’intervenuto stato di gravidanza e chiedeva informazioni circa la documentazione da fornire al fine di accedere alla maternità anticipata e che la società, con mail del 28.10.2020, le rispondeva che il suo contratto non sarebbe stato rinnovato

Ha aggiunto che, appresa la notizia dello stato di gravidanza della sig.ra , T M spa. unilateralmente comunicava al Centro per l’Impiego la cessazione anticipata del rapporto di lavoro della ricorrente alla data del 30.09.2020 (cfr. doc.7). La ricorrente in data 09.11.2020, tramite la UilTemp Lombardia, contestava la suddetta comunicazione e T M spa. con pec del 10.11.2020, tramite l’ufficio legale interno, comunicava che avrebbe rettificato la comunicazione, trasmettendo al Centro per l’Impiego il termine di scadenza del 31.01.2021, data finale dell’ultima proroga.

Ha riferito che i contratti di lavoro somministrato a termine dei signori alle rispettive date di cessazione (successive al 31.01.2021), erano stati tutti trasformati a tempo indeterminato, con il medesimo inquadramento (2° livello del CCNL Pulizia – Industria) e per lo svolgimento delle medesime mansioni (“addetti alla pulizia di interni”) con assegnazione al medesimo utilizzatore e con adibizione al medesimo appalto presso la sede A di Milano, via ……. e che lei è l’unica tra gli addetti all’appalto che si è trovata in stato di gravidanza alla scadenza del contratto e l’unica il cui contratto non è stato trasformato a tempo indeterminato dal somministratore.

Assumendo la natura discriminatoria in ragione dello stato di gravidanza del comportamento della società, che non ha trasformato a tempo indeterminato il suo contratto a termine, ha rassegnato le seguenti

“Voglia il Tribunale, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, accertare e dichiarare il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dalla convenuta T M spa. nei confronti della ricorrente consistente nella mancata conversione del suo contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato in ragione del suo stato di gravidanza; conseguentemente, a titolo di rimozione degli effetti, in via principale

a) accertare e dichiarare il diritto della ricorrente alla trasformazione del suo rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e conseguentemente dichiarare convertito a tempo indeterminato il contratto di lavoro somministrato a termine sottoscritto in data 23.03.2020, e ordinare alla convenuta T M spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, di riammettere in servizio la ricorrente

b) condannare la convenuta T M spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare alla ricorrente a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto della discriminazione la somma di € 1.334,74, ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia, per ogni mese intercorrente dal 31.01.2021, ovvero dalla diversa data ritenuta di giustizia, fino alla riammissione in servizio; in via subordinata, in caso di rigetto della domanda di accertamento sub a)

c) accertare e dichiarare il diritto della ricorrente a ricevere dalla convenuta T M spa. una proposta di trasformazione del rapporto di lavoro a termine instaurato in data 23.03.2020 in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e ordinare alla convenuta

T M spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, di formulare alla ricorrente una proposta di trasformazione del rapporto di lavoro;

d) condannare la convenuta T M spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare alla ricorrente a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto della discriminazione la somma di € 1.334,74, ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia, per ogni mese intercorrente dal 31.01.2021, ovvero dalla diversa data ritenuta di giustizia, fino alla data di comunicazione della predetta proposta; in ulteriore subordine, in caso di rigetto delle domande di accertamento sub a) e c)

e) condannare la convenuta T M spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare alla ricorrente a titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto della discriminazione, la somma di euro 15.000,00, ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia; in ogni caso f) adottare ogni ulteriore provvedimento utile ad evitare il reiterarsi della discriminazione”.

2. Si è costituita T M spa., che ha eccepito preliminarmente l’ inammissibilità del ricorso introduttivo del presente giudizio, in ragione del tardivo deposito dello stesso, avvenuto dopo oltre due anni dalla cessazione del rapporto di lavoro e senza che vi sia stata alcuna impugnativa extragiudiziale del contratto cessato il 31 gennaio 2021, in violazione dell’ art. 28 D.lgs 81/2015 che prevede che l’ “L’impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire, con le modalità previste dal primo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n.604” e nei successivi 180 giorni dall’impugnazione extragiudiziale deve essere depositato il ricorso avanti il Giudice del Lavoro.

Nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso negando che vi sia stata alcuna discriminazione.

