Discriminazione disabilità e sport, Corte d’Appello di Torino sentenza n. 507 del 7 maggio 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte D’Appello di Torino

Sez. Terza Civile

nelle persone dei seguenti magistrati:

dott. Francesco Rizzi Presidente

dott.ssa Silvia Orlando Consigliere

dott.ssa Paola Ferrari Bravo Consigliere Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. r.g. 411/2023 promossa da:

Federazione Ciclistica Italiana – F.C.I. (C.F. ………….), con il patrocinio dell’avv. Venturelli Nuri,

appellante

contro

S A (C.F. …….) e S A (C.F.

…………..), con il patrocinio dell’avv. Rolla Massimo,

appellati

Ordinanza monocratica dep. 23.04.2024 a seguito di udienza di rimessione della causa in decisione ex art. 352 c.p.c. svolta mediante trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. (con termine per note sino al 18.04.2024)

OGGETTO: atti discriminatori

Per l’appellante:

CONCLUSIONI

“Piaccia all’Ecc.ma Corte adita, respinta ogni contraria istanza, eccezione e domanda, in riforma della sentenza impugnata:

In via preliminare: dichiarare la cessazione della materia del contendere;

Nel merito, in totale riforma dell’ordinanza impugnata ed in accoglimento dei motivi esposti nel presente atto, rigettare il ricorso introduttivo ex art. 702 bis cpc proposto dal sig. A S, n.q. di genitore esercente la responsabilità genitoriale sul minore A S, previo accoglimento delle conclusioni, di merito ed istruttorie, già rassegnate nella comparsa costitutiva di primo grado e ribadite nelle note autorizzate per l’udienza del 28.9.2022, di seguito integralmente riportate e trascritte:

«Nel merito:

– Dichiarare l’interruzione del giudizio per sopravvenuto raggiungimento della maggiore età del soggetto nel cui interesse è stato proposto ricorso.

– Respingere il ricorso dichiarando il difetto di giurisdizione del Giudice adito.

– Nella denegata ipotesi di reiezione delle conclusioni sopra spiegate

a) Respingere la domanda di accertamento che il mancato tesseramento del minore A S nella categoria junior sport per l’anno 2020 costituisse discriminazione indiretta ai sensi della L. 67/2006

b) Respingere conseguentemente la richiesta di consentire l’immediato tesseramento del giovane A S nella categoria junior sport

In via istruttoria ove prosegua il giudizio nel merito:

Ove la situazione non appaia sufficientemente chiara all’Ecc.mo Tribunale adito, apparendo forse incongrua ed emotivamente lesiva per il minore il disporsi di una consulenza tecnica d’ufficio atta ad accertare la idoneità del giovane alla pratica del ciclismo agonistico in concorso con altri atleti non affetti da disabilità, quale quella di cui lo stesso soffre, si chiede ai sensi dell’art. 213 cpc che sia disposta l’acquisizione di informazioni in ordine alla possibilità di partecipazione di un soggetto portatore di handicap intellettivo relazionale a manifestazioni agonistiche con concorrenti privi di handicap al Comitato Italiano Paralimpico con sede in Roma, via Flaminia Nuova, 830, Amministrazione Pubblica, ed alla FISDIR – Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale con sede in Roma, via Flaminia Nuova n. 830, Ente che si occupa in via esclusiva di atleti e atlete con disabilità intellettiva e relazionale. In difetto si chiede l’ammissione di testi sulle circostanze esposte in narrativa ai capi d), e), g), i) della memoria di costituzione nonché sulle seguenti circostanze:

– Vero che sulla base delle disposizioni sanitarie vigenti è preclusa ai portatori di handicap per Disturbo Pervasivo dello Sviluppo l’attività agonistica ordinaria dei sigg.ri: M B(Presidente FISDIR), M B (Segretario Generale FISDIR) dott.ssa P M(medico federale FISDIR), tutti dom.ti in Roma presso FISDIR, via Flaminia Nuova n. 830».

Con vittoria dei compensi e spese del doppio grado di giudizio”.

Per gli appellati:

“Piaccia alla Corte d’Appello di Torino, respinta ogni contraria istanza, rigettare l’appello proposto e confermare integralmente ordinanza impugnata. Con vittoria di spese ed onorari del doppio grado di giudizio”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Sulle domande e sulle difese delle parti nel primo grado di giudizio. S A, in qualità legale rappresentante dell’allora figlio minore S A, adiva il Tribunale di Biella chiedendo che venisse accertato che il mancato tesseramento come “Junior Sport” per l’anno 2020 del minore Andrea da parte della Federazione Ciclistica Italiana(F.C.I.) costituisse una discriminazione indiretta ai sensi della L. n. 67 del 2006, e che venisse ordinata, di conseguenza, la cessazione del comportamento discriminatorio e l’adozione di ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti dello stesso, ivi compreso l’immediato tesseramento nella categoria richiesta.

A sostegno della propria domanda deduceva che:

– nel 2016 la Commissione Medica del Centro Medico Legale INPS di Biella aveva diagnosticato al minore S A un “disturbo pervasivo dello sviluppo arteria succlavia fusoria e esadattilia piede dx” con giudizio conclusivo di “portatore di handicap in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, c. 3, L. n. 104/92”;

– tale disturbo non aveva mai impedito al minore di svolgere attività sportiva, e, in particolare, di praticare il ciclismo fuoristrada;

– nel 2017 il minore era stato tesserato per la A.S.D. Flower Bike e aveva partecipato a diverse gare sportive nella categoria “Intellectual Disability” (categoria che prevede la presenza, accanto al minore, di un accompagnatore nonché la partenza differenziata rispetto agli altri concorrenti);

– con il tempo, la società sportiva si era accorta che il minore era in grado di partecipare alle gare senza la necessità di un accompagnatore e pertanto, in accordo con la famiglia di A, si era attivata per consentire al minore di partecipare alle gare agonistiche in via autonoma;

– in data 6/9/2019 il minore A aveva ottenuto, all’esito di apposita visita clinica svolta presso l’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, un certificato di idoneità all’attività sportiva agonistica, nel quale era specificato che lo stesso «non presentava controindicazioni in atto alla pratica agonistica del ciclismo»;

– a seguito del rilascio di tale certificato, l’A.S.D. Flower Bike aveva provveduto a richiedere alla F.C.I. il tesseramento del minore non più nella categoria “Intellectual Disability”, bensì nella categoria “Junior Sport”;

– la F.C.I. in un primo momento aveva provveduto al tesseramento ma, successivamente, in data 10/1/2020, aveva comunicato alla Flower Bike l’annullamento del tesseramento con richiesta immediata di visione del certificato medico relativo al minore, che veniva prontamente inviato dalla società sportiva;

– nonostante le sollecitazioni della famiglia di Andrea, la F.C.I. non aveva più fornito alcun riscontro ed aveva mantenuto fermo l’annullamento del tesseramento.