Ha riferito che il rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato con la è durato sino a quando è stato richiesto, con la formalizzazione del contratto di somministrazione di lavoro, da parte della Gemini srl (azienda utilizzatrice) e che, terminata la richiesta da parte dell’utilizzatore ( in considerazione del contratto avente ad oggetto la pulizia nello stabilimento A), è terminato ( per naturale scadenza del contratto) anche il rapporto di lavoro a tempo determinato stipulato con la ricorrente.

In fatto, ha precisato che nessuna delle persone citate da parte ricorrente ha avuto una conversione del contratto a tempo indeterminato bensì, in considerazione delle richieste dell’azienda utilizzatrice. Ha prodotto documentazione dalla quale risulta che ha stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato sino al 31 gennaio 2021, ha stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato sino al 6 settembre 2020, ha stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato sino al 31 gennaio 2021, ed ( quest’ultima ha lavorato come addetta alle pulizie presso un diverso sito A rispetto a quello della ricorrente) hanno stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato sino al 30 settembre 2021.

3. All’udienza di discussione, preso atto delle allegazioni della controparte, la difesa di parte ricorrente ha dichiarato di non contestare che non vi sia stata conversione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro dei colleghi della signora Ha quindi precisato le conclusioni dichiarando di tenere ferma la sola domanda subordinata sub par. 2 b) del diritto e punto e) delle conclusioni, con riferimento alla mancata offerta di proroga del contratto a tempo determinato offerta ad altri dipendenti in analoga condizione. Ha dato atto, pertanto, che la somma richiesta deve essere riproporzionata tenendo conto di detta precisazione.

4. Preliminarmente deve rilevarsi che, stante l’intervenuta decadenza dall’impugnazione del termine apposto al contratto ai sensi dell’ art. 28 D.lgs 81/2015, non può essere neppure in questa sede ottenuto l’effetto che conseguirebbe all’esercizio dell’azione ormai perenta. In tal senso, con riferimento alla diversa questione della possibilità di azionare diritti prescritti sulla base della natura discriminatoria della loro lesione si è pronunciata la Corte di Cassazione (v. Cass. 20.9.2021 n. 25400) che ha ribadito che la domanda, sia pure fondata sulla discriminazione, resta comunque assoggettata alle medesime regole previste per la domanda che l’istante avrebbe potuto, in ipotesi, azionare qualora quella stessa obbligazione non fosse stata correttamente adempiuta.

Ben può darsi ingresso invece alla domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni conseguiti all’asserita condotta discriminatoria, la cui prescrizione è decennale.

5. Il D.lgs. 198/2006, Codice delle pari opportunità, è stato introdotto al fine di riordinare in un unico testo tutta la normativa di riferimento in materia di parità tra uomo e donna, al fine di tutelare le discriminazioni tra i due sessi.

L’art. 25 vieta le discriminazioni dirette e le discriminazioni indirette: con le prime si intendono tutte quelle disposizioni, criteri, prassi, atti, patti o comportamenti esplicitamente pregiudizievoli per la lavoratrice o il lavoratore in ragione del genere e che, comunque, determinino un trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o lavoratore in situazione analoga (art. 25, comma 1, del Codice), mentre con le seconde ci si riferisce a disposizioni, criteri, prassi, atti, patti o comportamenti, che, seppur apparentemente neutri, pongono la lavoratrice o il lavoratore in una situazione di particolare svantaggio, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa e purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (art. 25, comma 2, del Codice).

6. Le discriminazioni nei confronti delle lavoratrici possono realizzarsi anche mediante «criteri aggiuntivi» rispetto alla semplice appartenenza al genere femminile, con la conseguenza che devono essere valutati come motivi discriminatori anche lo stato di gravidanza, lo stato matrimoniale e il puerperio.

L’attenzione del legislatore riservata al fattore di rischio della maternità ha portato all’introduzione nel Codice delle Pari Opportunità – ad opera del D.Lgs. 5/2010, normativa di attuazione della Direttiva 2006/54 CE del comma 2 BIS – dell’art. 25 ai sensi del quale: «costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera”.

7. Sotto il profilo dell’onere della prova, l’art. 40 CPO prevede che “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.