Il ricorrente riteneva che il mancato tesseramento nella categoria “Junior Sport” costituisse una discriminazione indiretta ai sensi dell’art. 2, c. 3, della L. n. 67 del 2006.

In diritto, deduceva che la F.C.I., con comunicato del 6/2/2020, aveva istituito per l’anno 2020 nuove norme per il tesseramento e per le attività degli atleti nella categoria “Intellectual Disability”, evidenziando che all’art. 2 di tale comunicato veniva richiesta la produzione del «certificato di idoneità all’attività sportiva di tipo non agonistico».

Tuttavia, evidenziava che il minore aveva ottenuto, ai sensi del D.M. sanità del 18/2/1982, il rilascio di un certificato di idoneità alla pratica agonistica dello sport ciclismo, senza alcuna limitazione e per la durata di 12 mesi, cosa che consentiva di escludere che il caso dovesse essere ricondotto all’ambito di applicazione della normativa maggiormente restrittiva dettata dalla F.C.I. in materia di attività sportive federali degli atleti disabili.

Sottolineava che, secondo la disciplina della certificazione medica per l’esercizio di attività sportiva agonistica contenuta nel D.M. del 18/2/1982, una volta ottenuto il certificato di idoneità all’attività sportiva agonistica, il soggetto riconosciuto idoneo poteva svolgere attività agonistica ad ogni livello senza alcuna limitazione, indipendentemente dal suo “status” soggettivo (cioè legato ad un’eventuale disabilità).

Del tutto diversa era la certificazione per l’attività sportiva agonistica praticata da atleti disabili, regolamentata dal D.M. sanità del 4/3/1993 e successive integrazioni, la quale doveva necessariamente contenere l’indicazione che il riconoscimento dell’idoneità era limitato alla pratica agonistica dello sport adattato ad atleti disabili.

Secondo il ricorrente, il minore Andrea nel caso di specie aveva ottenuto non già l’idoneità alla pratica sportiva agonistica dello sport ciclismo adattato agli atleti disabili ai sensi del D.M. sanità del 4/3/1993, bensì il diverso certificato di idoneità agonistica per lo sport ciclismo ai sensi del D.M. del 18/2/1982, che lo legittimava a partecipare alle gare agonistiche senza alcuna limitazione dovuta alle sue condizioni personali.

La F.C.I. avrebbe dovuto accogliere la richiesta di tesseramento del minore nella categoria

“Junior sport” per l’anno 2020, in quanto risultavano integrati, nel caso di specie, tutti i presupposti richiesti dalla normativa nazionale, a nulla rilevando che, negli anni precedenti, il minore fosse stato inquadrato nella categoria “Intellectual disability”.

Nel caso di specie non avrebbero dovuto trovare applicazione le norme interne stabilite dalla F.C.I. per il tesseramento degli atleti disabili, in quanto il minore aveva ottenuto il certificato di idoneità agonistica previsto dal D.M. del 18/2/1982 e non quello specificatamente previsto per la pratica sportiva agonistica degli atleti con disabilità.

Il mancato tesseramento del minore Spezzano Andrea costituiva una discriminazione indiretta, dal momento che una norma interna della F.C.I. non avrebbe potuto derogare ad un atto amministrativo emanato dal Ministero della Sanità (D.M. del 18/2/1982) – nel quale si specificava chiaramente che, al fine di praticare attività sportiva agonistica, i soggetti interessati dovevano sottoporsi ad uno specifico controllo di idoneità, all’esito del quale il soggetto dichiarato idoneo poteva praticare attività agonistica a tutti i livelli.

Si costituiva in giudizio la Federazione Ciclistica Italiana, chiedendo che venissero respinte integralmente le domande avanzate dal ricorrente e deducendo l’assoluta inesistenza del comportamento discriminatorio prospettato.

Il giovane A S risultava essere portatore di “handicap in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, c. 3, L. n. 104 del 1992” che non gli permetteva, in base alla complessiva normativa vigente, di partecipare ad attività sportive agonistiche “non tutelate”.

Sul punto, la F.C.I. evidenziava che l’attività sportiva dei soggetti portatori di handicap (tra i quali rientrava il minore in questione) risultava regolata in maniera esclusiva dalla FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo – Relazionali) con la quale la F.C.I. aveva stretto, a partire dal 2009, un protocollo di intesa per organizzare e gestire le attività ciclistiche dei giovani atleti con disabilità intellettiva e relazionale.

A seguito di specifico accordo con la FISDIR, la F.C.I. aveva adottato, con delibera del presidente Federale n. 8/2020 del 3/2/2020, un nuovo testo normativo volto ad individuare e disciplinare le attività sportive adatte agli atleti con disabilità intellettiva e relazionale (comunicato del 6/2/2020, citato da parte ricorrente).

In base a tale normativa il minore Andrea, già tesserato nella categoria “Intellectual disability”, non avrebbe potuto essere tesserato nella categoria “Junior Sport”, non essendo stata prodotta alcuna certificazione che attestasse la cessazione della causa di handicap di cui era affetto, bensì solamente una generica certificazione di attestazione di idoneità agonistica.

Per tale ragione era stato mantenuto fermo il tesseramento del minore nella categoria “originaria”.

L’abilitazione all’attività agonistica degli atleti disabili era disciplinata, a livello generale, dal

D.M. 4/3/1993 (emesso sulla base delle disposizioni previste dal D.L. n. 663 del 1979, convertito dalla L. n. 33 del 1980), il quale prevedeva che l’abilitazione in questione potesse essere rilasciata solo limitatamente ad attività sportive “adatte” ad atleti disabili e veniva emessa solo a seguito della nomina di una apposita commissione medica che doveva sottoporre il soggetto portatore di handicap a specifiche prove attitudinali.

Di conseguenza, essendo S A portatore di handicap, il certificato rilasciato dall’Istituto di Medicina dello Sport di Torino non avrebbe comunque potuto abilitarlo all’attività agonistica per competizioni intercorrenti tra soggetti privi di handicap, non avendo l’Istituto in questione competenza in materia ai sensi del D.M. 4/3/1993 che richiedeva la nomina di un’apposita commissione medica.

Da ultimo, deduceva il difetto di giurisdizione del Tribunale adito, sostenendo che il giudice

ordinario, in virtù del principio costituzionalmente tutelato della separazione degli ordinamenti, non avrebbe potuto imporre, in contrasto con le norme del diritto sportivo, il tesseramento di un soggetto in una determinata categoria federale, così come richiesto dal ricorrente.

Sull’ordinanza ex art . 702 ter c.p.c. .

Il Tribunale di Biella, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. dep. 13.02.2023, in accoglimento del ricorso, ha ordinato alla F.C.I. la cessazione del comportamento discriminatorio tenuto in pregiudizio di Spezzano Andrea, mediante rimozione degli ostacoli che impediscono allo stesso di praticare lo sport del ciclismo a livello agonistico.

Innanzitutto, il Tribunale ha ritenuto sussistente, in relazione all’oggetto del ricorso, la giurisdizione del giudice ordinario sulla base dell’art. 28 del D. lgs. n. 150 del 2011 (c.d. decreto semplificazione riti), richiamante l’art. 3 della L. n. 67 del 2006 in tema di tutela delle persone disabili vittime di discriminazione.

Con riguardo al merito del ricorso ha, in primo luogo, evidenziato che il ricorrente ha depositato il certificato medico rilasciato in data 6/9/2019 dall’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, attestante che il minore A S, pur se affetto da disturbo pervasivo dello sviluppo, è idoneo alla pratica sportiva agonistica del ciclismo.

Ha ritenuto che tale certificato soddisfi il requisito previsto dall’art. 2 del D.M. 4/3/1993 che, nel disciplinare l’accesso delle persone disabili alle attività sportive agonistiche, si limita a richiedere un accertamento di idoneità specifica del singolo individuo per lo sport che intende praticare a livello agonistico, accertamento che può essere effettuato, oltre che dai medici della Federazione medico-sportiva italiana, anche dal personale e dalle strutture pubbliche e private convenzionate (tale essendo l’Istituto di Medicina dello Sport di Torino) con le modalità fissate dalle Regioni d’intesa con il CONI e sulla base di criteri tecnici generali stabiliti con decreto del Ministero della Sanità (cfr. artt. 2 e 5 D.M. 4/3/1993).

Di conseguenza, il Tribunale ha ritenuto che, nel caso di specie, il minore Andrea fosse in possesso dei requisiti previsti dalla normativa ministeriale al fine di ottenere l’accesso alla pratica agonistica del ciclismo.

In secondo luogo, ha ritenuto che la delibera n. 8 del 3/2/2020 della F.C.I. (sulla cui base è stato negato il tesseramento al minore Andrea) sia contrastante con la disciplina prevista dal D.M. 4/3/1993, in quanto stabilisce che, al fine del tesseramento degli atleti con disabilità intellettiva e relazionale, sia necessario che il tesserando produca un certificato di idoneità alla pratica di attività sportiva di tipo esclusivamente non agonistico, introducendo così previsioni maggiormente restrittive rispetto alla normativa ministeriale ed escludendo in radice la possibilità per i soggetti disabili di praticare lo sport del ciclismo a livello agonistico.

Ad avviso del Tribunale il complessivo comportamento tenuto dalla F.C.I. nel caso di specie è stato discriminatorio, precludendo aprioristicamente e senza alcuna ragione giuridicamente apprezzabile l’accesso alla pratica agonistica del ciclismo alle persone che soffrono di disabilità di tipo intellettivo/relazionale (tra cui rientra il minore Andrea S.), anche nei casi in cui tale disabilità risulti, sulla base di accertamenti medici specializzanti, non ostativa in concreto alla pratica stessa.

Infine, il Tribunale ha ritenuto che F.C.I. non abbia correttamente adempiuto all’onere probatorio stabilito dall’art. 28, c. 4, D. lgs. n. 150 del 2011, secondo il quale, a fronte di un’allegazione da parte del ricorrente di elementi di fatto dai quali è possibile desumere l’esistenza di comportamenti discriminatori, è onere della parte resistente provare l’insussistenza di detta discriminazione.

Il Tribunale ha rilevato che F.C.I. si sia limitata a negare genericamente la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda ed a giustificare l’esclusione dei giovani atleti portatori di handicap intellettivo e relazionale dall’attività sportiva agonistica esclusivamente sulla base della necessità di proteggere i soggetti disabili dal rischio connesso alla pratica dell’attività agonistica stessa, senza esplicitare alcun elemento in grado di concretizzare, almeno in via esemplificativa, il rischio in questione, e di evidenziare le eventuali misure adottate (o adottabili) da parte di F.C.I. al fine di prevenirlo o, comunque, ridurlo.

Pertanto, le difese di parte resistente sono state ritenute del tutto generiche e inidonee a soddisfare l’onere probatorio imposto dalla normativa dettata in materia di discriminazione. Il Tribunale ha quindi ritenuto che la revoca da parte della F.C.I. del tesseramento di A

So nella categoria “Junior Sport” per l’anno 2020 costituisca una discriminazione indiretta ed ha accolto il ricorso, ordinando a F.C.I. l’immediata cessazione del comportamento discriminatorio.

Data la relativa novità della questione trattata, ha infine compensato le spese di lite.

Sul giudizio di appello.

La Federazione Ciclistica Italiana ha proposto tempestivo gravame producendo nuovi documenti e rassegnando le conclusioni anche istruttorie riportate in epigrafe.

S A (divenuto maggiorenne) e S A si sono costituiti in appello producendo a loro volta nuovi documenti, opponendosi alle istanze istruttorie della F.C.I. e concludendo per il rigetto del gravame.

Svolta la trattazione scritta dell’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni (ai sensi dell’art.127 ter c.p.c.), con ordinanza depositata in data 23.04.2024 il giudice istruttore tratteneva la causa in decisione riservandosi di riferire al collegio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I) Motivi di appello proposti dalla Federazione Ciclistica Italiana. F.C.I. ha chiesto, in via preliminare, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, l’interruzione del processo, la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice adito e, nel merito, la riforma integrale della sentenza di primo grado con conseguente rigetto del ricorso proposto dal sig. A S, previo accoglimento delle istanze istruttorie già avanzate

nella comparsa di costituzione in primo grado.

L’atto di appello contiene una parte introduttiva nella quale l’appellante sviluppa una serie di considerazioni preliminari relativamente:

– al principio di autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento ordinario;

– al riconoscimento da parte della normativa di settore ed in favore delle persone portatrici di handicap clinicamente accertati del diritto costituzionalmente garantito di svolgere attività agonistica fra soggetti del medesimo status, non già il diritto assoluto e incondizionato di tali soggetti a partecipare all’attività sportiva agonistica di ogni tipo effettuata da persone prive di handicap, senza il rispetto delle categorie previste dalle singole Federazioni, le quali hanno una valenza oggettiva.

Atteso il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, l’appellante rileva che lo svolgimento di attività agonistica qualificata nel mondo sportivo si svolge necessariamente sotto l’egida della Federazione propria dello sport praticato e nel rispetto dei limiti legali e regolamentari preposti.

Di conseguenza, con particolare riguardo al caso di specie, evidenzia che la F.C.I. consente alle persone disabili affette da disabilità intellettivo relazionale di svolgere la pratica sportiva, agonistica e non, secondo quanto stabilito dai propri regolamenti interni in conformità alle previsioni di cui al D.M. Sanità del 4/3/1993: tali principi, secondo l’appellante, non integrerebbero alcuna pratica discriminatoria, dal momento che rappresentano la concreta applicazione del diritto del disabile di svolgere attività sportiva agonistica nell’ambito delle attività specificatamente previste e disciplinate dalle singole Federazioni Sportive.