La norma in esame, come più volte ribadito la Corte di Cassazione, (v. da ultimo Ord. 3.2.2023 n. 3361): «(…) stabilisce un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore della parte ricorrente, la quale è tenuta solo a dimostrare una ingiustificata differenza di trattamento o anche solo una posizione di particolare svantaggio dovute al fattore di rischio tipizzato dalla legge in termini tali da integrare una presunzione discriminatoria, restando per il resto, a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare le circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta».

8. Analogo principio è stato affermato in relazione all’interpretazione dell’art. 19 dall’art.

19 della Direttiva CE n. 2006/54 dalla Corte di Giustizia, la quale ha evidenziato che

“spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dall’inosservanza nei propri confronti del principio della parità di trattamento dimostrare, dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente, fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 29). È solo nel caso in cui la lavoratrice interessata abbia provato tali fatti od elementi di prova che si verifica un’inversione dell’onere della prova e che spetta alla controparte dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011 Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 30)” (Corte di Giustizia 19.10.2017 in causa C- 531/15 Otero Ramos). si è affermato che il lavoratore deve provare il fattore di rischio ed il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, “deducendo una correlazione significativa fra questi elementi che rende plausibile la discriminazione” (Cass. n. 1 del 2020).

9. Nel caso, sussiste il fattore di rischio determinato dallo stato di gravidanza della ricorrente, comprovato dall’attestato trasmesso all’Inps in data 6.11.2020 e prodotto come doc. 6 nel quale risulta la data presunta del parto al 3.5.2021.

10. Risultano poi documentalmente elementi che depongono per una discriminazione diretta in ragione dello stato di gravidanza.

In primo luogo, il giorno successivo a quello in cui la ricorrente ha comunicato alla convenuta l’intervenuto stato di gravidanza e ha chiesto informazioni circa la documentazione da fornire al fine di accedere alla maternità anticipata, T M spa. con mail del 28.10.2020, ha risposto quanto segue: “Devi andare dal medico / ginecologo. Noi abbiamo malattia fino al 8/11, ma visto che il tuo contratto non viene rinnovato devi credo andare ad informarti ad un caf per aprire la maternità con l’inps” (cfr. doc.5 alla. Ric.).

Tale comunicazione è stata effettuata oltre tre mesi prima della scadenza del contratto a termine, e pertanto a quell’epoca la società era verosimilmente sprovvista del necessario supporto informativo in ordine alle esigenze della società utilizzatrice che in prossimità di quel momento si sarebbero verificate, non risultando in proposito alcuna richiesta o comunicazione di Gemini s.r.l.. e venendo generalmente comunicate le proroghe in prossimità della scadenza contrattuale.

Ancora, appresa la notizia dello stato di gravidanza della sig.ra T M spa. ha comunicato al Centro per l’Impiego la cessazione anticipata del rapporto di lavoro della ricorrente alla data del 30.09.2020 e che solo all’esito dell’intervento della UilTemp Lombardia (cfr. doc.7 alla. Ric.) T M spa. con pec del 10.11.2020, tramite l’ufficio legale interno, ha comunicato che avrebbe rettificato la comunicazione, comunicando al Centro per l’Impiego il termine di scadenza del 31.01.2021, data finale dell’ultima proroga (cfr. doc.8 all. ric.).

9. Tali elementi, univoci nel manifestare come la società non ritenesse realizzabile un contratto di lavoro con un soggetto in stato di gravidanza, fondano la presunzione che tale stato di gravidanza abbia costituito l’ (unica) ragione per la quale la signora non è stata valutata come possibile destinataria della proroga del contratto a termine, proroga che è avvenuta invece per altre due colleghe almeno sino al 30 settembre 2021 (v. punto 2 che precede).

10. Tale presunzione non è stata in alcun modo scalfitta dalla società, che nulla ha dedotto sulle ragioni per le quali le due colleghe sono state preferite alla nel disporre la proroga. Né vale invocare l’esercizio di un potere discrezionale circa l’opportunità di disporre il rinnovo di un contratto in scadenza: pur nell’ambito dell’esercizio di un potere discrezionale è, infatti, possibile verificare se sia stato riservato un trattamento meno favorevole, a parità di situazioni, ad una lavoratrice in ragione del suo stato di gravidanza.