Da ultimo, rileva che tali principi sono stati ribaditi in una missiva a firma del Presidente della FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali) nella quale vengono enunciate alcune specifiche considerazioni inerenti al caso oggetto della presente controversia (doc. 5 appellante).

Chiede quindi, in via preliminare, l’acquisizione di tale missiva quale nuovo documento prodotto in appello in quanto acquisito solo in data 14/3/2023.

Ciò detto, l’atto di appello si fonda su quattro motivi.

1) Con il primo motivo si deduce il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario.

Il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare apoditticamente che, nel caso di specie, sussista la giurisdizione del Giudice ordinario in base all’art. 28 del D.lgs. n. 150 del 2011.

Tuttavia, a parere dell’appellante, la controversia in questione, per come prospettata dalla parte ricorrente, atterrebbe alla presunta illegittimità dei regolamenti federali (normativa F.C.I.) e quelli sportivi internazionali che non permettono ai soggetti affetti da disabilità intellettivo-relazionale di partecipare all’attività sportiva agonistica ordinaria.

Lo stesso ordine di tesseramento dell’atleta violerebbe il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo.

In base a quanto stabilito dall’art. 2, c. 1, del D.l. n. 220 del 2003 in materia di giurisdizione sportiva l’atleta, a fronte dell’annullamento del tesseramento, avrebbe dovuto avvalersi, in accordo con il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, dei rimedi giurisdizionali approntati da quest’ultimo e, in particolare, avrebbe dovuto proporre ricorso al Tribunale Federale, avviando il procedimento previsto dalla normativa sportiva.

All’esito dell’iter processuale previsto dall’ordinamento sportivo (Tribunale Federale, Corte

Federale di Appello, Collegio di Garanzia per lo Sport del CONI), il ricorrente avrebbe poi potuto promuovere un’azione dinanzi al Tribunale Amministrativo del Lazio, dichiarato competente ex lege per le controversie attinenti al CONI ed alle Federazioni Nazionali Sportive, senza però poter mai rivolgersi al Giudice ordinario, trattandosi di controversia sottratta alla sua giurisdizione.

In conclusione, l’appellante ritiene che la controversia instaurata in base alla domanda attorea, essendo volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità della regolamentazione federale in materia di tesseramento dei soggetti disabili e “l’imposizione coattiva” del tesseramento del minore Aa S. nella categoria richiesta, non risulti ricompresa nell’ambito della giurisdizione del Giudice ordinario, con conseguente violazione, da parte della sentenza di primo grado, del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo.

2) Con il secondo motivo deduce la violazione del D.M. Sanità del 4/3/1993 e l’erronea valutazione della certificazione d’idoneità all’attività sportiva agonistica rilasciata al minore A S dall’Istituto di Medicina dello Sport di Torino.

Sul punto, censura l’ordinanza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto, da un lato, che la delibera F.C.I. del 3/7/2020 risulti discriminatoria laddove impedisce ai soggetti disabili di praticare l’attività sportiva agonistica e, dall’altro lato, che la certificazione di idoneità alla pratica sportiva agonistica rilasciata al minore Andrea gli consenta l’effettiva pratica della stessa, senza considerare che tale certificato non potrebbe assumere valore per chi, come il minore stesso, sia affetto da una disabilità riconosciuta.

A sostegno del proprio motivo l’appellante ribadisce quanto già dedotto in primo grado e, in particolare evidenzia che:

– il minore era stato giudicato dalla Commissione Medica per l’accertamento dell’handicap quale «portatore di handicap in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, c. 3, L. n. 52 del 1992»;

– l’attività sportiva per i soggetti portatori di handicap viene svolta previo controllo dell’idoneità ai sensi del D.M. Sanità del 4/3/1993; i soggetti affetti da disturbo di tipo autistico non sono ricompresi nell’attività svolta dal Comitato Italianano Paralimpico, bensì sono ricompresi nell’ambito dell’attività svolta dalla FISDIR, con la quale la F.C.I. organizza e regola le attività ciclistiche dei giovani atleti con disabilità intellettiva e relazionale;

– con delibera del Presidente Federale n. 8/2020 la F.C.I., previa intesa con la FISDIR, era stato adottato un nuovo testo normativo che disciplinava il tesseramento degli atleti con disabilità intellettiva e relazionale, in base al quale il minore Andrea, in assenza di alcuna certificazione che documentasse la cessazione della causa di handicap e in presenza di una generica certificazione di attestazione di idoneità all’attività agonistica, non poteva essere tesserato come “Junior Sport”, bensì doveva rimanere tesserato nella categoria “Intellectual Disability 2”.

In diritto l’appellante sostiene che il Tribunale abbia errato nel ritenere sufficiente, ai fini della legittimazione alla pratica agonistica del ciclismo, la certificazione medica prodotta da parte ricorrente, non essendo quest’ultima idonea e conforme al modello legale stabilito per i soggetti disabili.

L’appellante riporta nel corpo del gravame gli articoli principali del DM 04.03.1993 e l’allegato 2 del citato decreto ministeriale, ovverosia il modello di certificazione da rilasciarsi a cura del medico sportivo per gli atleti con disabilità e rileva che tale certificato è l’unico a poter attestare l’idoneità alla pratica agonistica dello sport “adattato” agli atleti disabili.

Ribadisce quindi che l’attività sportiva dei soggetti portatori di handicap è regolata dal DM 04.03.1993 e che l’abilitazione viene rilasciata limitatamente alle attività sportive adatte agli atleti con disabilità.

A tal proposito, evidenzia che l’attività sportiva dei soggetti portatori di handicap, quale quella del giovane A, è regolata in via esclusiva dalla FISDIR e, a livello normativo, dagli artt. 1, 2 e 5 del D.M. Sanità del 4/3/1993, che stabiliscono che l’abilitazione all’attività agonistica per i soggetti portatori di handicap viene rilasciata limitatamente alle attività sportive ritenute “adatte” agli atleti disabili e solo a seguito di uno specifico accertamento di idoneità (secondo le disposizioni previste dal D.l. n. 663 del 1979, convertito in L. n. 33 del 1980), a seguito del quale viene rilasciato il relativo certificato di idoneità che deve espressamente contenere la dicitura «sport […] adattato ad atleti disabili».

Nel caso di specie, tuttavia, il certificato prodotto dal ricorrente, rilasciato dall’Istituto di Medicina dello Sport di Torino non conterrebbe tale dicitura, né l’Istituto in questione avrebbe avuto competenza a rilasciare tale certificazione secondo quanto stabilito dal D.M. Sanità del 4/3/1993.

In conclusione, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il certificato in questione non avrebbe potuto abilitare il minore Andrea a svolgere la pratica agonistica del ciclismo.

3) Con il terzo motivo si duole della violazione e del travisamento del principio di mancata contestazione ex art. 115 c.p.c., del mancato rispetto del principio dell’onere della prova e dell’omessa ammissione delle istanze istruttorie avanzate in primo grado.

Sul punto, ritiene di avere correttamente adempiuto al proprio onere probatorio, avendo enunciato e dimostrato nel corso del giudizio di primo grado le ragioni di carattere normativo che impedivano al minore A di essere tesserato nella categoria “Junior Sport”.

A fronte della produzione da parte del ricorrente in primo grado di una certificazione medica inidonea (per le ragioni già esposte nel precedente motivo d’appello) ad abilitare il minore A a praticare l’attività sportiva agonistica, la F.C.I. non avrebbe avuto alcun onere di allegare e provare un rischio concreto a carico del soggetto affetto da disabilità mentale connesso alla partecipazione all’attività ciclistica agonistica, essendo tale valutazione demandata congiuntamente ad una specifica commissione medica e alla FISDIR (la prima in ordine ai requisiti sanitari e la seconda con riguardo alla qualificazione di atleta agonista).

F.C.I, al contrario di quanto sostenuto dal Tribunale, non avrebbe dovuto allegare l’avvenuta adozione di misure di prevenzione e/o di riduzione del rischio necessarie per consentire la partecipazione ad attività agonistiche dei soggetti disabili, essendo tali valutazioni già effettuate a monte in sede di redazione e successiva emanazione dei regolamenti federali, che si occupano proprio di disciplinare l’accesso alle specifiche attività sportive dei soggetti interessati.

Anche al fine di dimostrare l’insussistenza del comportamento discriminatorio riscontrato dal Tribunale, F.C.I. ha depositato in primo grado (doc. 4 in allegato alle note di trattazione per l’udienza a trattazione scritta del 28/9/2022) un documento non contestato dai ricorrenti, attestante la partecipazione del minore A S ad un evento organizzato dalla Special Olympics nel mese di Maggio 2022.

Tale documento dimostrerebbe l’assenza di discriminazione ai danni del minore, avendo quest’ultimo svolto attività sportiva prima quale tesserato F.C.I. e, successivamente quale tesserato Special Olympics.

Da ultimo, l’appellante evidenzia, come già rilevato in precedenza, di aver prodotto, unitamente all’atto di appello, un nuovo documento, di cui chiede l’ammissione (all. 5 atto di appello).

Reitera altresì le richieste istruttorie già presentate in primo grado, la cui rilevanza apparirebbe pacifica, essendo tali prove funzionali a fornire un’ulteriore dimostrazione del fatto che, presso gli enti istituzionalmente preposti, un soggetto disabile non può competere in una gara agonistica riservata ad atleti normodotati.

4) Con il quarto e ultimo motivo deduce la nullità dell’ordinanza decisoria per mancata interruzione del procedimento di primo grado, atteso il raggiungimento della maggiore età di S A nella pendenza dello stesso.

S A, nato il 12/5/2003, ha raggiunto la maggiore età nelle more del giudizio di primo grado, ossia in data 12/5/2021.

Conseguentemente il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c..

Trattasi di circostanza eccepita nelle note di F.C.I. depositate per l’udienza del 28/9/2022, rigettata con ordinanza del 31/10/2022 (in ragione dell’assenza di formale dichiarazione da parte del procuratore della parte attrice).

A parere dell’appellante, la decisione del Tribunale sarebbe errata, dal momento che la circostanza del raggiungimento della maggiore età è un fatto notorio, emergendo già dal ricorso introduttivo e, di conseguenza, il Giudice avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio l’interruzione del procedimento.

La domanda proposta in primo grado, oltre a scontare dei profili di inammissibilità (legati alla mancata rinnovazione da parte del ricorrente della richiesta di iscrizione per gli anni 2021, 2022, e 2023 alla F.C.I. ed alla FISDIR), ha ad oggetto un diritto personale di S A, ovvero quello di praticare lo sport ciclistico quale tesserato FISDIR ed F.C.I..

Da ciò, secondo l’appellante, discende che, nel caso di specie, sia venuta meno la legittimazione attiva del ricorrente (anche sotto forma di carenza dell’interesse ad agire), dal momento che S A, una volta raggiunta la maggiore età, avrebbe dovuto esplicitare chiaramente la propria volontà di coltivare o meno la domanda proposta dal genitore quale suo legale rappresentante, trattandosi di controversia avente ad oggetto un diritto strettamente personale.

II) Difese di S A e S A. S A e S A si sono costituiti rilevando innanzitutto che le premesse della F.C.I. all’atto di appello denotino già di per sé l’intento discriminatorio della F.C.I. a fronte  del continuo utilizzo di termini come persona “affetta da disabilità” e/o “diversamente abile” in luogo di “persona con disabilità”.

Si dolgono che l’intero gravame sia stato studiato con il precipuo scopo di spostare l’attenzione da un dato di fatto documentalmente dimostrato e punto nodale della controversia, ovverosia che A aveva ed ha i requisiti richiesti dalla stessa F.C.I. per partecipare ad attività agonistica (in allora “Junior Sport”).

Evidenziano altresì che il principio di non discriminazione debba essere letto nell’ottica della pari opportunità, ovverosia nel riservare un trattamento non necessariamente uguale agli altri bensì un trattamento che consente di partecipare ai vari contesti alla stessa stregua degli altri.

Sarebbe falso che il certificato medico prodotto per il tesseramento ordinario fosse scaduto da mesi, essendo stato rilasciato il 06.09.2019, avendo validità di un anno ed essendo stato il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato a giugno 2020.

A avrebbe poi conseguito analoghe certificazioni per le successive annualità 2021, 2022 (non prodotte in primo grado perché non richieste dal Tribunale, riservandosi gli appellati la corrispondente produzione ove ritenuta opportuna dalla Corte). Producono invece il certificato di idoneità sportiva 2023.

Rilevano altresì che la F.C.I. inserisca in apposite “classi” tutte le persone con disabilità intellettivo-relazionali”, senza tenere conto del grado di disturbo che a volte, come nel caso concreto, è assolutamente minimale (tanto che Andrea ha conseguito il diploma di maturità senza piani educativi individualizzati ed ha già sostenuto le visite mediche per conseguire la patente di guida, preclusa invece ai disabili intellettivo-relazionali con gravità).

Non a caso altre federazioni sportive italiane tesserano tranquillamente i soggetti con lievi disabilità ove in possesso dei certificati richiesti nella categoria degli atleti agonisti, consentendo loro di gareggiare con i c.d. normodotati.

Ciò premesso, in via preliminare hanno eccepito l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c. della nuova documentazione prodotta sub doc. 5 in appello.