11. Risulta quindi la condotta discriminatoria realizzata dalla società nell’avere pretermesso la ricorrente, in ragione del suo stato di gravidanza, dai soggetti tra i quali andavano individuati i destinatari dei contratti da prorogare, e quindi del fatto che lo stato di gravidanza ha determinato un trattamento deteriore nei suoi confronti rispetto alle colleghe che sono rimaste in servizio.

12. In un caso analogo, la Corte di Cassazione ha affermato che “il mancato rinnovo di un contratto a termine ad una lavoratrice che si trovava in stato di gravidanza può integrare una discriminazione basata sul sesso atteso che (a parità della situazione lavorativa della medesima rispetto ad altri lavoratori e delle esigenze di rinnovo (…) anche con riguardo alla prestazione del contratto in scadenza della stessa lavoratrice, esigenze manifestate attraverso il mantenimento in servizio degli altri lavoratori con contratti analoghi) ben può essere significativo del fatto che le sia stato riservato un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza” (cfr. Cass. n. 5476/2021). La Corte nel caso ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia CE del 4 ottobre 2001 – C-438/99 che ha precisato, ai punti 45 e 46: «E’ altrettanto evidente che il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato, quando questo è arrivato 9 R. Gen. N. 2636/2015 : alla sua normale scadenza, non può essere equiparato ad un licenziamento e, di per sé, non è in contrasto con l’art. 10 della direttiva 92/85. Tuttavia [….], in determinate circostanze il mancato rinnovo di un contratto a tempo determinato può essere considerato alla stregua di un rifiuto di assunzione. Ora, secondo una giurisprudenza costante, un rifiuto d’assunzione per motivo di gravidanza di una lavoratrice pur giudicata idonea a svolgere l’attività di cui trattasi rappresenta una discriminazione diretta basata sul sesso in contrasto con gli artt. 2, n. 1, e 3, n. 1, della direttiva 76/207»

13. Pur essendo la situazione sostanziale ormai esaurita, sicché non può ordinarsi la cessazione del comportamento illegittimo, l’accertata condotta discriminatoria rende fondata la richiesta di risarcimento dei danni.

14. Il danno, come anticipato, non è consistito nella mancata proroga del contratto, essendo stati prorogati due contratti su cinque, ma nella perdita della possibilità di conseguire tale risultato, possibilità che (in difetto del fattore di rischio) sarebbe stata concreta ed effettiva, considerate le proroghe già reiteratamente accordate e la mancanza di alcun rilievo in relazione alla prestazione resa. Si configura quindi il danno per il lucro cessante costituito dalla perdita di chances (v. Cass. n. 25886 del 02/09/2022)

15. Potendosi ritenere una chance di proroga del 50%, i danni subiti vengono individuati nel 50% della retribuzione che la ricorrente avrebbe percepito se il suo contratto fosse stato rinnovato nel periodo dal 31.1.2021 al 30.9.2021 – data sino alla quale risultano essere stati prorogati gli altri contratti a termine – al tallone indicato in ricorso e non contestato di € 1.334,74, e quindi in € 5.338,96 (1334,74×9:2).

Da tale importo dev’essere detratto l’aliunde perceptum costituito dall’indennità di maternità percepita dalla lavoratrice nel medesimo periodo, che anche in costanza di rapporto di lavoro avrebbe ridotto la retribuzione a carico della società.

16. Le spese di lite, liquidate così come in dispositivo facendo applicazione dei valori previsti per lo scaglione di riferimento dal D.M. n. 55/14, aggiornati da ultimo dal D.M. n. 147 del 13.8.2022, seguono la soccombenza, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dei difensori in virtù della dichiarata anticipazione.

P.Q.M.

Il Tribunale, visto l’art. 38 del D.Lgs. 198/2006, dichiara la natura discriminatoria della condotta tenuta da T M spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, che ha escluso in ragione dello stato di gravidanza la signora dal novero dei possibili destinatari della proroga del contratto di somministrazione a termine.

Condanna T M spa. al risarcimento dei conseguenti danni, che liquida in € 5.338,96, detratto quanto percepito a titolo di indennità di maternità nel medesimo periodo, oltre rivalutazione monetaria e interessi dalla data odierna al saldo.

Condanna T M spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 1500,00 per compensi professionali, oltre rimborso delle spese generali, IVA CPA e rimborso CU ove versato, con distrazione in favore dei difensori.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni.

Milano, 10/06/2023

Il Giudice

Dott.ssa Paola Ghinoy