Il documento 5, artatamente datato 14.03.2023, si riferisce ad un protocollo d’intesa del 2021 e ben avrebbe potuto essere prodotto nella pendenza del giudizio di primo grado.

Il primo motivo (difetto di giurisdizione) sarebbe erroneo ed inammissibile.

Presupposto per poter adire la giustizia sportiva è la qualifica di tesserato. Se il tesseramento è stato revocato o annullato (come nel caso di specie non essendo Andrea, neanche all’attualità, tesserato con la F.C.I.) il c.d. vincolo di giustizia cesserebbe di esistere.

Quanto al secondo motivo (erronea valutazione del certificato di idoneità) rilevano innanzitutto l’inammissibilità della riproduzione nel corpo dell’atto di appello del modello di certificazione allegato al D.M. 04.03.1993, venendo in rilievo un documento non prodotto nel corso del giudizio di primo grado.

Ribadiscono che A era e sia ancora in possesso dei requisiti clinici e fisici per effettuare attività agonistica con atleti normodotati.

Quanto alla valutazione nel merito del certificato prodotto, osservano che la F.C.I. si sia addentrata illegittimamente in questioni e valutazioni sanitarie che richiedono competenza specifica che non competono all’avvocatura.

Altre Federazioni Sportive non richiedono affatto che il tesserato produca un’attestazione di cessazione della causa dell’handicap e ciò renderebbe evidente la discriminazione operata.

Andrea è infatti risultato idoneo alla pratica sportiva agonistica del Triathlon (doc. 3 appello) ed è tesserato con la corrispondente Federazione (doc. 4 e 5 appello), svolge gare agonistiche (doc. 6 appello) ed è stato valutato come completamente autonomo anche ai fini del conseguimento della patente di guida (doc. 7 appello).

Al di là dei regolamenti e dei protocolli di cui si è dotata la F.C.I, rimarrebbe quindi il fatto che altre Federazioni Sportive italiane consentono l’attività di tipo agonistico a persone con disabilità intellettivo-relazionale, a nulla valendo la “classificazione” operata dalla F.C.I..

In definitiva se viene rilasciato un certificato per attività agonistica ex DM 18.02.1982 (“per normodotati”), l’atleta può svolgere attività agonistica a tutti i livelli e non limitatamente a determinate categorie.

I dubbi della F.C.I. in merito alle competenze specialistiche dei medici che rilasciano il certificato di idoneità ex DM 18.02.1982 anche in favore di soggetti con disabilità, sarebbero apodittici e fuori luogo.

Quanto al terzo motivo, rilevano la correttezza della decisione del Tribunale che ha considerato generiche, irrilevanti e/o documentali i capitoli di prova dedotti dalla F.C.I..

I fatti oggetto del contendere sarebbero ben chiari, ragione per la quale non sarebbe necessario alcun approfondimento istruttorio.

Quanto alla mancata interruzione del processo di primo grado per raggiungimento della maggiore età da parte di A (quarto motivo), richiama la motivazione del Tribunale secondo cui l’evento interruttivo (per quanto noto) è privo di rilievo processuale ove non dichiarato dal

difensore della parte ex art. 300 c.p.c..

Ad ogni buon conto A si è costituito personalmente in appello, manifestando in modo inequivocabile la volontà di sanare eventuali difetti di rappresentanza del genitore.

III) Decisione della Corte.

III.1) Deve innanzitutto osservarsi che la F.C.I. ha concluso chiedendo che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, senza peraltro avere formulato uno specifico motivo di impugnazione in proposito, con conseguente inammissibilità della relativa doglianza.

Pur volendo fare riferimento alle premesse di carattere generale contenute nella parte introduttiva del gravame (pag. 3) si rileva che:

– l’appellante non spiega perché la circostanza che S A svolga oramai un’altra attività sportiva in forma agonistica sia tale da determinare la cessazione della materia del contendere e/o l’accertamento della sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire rispetto all’accertamento della natura discriminatoria della condotta di F.C.I.;

– parimenti l’appellante non spiega perché la “scadenza” (per decorso dell’annualità) del certificato medico sportivo posto a fondamento dell’azione intentata nel presente giudizio determini per ciò solo la cessazione della materia del contendere, avendo oltre tutto S A dimostrato nel presente gravame di possedere ancora i requisiti per svolgere la pratica agonistica del ciclismo (doc. 3 appello).

III.2) Il quarto motivo (sulla mancata interruzione del processo di primo grado) è infondato.

Il raggiungimento della maggiore età nel corso del giudizio di primo grado e la conseguente cessazione del potere di rappresentanza in capo al genitore legale rappresentante è privo di rilievo  ai fini della dichiarazione di interruzione del processo di primo grado.

Secondo la giurisprudenza, infatti “Il raggiungimento della maggiore età da parte del minore costituito nel processo per mezzo del suo legale rappresentante, se non sia stato formalmente dichiarato o notificato dal difensore ai sensi dell’art. 300 c.p.c., resta privo d’incidenza nel corso del processo, che prosegue regolarmente nei confronti del suddetto rappresentante legale al quale, pertanto, è regolarmente notificata l’impugnazione, senza che sia necessario integrare il contraddittorio” (Corte di Cassazione Sez. 2, Ordinanza n. 30701 del 27/11/2018).

III.3) Deve quindi essere esaminato il primo motivo, attinente al difetto di giurisdizione.

Non corrisponde innanzitutto al vero che la decisione di primo grado sia apodittica, avendo il

Tribunale espressamente motivato facendo riferimento al corrispondente dato normativo, con ciò avendo dato implicitamente dato atto che laddove venga lamentato un comportamento discriminatorio la giurisdizione discenda senz’altro dal disposto di cui all’art. 28 D.lvo n. 150/2011 che disciplina il rito delle controversie in materia di discriminazione.

Non sono fondate le deduzioni di parte appellante in relazione alla pretesa violazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo ed alla conseguente “riserva” in favore della giurisdizione sportiva.

Sempre in materia di discriminazione (sebbene per motivi di nazionalità) la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare che “L’azione promossa contro un atto di una federazione sportiva che produce una discriminazione per motivi di nazionalità in relazione al tesseramento degli atleti, esula dalla giurisdizione amministrativa prevista dall’art. 3 del d.l. n. 220 del 2003, conv., con modif., dalla l. n. 280 del 2003, in ordine alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa di atti delle federazioni sportive, che si configurano come decisioni amministrative aventi rilevanza per l’ordinamento statale, ma rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011, essendo finalizzata alla tutela di un diritto soggettivo della persona, qualificabile come diritto assoluto” (Corte di Cassazione Sez. U, Ordinanza n. 3057 del 01/02/2022).

La circostanza che nel caso di specie venga lamentata una discriminazione non per motivi di nazionalità ma una discriminazione correlata alla presenza di disabilità è priva di concreto rilievo.

Anche in materia di disabilità è d’altro canto fatto divieto di porre in essere atti discriminatori, come espressamente previsto dall’art. 2 legge n. 67/2006.

Si osserva infine che l’eventuale discriminazione posta in essere attraverso l’adozione di atti amministrativi non è tale da far venire meno la giurisdizione ordinaria in favore del giudice sportivo e/o amministrativo.

L’azione contro la discriminazione “può essere esperita anche quando il comportamento pregiudizievole sia posto in essere da un ente pubblico mediante l’adozione di un atto amministrativo, potendo in questo caso il giudice ordinario disapplicare l’atto denunziato assumendo i provvedimenti idonei a rimuoverne gli effetti, senza che ciò comporti alcuna interferenza nell’esercizio della potestà amministrativa” (Corte di Cassazione Sez. 1, Ordinanza n. 3842 del 15/02/2021, conforme Corte di Cassazione, Sez. 1, Ordinanza n. 30517 del 03/11/2023).

III.4) Deve quindi esaminarsi il terzo motivo (nella parte in cui l’appellante lamenta la mancata ammissione dei mezzi istruttori) unitamente alla disamina dei nuovi documenti prodotti da entrambe le parti e delle istanze istruttorie formulate in appello.

4.1) Sono innanzitutto inammissibili in quanto tardivi i documenti prodotti in appello dalla F.C.I. dopo la proposizione del gravame, con particolare riferimento alle produzioni operate in corrispondenza dello scadere del termine per il deposito delle note ex art. 127 ter c.p.c. sostitutive dell’udienza di rimessione della causa in decisione ex art. 352 c.p.c..

Si osserva in proposito che l’appellante si è limitata a produrre tali documenti, senza chiedere di essere rimessa in termini e senza consentire alcun contraddittorio in merito agli stessi.

Ad ogni modo è la stessa appellante a riconoscere che tali nuovi documenti abbiano scarso rilievo, sostenendo che sia dirimente ai fini della decisione la mancanza della certificazione ex DM 04.03.1993.

4.2) Quanto al documento n. 5 prodotto unitamente all’atto di appello, si rileva che ai sensi di quanto disposto dall’art. 702 quater c.p.c. (applicabile ratione temporis in relazione alle controversie introdotte con rito sommario di cognizione ex art. 28 D.lvo n. 150/2011) nel giudizio di appello è ammissibile la produzione di nuovi documenti e nuovi mezzi di prova quando gli stessi siano indispensabili ai fini della decisione, ipotesi che non ricorre nel caso sub iudice.

Trattasi in effetti documento formato ad hoc in vista dell’instaurazione del gravame contenente valutazioni giuridiche del Presidente della FISDIR circa l’interpretazione da dare al protocollo sottoscritto nel 2021 tra la F.C.I. e la FISDIR e la pretesa impossibilità per i soggetti con disabilità psichica di svolgere attività agonistica.

Il documento è quindi inammissibile al pari del corrispondente capitolo di prova (valutativo) articolato dalla F.C.I. in appello.

4.3) Quanto alla reiterazione delle istanze istruttorie svolte dalla F.C.I. nel primo grado, si rileva innanzitutto che il gravame, per quanto proposto ex art. 702 quater c.p.c., abbia pur sempre carattere impugnatorio, sicché anche l’impugnazione afferente alle istanze istruttorie articolate dalla parte e disattese dal giudicante deve rivestire carattere di specificità ex art. 342 c.p.c..

Nel caso di specie l’appellante insiste nell’ammissione dei capitoli di prova dedotti in primo grado ma non ricapitola gli stessi con l’atto di appello e non censura motivatamente il provvedimento istruttorio nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto “le istanze istruttorie di parte resistente inammissibili, atteso che i capi d), e), g) e i), di cui alla comparsa di costituzione e risposta, vertono su circostanze documentali e, in ogni caso, rimettono ai testi apprezzamenti di diritto demandati al giudice, ritenendosi, altresì, inammissibile il capo in calce alla comparsa, poiché generico così come formulato e, comunque, irrilevante ai fini della decisione”.

La richiesta di CTU medico legale “atta ad accertare la idoneità del giovane alla pratica del ciclismo agonistico” è superflua ai fini della decisione richiesta in questa sede (avente ad oggetto la natura discriminatoria del comportamento della F.C.I.), attesa oltre tutto la certificazione di idoneità sportiva già prodotta dal ricorrente in primo grado.

Analogamente ha carattere esplorativo ed è sostanzialmente tesa a demandare a terzi la valutazione oggetto del contendere, l’istanza ex art. 213 c.p.c. volta ad “acquisire informazioni in ordine alla possibilità di partecipazione di un soggetto portatore di handicap intellettivo relazionale a manifestazioni agonistiche con concorrenti privi di handicap […]”.

4.4) Deve parimenti stimarsi inammissibile la surrettizia produzione, nel corpo dell’atto di gravame, dell’allegato 2 al DM 04.03.1993, avente ad oggetto il “modulo” di certificato medico che deve essere rilasciato per la pratica agonistica dello sport adattato ad atleti disabili.

Sia solo consentito di rilevare che dal modulo in esame:

– risulta che lo stesso sia relativo allo svolgimento di pratica agonistica dello sport “adattato” ad atleti disabili;

– non risulta per contro che il certificato di idoneità sportiva ex DM 04.03.1993 debba essere rilasciato da un’apposita commissione medica ma dal solo “medico sportivo” sottoscrivente.

4.5) Possono per contro stimarsi ammissibili e rilevanti ai fini della decisione (anche tenuto conto delle censure mosse in appello dalla F.C.I.) i nuovi documenti prodotti da S A sub 3,4,5,6,7.

Gli stessi sostanzialmente dimostrano che S A è stato tesserato nella categoria agonisti triathlon sulla base di un certificato di idoneità sportiva analogo a quello sub iudice (docc. 3, 4, 5, 6 grado di appello) e che il direttore del servizio di psichiatria dell’ASL di Biella ha attestato che “dalle valutazioni cliniche e diagnostiche effettuate non sussistono controindicazioni a che il paziente consegua la patente di guida […]”.

III.5) Il secondo ed il terzo motivo (afferenti al merito oggetto del contendere) sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

5.1) Si osserva innanzitutto che la tesi della F.C.I., secondo cui non sia assolutamente possibile  per i soggetti con disabilità svolgere attività sportiva agonistica unitamente a soggetti privi di disabilità, è in parte smentita dalle stesse difese svolte in sede di note di replica ex art. 352 c.p.c. in cui F.C.I., pur ritenendo che il suo comportamento non sia stato discriminatorio, ha rappresentato di essersi attivata e di avere segnalato alla FISDIR ed al CIP l’opportunità di “rivedere i regolamenti”.

Ancora, nelle note ex art. 127 ter c.p.c. depositate in sostituzione dell’udienza di rimessione della causa in decisione, la F.C.I. ha rappresentato che in data 18.11.2023 la FISDIR e la F.C.I. hanno adottato un nuovo regolamento che consente agli atleti con disabilità intellettivo-relazionale di svolgere alcune attività in forma agonistica anche su strada (sempre nei limiti espressamente dettati dal nuovo regolamento), con ciò smentendo l’assunto posto a fondamento delle difese di primo grado secondo cui i regolamenti in allora vigenti non potessero consentire la pratica del ciclismo in forma agonistica da parte di soggetti con disabilità.

5.2) Priva di pregio è la deduzione difensiva secondo cui la gestione, organizzazione e sviluppo di tutta l’attività sportiva riguardante i soggetti con disabilità intellettivo-relazionali sia riservata alla FISDIR e che la F.C.I. non possa far altro che applicare i regolamenti così adottati.

Si osserva infatti che:

– dalla documentazione versata in atti risulta che i vari regolamenti disciplinanti l’attività sportiva per soggetti con disabilità intellettivo-relazionale sono stati comunque adottati d’intesa tra FISDIR e F.C.I.;

– nel caso di specie viene in rilievo anche la concreta interpretazione ed attuazione del regolamento senz’altro ascrivibile alla F.C.I.;

– il contenuto del regolamento attinge quindi solo in parte all’oggetto del contendere, vertendo la controversia anche sulla natura discriminatoria del comportamento della F.C.I. che ha annullato il tesseramento di un atleta dotato di certificato di idoneità alla pratica sportiva agonistica.

5.3) Si osserva, sempre in punto di ammissibilità del gravame, che le stesse argomentazioni difensive svolte dalla F.C.I. non sempre sono ben esplicate ed illustrate in maniera concludente.

In alcune parti, in effetti, la F.C.I. parla di pratica dello “sport adattato” ad atleti disabili, in altre parti di “attività sportive adatte” ad atleti disabili (vedasi a titolo meramente esemplificativo pag. 17 del gravame).

L’appellante non esplicita la differenza concettuale tra le due diverse ipotesi né le differenti conseguenze che ne dovrebbero derivare ai fini della decisione.

5.4) Ciò premesso, come già rilevato nei paragrafi precedenti, è inammissibile la produzione del modulo della certificazione di idoneità di cui al DM 04.03.1993 mediante inserimento dello stesso nell’atto di appello.

Il Tribunale ha correttamente rilevato che il certificato di idoneità sportiva prodotto in atti (doc. 2 ricorrente) dà conto che in sede di anamnesi è stata presa in considerazione l’esistenza del disturbo pervasivo dello sviluppo così come è stato portato in visione l’ultimo certificato di idoneità sportiva.

Il Tribunale ha quindi correttamente chiarito che il contenuto del documento in atti soddisfa

appieno i requisiti di cui al DM 04.03.1993.

Si osserva oltre tutto che, pur potendo richiedere ulteriori accertamenti prima di rilasciare l’attestazione di idoneità alla pratica sportiva in forma agonistica, il medico sportivo ha ritenuto sufficiente la documentazione in suo possesso e gli esiti della visita effettuata.

In altri termini la disabilità non è stata stimata nel caso concreto ostativa al rilascio dell’attestazione di idoneità sportiva.

In quest’ottica il Tribunale, nel prendere in considerazione il regolamento in allora vigente circa la disciplina dell’attività sportiva da parte di soggetti con disabilità, ha correttamente rilevato che “Detto diversamente, la delibera, così come formulata e, in ogni caso, applicata dalla Federazione

Ciclistica Italiana impedisce a persone versanti in condizione di disabilità di tipo intellettivo/relazionale la pratica agonistica, escludendone, a monte, la categoria in ragione del limite mentale e relazionale presentato, pur valutato da medici specializzati ininfluente e non ostativo alla pratica stessa, non riscontrandosi, neppure nella comparsa di costituzione di parte resistente, alcuna ragione concreta, obiettiva e, dunque, giuridicamente apprezzabile sottesa al regolamento de quo”.

Il tutto, si ripete, pur a fronte della dimostrazione nel caso concreto che la condizione di disabilità non fosse ostativa allo svolgimento della pratica agonistica del ciclismo.

In proposito si osserva che l’appellante dà atto che il DM 04.03.1993 disciplini il rilascio dell’attestazione di idoneità alla pratica sportiva per lo svolgimento di sport “adattati”, ma non chiarisce (ammesso che l’espressione “adattati” sia stata utilizzata intenzionalmente nel gravame) perché la presenza di disabilità possa giustificare l’imposizione di limitazioni anche quando non sia necessario alcun “adattamento”, necessità peraltro neanche menzionata dal medico sportivo che ha visitato il paziente.

In quest’ottica è pertinente (con conseguente infondatezza della parte del terzo motivo di gravame concernente l’onere probatorio gravante sulle parti) il rilievo del Tribunale secondo cui le ragioni ostative/esplicative addotte dalla F.C.I. sono generiche e rapportate alla astratta categoria dei soggetti con disabilità “intellettive e relazionali” non invece al caso concreto.

In definitiva le difese della F.C.I. non consentono di ritenere che sia stata veramente

“giustificata” (rispetto all’addebito di una condotta discriminatoria) la scelta di non consentire la pratica sportiva agonistica (con quanto ne consegue ex art. 28 D.lvo n. 150/2011) a fronte della “concreta” dimostrazione da parte del diretto interessato della sua idoneità in tal senso, non inficiata dalla disabilità intellettivo relazionale.

5.5) Da ultimo, l’appellante si limita a ribadire che l’Istituto di Medicina dello Sport di Torino non sia competente a rilasciare la certificazione di idoneità sportiva ma non censura con carattere di specificità quanto illustrato dal Tribunale anche mediante specifico richiamo degli artt. 1 e 2 DM 04.03.1993 circa i soggetti abilitati al rilascio di tale certificazione.

III.6) L’appello deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, dovendo essere poste a carico della F.C.I. ed in favore di parti appellate.

La liquidazione viene effettuata come da dispositivo tenuto conto dell’attività espletata in corso di causa (fase studio, fase introduttiva, fase decisionale), del valore della controversia (valore indeterminato di media complessità), conformemente ai valori medi di cui al DM n. 55/2014, come attualmente vigenti, ovverosia tenendo conto delle modificazioni introdotte con DM n. 147/22.

Ai sensi di quanto disposto dall’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 la Federazione

Ciclistica Italiana è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione principale.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Torino, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) Rigetta l’appello;

2) Condanna la Federazione Ciclistica Italiana a rimborsare a parti appellate le spese di lite, che si liquidano in € 8.470,00 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15% del compenso totale della prestazione, CPA ed IVA se previste per legge;

3) Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 a carico della Federazione Ciclistica Italiana.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del 07/05/2024

Il Consigliere est Il Presidente

Dott.ssa Paola Ferrari Bravo Dott. Francesco Rizzi